domenica 24 giugno 2007

Simply the Best

Il calcio attuale è popolato da fighetti lampadati, saliti alla ribalta più per fidanzamenti e flirt celebri che per le loro qualità nel rettangolo di gioco.
Una volta, molti anni fa, non era così. C'erano meno interessi, tattica e fisicità, il contorno di starlette era cosa sconosciuta, gli artisti del pallone avevano lo spazio che meritavano.

E poi c'era George Best, un nordirlandese che incarnava perfettamente lo spirito di ribellione di una terra bellissima ma tormentata.
Lui era tutto il contrario di tutto.
Un genio del pallone, prima di tutto. Palla al piede, poteva fare qualsiasi cosa. Aveva Manchester, mezzo mondo, ai suo piedi.
E' stato il primo esempio di 'calciatore-rockstar', lontano però dai tamarri che popolano le discoteche più 'in' di Milano e della riviera romagnola.
Lo chiamavano il 'quinto Beatles'.
All'epoca, i capelli a caschetto erano un must, e lui incarnava il perfetto mix tra genio e sregolatezza. Le ragazze andavano in visibilio per lui.

"Ho speso un sacco di soldi per alcool, donne e macchine veloci... Tutti gli altri li ho sperperati". Questa è la frase più celebre pronunciata da Best, e ne descrive perfettamente l'indole ribelle e zingaresca. Saltava regolarmente gli allenamenti, era un tipo che amava stupire, in campo e fuori, come quando si presentò con tanto di sombrero in testa all'areoporto. Proprio in quest'occasione nacque il mito del 'quinto Beatles'.
'Icona pop', 'calciatore rockstar', selvaggio, animato da vivida mentalità punk.
Già, nel rettangolo di gioco. Poetico, genio folle, fantasioso, piedi illuminati dalla luce che irradia solo i fenomeni. Peccato che tutto sia finito a 28 anni, dopo aver entusiasmato le folle in Inghilterra e in Europa. Protagonista assoluto nella conquista della Coppa Campioni 1967/'68, capace di segnare 6 gol in una sola partita, in Coppa d'Inghilterra contro il Norhampton Town. Dopo l'addio al calcio dei grandi, è stato uno dei pionieri del 'soccer' americano.
La vita sregolata, l'amore per alcool e donne, soprattutto il primo, lo ha hanno consumato in fretta.
Il 20 novembre 2005, appare sul '
News of the World' l'immagine di un Best lontano anni luce dai fasti di un tempo. Sciupato e sofferente, con un ultimo messaggio da lanciare: 'Don't die like me". "Non morire come me". Sapeva benissimo che la vita gli stava ormai sfuggendo, ha voluto ricordare a tutti coloro che l'hanno amato che la sua lezione non deve essere seguita. Ha immolato un potenziale enorme sull'altare di 'sesso, droga e r'n'r". Si è sentito un superuomo, invincibile, ma alla fine ha compreso i suoi errori, troppo tardi per salvarsi, ma non per consigliare la retta via ai giovani che lo vedono come un modello.
L'epatite lo divora, i suoi occhi azzurri, da poeta, un po' sognatore, un po' incantatore, non vedranno più luca dal 25 novembre di quello stesso anno. Alle 14.30 di quell'infausto giorno, si spegne un grande artista.
Il suo paese gli dedicherà addirittura l'areoporto della capitale, Belfast, dove era nato il 22 maggio del 1946.
Best non ha mai conosciuto mezze misure. Il giorno del suo funerale un oceano di persone era presente per l'ultimo saluto al campione.
Così, anche la gente, o lo ama, o lo odia. Parlare al presente è opportuno, quando ci si riferisce al sentimento comune verso un mito.
Immortale, come le grandi rockstar. Kurt, Jim, Sid, e altri.
Come loro, sempre nel cuore di chi lo ama.
George, The Best.
O, per meglio dire: 'MARADONA GOOD, PELE' BETTER, GEORGE BEST'.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Uno dei miei miti calcisticamente parlando. Purtoppo giocatori così non ne vedremo forse più. Signori, il calcio, signori: BEST!