lunedì 31 dicembre 2007

Io ballo da sola

Il gran ballo dei debuttanti dell’estate 2006 è stato un fiasco totale.
Un anno dopo, cambia lo scenario, di nuovo consono a cotanto blasone, ma sin dai primi giri di valzer si intuisce come qualcosa non vada. Il primo ballerino, portoghese d’importazione, sbanda, come e peggio di altri attesi novizi, così ci pensano i soliti noti a reggere la baracca.
Il 4 gennaio si riparte. Via alle danze, ma stavolta il DS Secco se ne starà saggiamente in un angolo a fare da tappezzeria. Memore delle lezioni del passato e consapevole dell’impossibilità di reperire novelli Davids (nell’accezione di giocatore tale da consentire l’annunciato salto di qualità) dopo essersi guardato un po’ intorno e un po’ nel portafogli, perché tanto di gregari ne è piena Vinovo e di campioni tesserabili nell’immediato ne è privo il mondo, l’immobilismo diventa quasi una necessità. La finestra di mercato verrà dunque tenuta chiusa, fatta eccezione per le previste defenestrazioni.
Il primo nome da depennare è Domenico Criscito, napoletano nel DNA, nordico nell’atteggiamento, genoano nel cuore, (soprattutto) acerbo nell’esperienza e nel fisico. Ad inizio stagione, Ranieri gli consegna i gradi di titolare. Lui e Andrade, la domanda è: chi dirige chi? In teoria, l’azzurrino è la spalla del portoghese, del quale non può vantare l’illustre curriculum. Il problema dell’ex Depor non è però la spalla, bensì la rotula: il solito ginocchio infame fa crack a Roma, laddove Totti si è fatto beffe di Mimmo. Roma caput mundi, Roma crocevia di stagione per i cazzutissimi Ranieri boys e, forse, di carriera per la coppia centrale designata. Ricapitoliamo: in pochi mesi, Andrade trova sulla propria strada la sfiga e di conseguenza ferri del chirurgo e lunga riabilitazione, Criscito la panchina, Legrottaglie… Dio (storia vecchia i cui effetti taumaturgici si sono manifestati solo di recente), mentre Chiellini, che da buon livornese se ne stava a sinistra, converge su posizioni più moderate, affiancando l’aspirante pastore a protezione di Buffon. Gli spazi per il biondino si restringono, il tentativo di riciclarsi terzino fallisce, il passato ritorna e diventa futuro: in una parola, Genoa. Il prestito secco equivarrebbe ad uno scolastico ‘rimandato a settembre’, il diritto di riscatto su metà cartellino puzza di bocciatura. Il solo spedirlo, anche per un semestre, in Liguria non pare un colpo di genio. D’accordo, (ri)troverebbe un ambiente a lui caro e un tecnico, profeta del 3-4-3, a lui caro. E sul modulo casca l’asino, essendo la disabitudine alla difesa a 4 uno degli scogli sui quali si sono infranti i sogni di gloria di Criscito versione bianconera. Le seconde linee in organico, poi, da Boumsong agli adattati Grygera e Zebina, potrebbero turbare i sonni di Buffon come nemmeno il piccolo Louis Thomas. Insomma, perché privarsi di un sicuro talento? L’unica, convincente, risposta, sarebbe quanto lasciato intendere da Ranieri, ovvero la richiesta del giovane di tornare nell’amata Genova per riallacciare le fila di un discorso interrotto lo scorso giugno.
All’ombra della Lanterna dovrebbe approdare anche Ruben Olivera, ala dal piede caldo e dal carattere focoso. Proprio a Genova, sponda Samp però, ne hanno già saggiato gli eccessi, tanto da rispedirlo al mittente con l’unico rimpianto di averlo voluto, fortissimamente voluto, su input di Novellino. Promemoria: diffidare dal cofondatore (l’altro è Moratti) del primo ed unico ‘Alvaro Recoba Fan Club’.
La maxi-operazione servirebbe altresì a recedere definitivamente il cordone ombelicale (dicasi comproprietà, da trasformare in cessione a titolo definitivo) che lega Matteo Paro alla Juventus, rimpinguando così le casse sociali, e, perché no, consentendo di strappare un’opzione sul giovanissimo oriundo Forestieri, talento purissimo attualmente parcheggiato al Siena.
Altro giro, altro nome. Il pacco recante il nome ‘Sergio Almiron’ giace al reparto smistamento bagagli in attesa di conoscere la propria destinazione. E’ l’eccezione che conferma la regola secondo cui è difficile scrollarsi di dosso certe etichette: gli è bastata la trasferta di Cagliari, a fine settembre, per smentire chi lo aveva eletto erede di Veron. A dire il vero, i due qualcosa in comune ce l’hanno pure (nazionalità, pelata, l’anno di nascita è divisibile per 5, i calzettoni ‘alla Sivori’), ed in più l’ex Empoli ha dalla sua una lentezza esasperante. Così, mentre Giovinco e Marchisio furoreggiano in terra toscana, il nostro è già tanto se riesce a sedersi accanto a Ranieri. La sua conferenza stampa di presentazione è una gemma incastonata nella leggenda. Poche ma significative parole pronunciate con un imbarazzo imbarazzante, perdonate il gioco di parole. Il talento di Mr. Almiron è prima avvizzito e poi evaporato in una Torino ribollente di passione, tanta, troppa per uno abituato alla placida Empoli. Il biglietto d’addio ce l’ha già in tasca, manca solo un piccolo ma decisivo dettaglio, la destinazione. I petali della margherita da sfogliare non saranno luminosi, ma questo passa il convento. Si parla di un passato che ritorna (Empoli appunto) e di un futuro che inaspettatamente si avvicina (il ritorno nella natia Argentina); l’alternativa è rappresentata da mete esotiche, e si va dal cimitero degli elefanti (Grecia e Turchia, leggasi Olympiakos e Besiktas) all’ultima frontiere del calcio dei paperoni (Russia, intesa come CSKA Mosca). L’ipotesi ventilata, onde evitare minusvalenze, è il prestito, ma trattasi ormai di bocciatura certificata. Il timbro ce l’ha messo da solo, con l’orrida prestazione in Coppa Italia, nella ‘sua’ Empoli, suggellata da un evitabilissimo rosso per fallaccio su Giovinco condito da inutili proteste.
La precaria posizione dell’argentino riabilita il compagno di mille sventure, Tiago, parso in lieve crescita e destinato a poltrire ancora tra panchina e campo, dove le sue pause fanno invidia al Celentano più ispirato. La classe c’è, il carattere spigoloso da hombre latino pure, e Locatelli ne sa qualcosa, manca tutto il resto; continuità, grinta e personalità gli fanno difetto. Lui e la Juve come Britney Spears e Kevin Federline, un matrimonio destinato al fallimento ancor prima di essere celebrato. Va di fioretto mentre l’impostazione di Ranieri richiede la spada, o, peggio, la clava di Nocerino. A ciò si aggiunga l’ingaggio da nababbo, 3 milioni netti l’anno, che allontana le possibili pretendenti. Risultato: volente o nolente, a gennaio non si muove, cosa che per altro gli riesce benissimo da alcuni mesi a questa parte, come dimostra ogni qual volta viene schierato dal tecnico romano.
Resterebbe da piazzare Boumsong, ma Secco non è attrezzato per i miracoli. Se qualcuno lo vuole, però, basta chiedere.
In entrata, il turbinio di nomi propinati dai quotidiani ha mietuto una vittima eccellente. Trattasi di Even Banega, volante del Boca nonchè mix assassino tra Pirlo e Gattuso: due giorni fa era ad un passo da vestire il bianconero di Torino, oggi è virtualmente un giocatore del Valencia, capace di rilanciare l’offerta bianconera spingendosi sino a vette inesplorate da Secco e soci (18 milioni). I soliti noti, dati in pasto ai famelici tifosi, da Borowski a Van der Vaart, da Diego a Lampard, attendono segnali da Torino. Li aspettano pure i tifosi. Non tanto i segnali, quanto i campioni.

sabato 29 dicembre 2007

Con Trezegol la Juve... Sali

Il Natale rende tutti più buoni. Tiago, però, non è tutti. E’ semplicemente Tiago, atteso come il Messia, l’uomo della Provvidenza, colui in grado di dare man forte all’attacco innervando geometrie e qualità nell’asettico centrocampo bianconero. Ad oggi, ha fallito. Prima il difficile inserimento nel mondo Juve, poi l’equivoco tattico (mediano o non mediano? Questo è il problema) e la pace dei sensi trovata da Ranieri dopo il gioco delle coppie: promossi Legrottaglie – Chiellini e Nocerino – Zanetti, per gli altri solo briciole. Tra questi ‘altri’ c’è pure Mister 13.6 milioni, rilanciato più per estremo tentativo e speranza che per effettiva convinzione. Constatato il miglioramento della fase offensiva dopo il suo ingresso a Roma contro la Lazio, il tecnico romano ha pensato bene di riproporre la medesima soluzione tattica. L’attesa, ancora una volta, era tutta per il portoghese. Ennesima prestazione senza infamia né lode (unici lampi, una palla scippata allo sciagurato Loria in piena area e l’assist a Trezeguet per il 2-0), ma ‘arricchita’ da un gancio sinistro a Locatelli, peraltro a gioco fermo. Il gesto sconsiderato meriterebbe il rosso diretto, ma Damato è in vena di regali e lo grazia ammonendolo solamente.
L’episodio conferma la pochezza della classe arbitrale italiana, affatto smentita dalle varie ‘bergonzate’ del turno prenatalizio. A parziale discolpa del fischietto di Barletta, va detto come gli assistenti siano tali solo di nome. Il vantaggio di Salihamidzic è difatti viziato dal fuorigioco di Trezeguet, ma la bandierina non si alza. La bilancia degli orrori torna in equilibrio quando Portanova intercetta di mano un cross di Tiago destinato al francese e l’arbitro lascia correre. Non è giornata, anzi, non è proprio annata per i fischietti, e nemmeno per il grande capo Collina, da oltre un mese sotto scorta permanente a seguito delle minacce di morte ricevute.
Minaccia decisamente meno opprimente è l’out-out di Ranieri ai suoi: o vittoria o ritorno anticipato dalle vacanze. Ci pensano l’inedito (o quasi) Salihamidzic ed il solito Trezeguet ad esorcizzare il pericolo. Il bosniaco, riproposto terzino destro a tempo pieno dopo il felice esperimento di Parma, getta la maschera dello stantuffo arruffone e si traveste da bomber, diventando l’attaccante più pericoloso per la porta di Manninger. Una traversa ed un colpo di testa di poco alto ad inizio ripresa sotto lo sguardo atterrito del portiere austriaco, in aggiunta alla rete del vantaggio, sono il suo personalissimo biglietto d’auguri al popolo bianconero. Il Brazzo è l’unico ad affondare il coltello nel burro della difesa senese, costringendo il buon Paolone De Ceglie sulla difensiva. Gli altri sprinter, Molinaro e Nedved, si prendono una serata di relativo relax; il Siena ringrazia, regge per un po’ ma incespica sulla propria sterilità offensiva. L’unica intuizione del ceco porta al vantaggio siglato dall’ex Bayern, il più lesto di tutti nell’avventarsi su un pallone vagante nell’area piccola e nello scaraventarlo in fondo al sacco. La passeggiata settimanale del francese in offside resta impunita, al 32° la Juve passa. I toscani si fanno notare per un gol annullato a Maccarone causa abbraccio di Portauova a Legrottaglie.
Trovato il vantaggio, la partita si trascina stancamente. Sarà l’aria natalizia, sarà l’accertata inconsistenza degli avversari sottoporta, saranno le orecchie tese alle radioline in cerca di buone nuove da San Siro, ma le emozioni non si sprecano, i lampi di talento si perdono nella noia. Ad accendere la platea ci pensa Trezeguet al quarto d’ora della ripresa, quando si porta avanti di tacco un pallone recapitatogli da Tiago e fa secco l’estremo difensore senese sul primo palo. Incredibile ma vero, si rivede persino Almiron, autore di un assist al bacio per il solito David. Suona la sveglia per Buffon, grazie al palo di Portanova ed alla punizione di Codrea che ne saggia i riflessi: collaudo superato.
Finisce così nel migliore dei modi il 2007 di Madama. Un anno fa, l’Arezzo fanalino di coda riuscì a strappare in extremis un punto insperato grazie alla doppietta di Martinetti, con la decisiva collaborazione di Boumsong. Altri tempi, il presente si chiama Serie A, con il secondo posto ad un passo, anzi, ad un punto. L’Inter è ormai off limits, perché se è vero che il Natale rende tutti più buoni, il primo della lista è Dida.

LE PAGELLE:
Buffon 6.5 – Avrà avuto tutto il tempo per scegliere il nome da dare al pargolo in arrivo...
SALIHAMIDZIC 7 – Uno… e centomila. Spinge, minaccia a più riprese la porta di Manninger e porta in vantaggio i suoi. Che Ranieri abbia trovato la soluzione definitiva all’annoso problema del terzino destro? Serve un colpo al volto per metterlo ko (Grygera 6 – Dalle sue parti non si passa).
Legrottaglie 6 – Qualche sbavatura, come in occasione del palo di Portanova, ma anche la solita eleganza e sicurezza nei disimpegni.
Chiellini 6 – Gli avversari sono poca roba, lui da par suo chiude con decisione ogni varco. Rischia l’autogol nel primo tempo.
Molinaro 6 – L’ex di turno limita le sgroppate, ma resta concentrato per 90 minuti, dimostrandosi ancora una volta uno da Juve.
Zanetti 6.5 – Schierato vertice basso del rombo di centrocampo, pur non brillando come a Roma è sempre al posto giusto svolgendo egregiamente il ruolo di schermo davanti alla difesa.
Nocerino 5.5 – Il ruolo di ala destra gli è poco congeniale, ma è soprattutto il dinamismo di Galoppa a farlo soffrire.
Nedved 5.5 – La sua stella si è offuscata dopo qualche prestazione incoraggiante. Da conservare comunque l’assist per il gol del Brazzo (Palladino ng).
Tiago 4 – Il voto è una media democratica e matematica tra il 6 per la prestazione e il 2 per il pugno a Locatelli (Almiron 6 – Toh, chi si rivede. Sergino regala una palla d’oro a Trezeguet, ma Manninger risponde presente. La domanda è: lo rivedremo in bianconero solo nelle repliche di Sky?).
Del Piero 5.5 – Si concede una domenica di tranquillità contro una delle sue vittime abituali. Pur non lesinando impegno, la porta avversaria resta una chimera.
Trezeguet 6.5 – Sbaglia un gol facile, ne segna uno ben più complicato a seguito di un controllo di tacco degno del compagno di reparto. Dedicato a Domenech.

Ranieri 6.5 – Ripropone il rombo, e i fatti gli danno ragione. Coraggioso per aver rilanciato Almiron, ottima l’intuizione di Salihamidzic terzino di spinta in assenza di ali a centrocampo.

Siena: Manninger 6, Bertotto 5.5, Portanova 6, Loria 5, De Ceglie 6; Vergassola 6, Codrea 6.5, Galloppa 6 (Forestieri 5.5); Locatelli 5.5; Maccarone 5.5, Frick 5.

Arbitro, Damato 4.5 – 1. Tiago andava espulso; 2. Il gol di Sali era da annullare; 3. C’era un rigore enorme per la Juve. Buon Natale, qualche settimana di riposo gli farà solo bene.
Assistenti, Toscano 5, Angrisani 5.

Religione: Cristiano... Zanetti

"Toglietemi tutto, ma non il mio David". Questa la sintesi del Ranieri-pensiero sulla Juve plasmata a sua immagine e somiglianza.
In linea puramente teorica, l'uomo di Testaccio si è detto disposto a rinunciare, udite udite, persino a Buffon.
La stagione in corso ha stravolto l'ordine naturale delle cose, creando un prima e un dopo, coincidente con lo scoppio di Farsopoli, saltando a piè pari l'estemporanea scampagnata nella paludosa cadetteria.
C'era una volta la Juve di Capello, troppo muscolare per molti ma troppo forte per tutti, almeno in Italia; una volta varcate le Alpi, cambiava l'antifona e giù schiaffoni made in England. Allora ne avevamo 10+1: quell''1' era Trezegol, chiamato a convogliare tutte le proprie energie negli ultimi sedici metri, tanto a farsi il mazzo pensavano gli altri. L'arrivo di Ranieri, le vicissitudini di Almiron&Tiago e i frequenti soggiorni di Camoranesi in infermeria hanno sparigliato le carte in tavola, costringendo il francese ad una distribuzione delle forze più equa e solidale. Il 'nuovo' Trezeguet, versione 2007/2008 deluxe, cerca la traccia esterna, duetta con i compagni e pressa il portatore di palla avversario in fase di non possesso, elevandosi a uomo-squadra al pari di Buffon, Del Piero e Nedved.
Nella mia personalissima classifica degli intoccabili, però, il nemico giurato di Domenech occupa l'ultimo gradino del podio, alle spalle di Buffon e... Zanetti, che si guadagna l'ideale medaglia d'oro.
Persino lo zemaniano più intransigente concorderà nel ritenere imprescindibile la figura del mediano nel calcio moderno. L'ex interista è l'unico effettivo in organico ad abbinare le due fasi di gioco, diventando il perno a fianco del quale far ruotare i vari Almiron, Nocerino e Tiago. I due lanci rubati a Pirlo e destinati, diamanti incastonati da Del Piero in fondo al sacco, hanno oscurato i mali emersi contro la volenterosa Lazio di Rossi e zittito chi lo etichetta(va?) come semplice rubapalloni. La sfortuna non lo perseguita più, i cartellini (solo gialli, per fortuna) sì, ma è il sostenibile peso dell'essere Cristiano Zanetti, factotum della mediana bianconera.
Il suo rendimento è la cartina al tornasole della squadra. Come si è visto contro l’Udinese, quando la sua uscita di scena, al pari dell’ingresso di Tiago, ha scombussolato gli equilibri consentendo agli avversari di guadagnare metri e coraggio, è una pedina indispensabile nello scacchiere di Ranieri. Il contributo del numero 6 non è quantificabile come i gol di Trezeguet o da copertina al pari delle prodezze di Buffon, ma egualmente, per non dire maggiormente, rilevante ai fini dell’economia di squadra. Legrottaglie e Chiellini sentitamente ringraziano, la loro rinascita/affermazione passa anche dal filtro da lui garantito. In Coppa Italia ha goduto di un turno di (meritatissimo) riposo, e la fatiscente zattera ha imbarcato acqua per 90 minuti, colando infine a picco come il Titanic al cospetto dell’iceberg Empoli. L’importanza di certi soggetti, insomma, la avverti paradossalmente in loro assenza.
Doveroso un sentito ringraziamento ad un calciatore ingiustamente sottovalutato da tecnici, Donadoni in primis, e addetti ai lavori, perché è facile seguire la scia delle stelle, magari solo presunte e presto cadenti, meno apprezzare chi lascia ad altri le luci dei riflettori.
P.S.: un sentito grazie va anche a colui che lo ha portato a Torino. Zanetti è stato l’ultimo, graditissimo, regalo di Moggi, che pure in passato aveva aggiunto alla rosa petali come Buffon e Trezeguet. Chissà se Blanc lo sa.

mercoledì 19 dicembre 2007

Occhio che ti fanno Secco

E' sopravvissuto, illeso, ai flop di Andrade, Almiron, Criscito e Tiago. Ora qualche telefonata intercorsa con il suo mentore Lucifero Moggi rischia seriamente di minarne il futuro professionale. La vicenda ricorda vagamente la storia di Al Capone, arrestato per evasione fiscale dopo una vita da padrino.
Il soggetto in questione è Alessio Secco, giovane ed inesperto DS bianconero. In quanto tale, ha avuto l'illuminante idea di chiedere assistenza tecnica al vecchio maestro. Chiamalo scemo. Tutto ok, non fosse che: 1. la privacy in Italia è un optional; 2. il solo nominare Moggi sia causa di fenomeni sismici con epicentro in Corso Galileo Ferraris 32. Tagliare i ponti con il passato l'imperativo categorico assoluto di C&G e Monsieur Rolland Garros, per dettagli chiedere a Roberto Bettega.
Lucifero Moggi novello Robin Hood dispensa dritte ai più bisognosi. Tradotto in 'guidorossese': Moggi tesse ancora le fila del calcio italiano, ne è il gran burattinaio, il motore immobile. Delirio.
L'attuale direttore sportivo bianconero, meriterebbe, come minimo, una sonora tirata d'orecchie per NON avere tenuto contatti costanti con il saggio Lucky Luciano, altrochè. A lui, sembra, va ascritto il merito dell'aver sventato la cessione di Nocerino. Avremo poi schivato il tragicomico duo Gianni Almiron e Pinotto Tiago, ed il tifoso bianconero medio avrebbe preservato insulti per tempi peggiori. Lo stesso Moggi ha smentito di essere il deus ex machina del mercato bianconero, e visti gli innesti in organico, non c'era da dubitarne. Ha inoltre salvato il soldato Secco, sostenendo che gli affari in casa Juve siano condotti da altri. Da chi? Tutte le strade portano a Blanc, uno che, per sua stessa ammissione, di calcio non ci capisce una cippa.
Come ideale chiusura del cerchio, qualcuno sta già preparando il necrologio al povero DS, tanto da sfogliare la margherita dei possibili eredi. Il nome più gettonato è Pietro Leonardi, attualmente all'Udinese, ma soprattutto ex delfino... di Moggi. Sarebbe il colmo dei colmi.
Sul piano umano, non ci si può esimere dall'essere solidali con Secco. Ci sarebbero 33.1 milioni di motivi per metterlo alla porta: quanto speso, euro più, euro meno, per Andrade (rotto), Almiron (E.T.) e Tiago (moscio). Bastano e avanzano. Utilizzare le telefonate come grimaldello sarebbe una meschinitò, persino per chi ha allontanato l'unico in società ad abbinare juventinità, competenza e peso politico, ovvero Roberto Bettega.
Anzichè preoccuparsi di questioni futili, è prioritaria la scelta, a questo siamo ridotti, tra stadio e mercato. Una cosa è certa: in caso di dubbio, difficilmente reclameranno l'aiuto di Moggi.

Mister Hair

Fabio Capello è il nuovo CT dell’Inghilterra. Non esattamente un fulmine a ciel sereno, come fu il suo passaggio da Roma a Torino sponda Juve. Entusiasta l’ex tecnico bianconero, forse perché alieno alla realtà mediatica britannica. Consiglio spassionato: diffidi dai presunti sceicchi.
Un primo requisito ce l’ha: è vincente nel DNA, e dopo Eriksson, perdente di successo, e McClaren, perdente e basta, è un toccasana. Dovrà innanzitutto restituire ai suoi la mentalità giusta, smarrita ogni qual volta svestono i panni del loro club d’appartenenza. Occorrerà creare un gruppo laddove attualmente troviamo solo un’accozzaglia di prime donne. Lippi c’è riuscito, avvalendosi (anche) di calibri come Zaccardo, Barone e Iaquinta, classe operaia al servizio della squadra. Il tempo gli sorride, non perché l’umidità concili con la missione capelliana, bensì per la mancata qualificazione ad Euro 2008 che consentirà al friulano di preparare in relatività tranquillità l’assalto a Sudafrica 2010.
I risultati ottenuti in carriera parlano di un feeling maggiore con le competizioni nazionali, ben 9 scudetti a fronte di un’unica Coppa Campioni (ancora si chiamava così). Come dimenticare lo storico “attaccheremo sin dal tunnel”; alla fine, ci siamo attaccati… al tram. In nazionale, dove la gestione delle risorse è diversa rispetto alle squadre di club, questo può essere un handicap.
Già in passato aveva assaporato la possibilità di guidare i sudditi di Sua Maestà, stavolta ha battuto la concorrenza di Mourinho, inviso per altro ai media inglesi, a seguito del rifiuto di quest’ultimo. In parole povere, per una volta si deve ‘accontentare’ di essere una seconda scelta, seppur di lusso.
Al contrario dell’illustre predecessore Eriksson (McClaren era il suo secondo, e venne scelto nel segno della continuità ma con il destino segnato, quello di farsi da parte alla prima occasione), non ha scheletri nell’armadio, leggasi imbarazzanti love story o manie da provolone, e persino per gli agguerriti tabloid sarà impresa ardua scalfirne l’immagine. La sua ‘macchia’ risale al 14 novembre 1973, Inghilterra – Italia 0-1, primo successo dei ‘camerieri’ azzurri in terra d’Albione, firmato Capello, in gol anche nel 2-0 della sfida di andata disputata a Torino. Dalle parti di Downing Street se la sono legata al dito, ‘sti rosiconi. Dovrebbero esserne felici, se il buongiorno si vede dal mattino, il feeling è già solido. Il duro di Pieris ha pure promesso di padroneggiare l’inglese per il primo ritiro, e, dovesse evitare qualche intoppo di natura linguistica, il più sarebbe fatto. In attesa dei primi responsi del campo, of course.
Prematuro parlare di scelte tecniche. Si parla di un passaggio da consegne tra l’attuale capitano Terry ed uno tra Gerrard e Lampard, mentre è probabile il definitivo rilancio dell’amico-nemico Beckham, unico leone d’Inghilterra a conoscere i metodi dell’allenatore italiana per la comune esperienza in quel di Madrid.
Per Don Fabio è l’occasione della vita: vincere per smentire gli scettici, quelli che lo accusano di vincere grazie all’accondiscendenza del presidente di turno, potendo usufruire di squadroni ammazza-campionato. Portare la nazionale perdente per antonomasia, capace di strappare un solo titolo mondiale, in casa e fra le polemiche, ormai oltre 40 anni fa, sul tetto del mondo, zittirebbe, forse, tutti.
Good Luck (ma neanche tanto), Mister Hair.

martedì 18 dicembre 2007

Andavo a 100 all'ora (poi sono andato fuori giri)

Antonio Nocerino ha visto, in questi mesi bianconeri, cose che noi umani…
Prima, una telefonata da Torino lo costringe a fare retromarcia in prossimità del casello di Firenze Sud, quando probabilmente il ragazzo aveva ormai pronti tutti i cliché dell’ex ‘gobbo’ passato in viola (già visti ai tempi di Maresca e Miccoli). Indietro tutta, refresh mentale, e via verso Pinzolo. Percorso quasi inverso per Marchisio, che prosegue sino ad Empoli dove ritrova Giovinco, compagno di mille avventure. Il mastino napoletano ha idealmente appeso sulla schiena il cartello “Lavori in corso”: torna per imparare, è l’ultima ruota del carro, parte dietro i nuovi profeti del calcio spettacolo Almiron e Tiago ed è preceduto anche dall’utile Zanetti. Ranieri lo lancia in precampionato, sintomo di fiducia e premessa ideale per una stagione da rivelazione. Dopo essersi fatto un nome come mezzo sinistro nel centrocampo a 3 del Piacenza, si ritrova diviso tra il ruolo di centrale e ala destra in bianconero. Antonio mille usi. Un lunedì sera come tanti, in pieno centro a Torino, una macchina lo investe: parabrezza distrutto. Per il ragazzo, bernoccoli, ammaccature assortite e tanta paura. Domenica c’è la Roma, e c’è pure il Noce, risalito nel frattempo nelle gerarchie di mister Ranieri. Di lì a poco diverrà spalla fidata di Zanetti, più per demeriti altrui (letargo di Almiron&Tiago) che per meriti proprio. Segue un’altalenante rendimento (parte bene, si spegne progressivamente, rinasce contro l’Atalanta, di nuovo male a Roma), ma è ormai un punto fermo in costante movimento nel rettangolo di gioco.
Foriero di buone intenzioni, purtroppo i piedi vanno per i fatti loro, tanto da farne paladino del gioco alla ‘viva il parroco’. Il dinamismo lo salva dalla panchina, essendo le sue carenze meno drammatiche nell’economia di squadra rispetto all’inconsistenza dei due titolari designati. Avrebbe bisogno di tirare il fiato, ma i delicatissimi equilibri dell’undici di Ranieri lo rendono imprescindibile, il che rende l’idea dell’attuale dimensione dei bianconeri. La sosta, a questo proposito, cade al momento giusto.
Il peso specifico del suo (spezzare il) gioco lo si è visto proprio nel momento in cui è mancato, come contro la Lazio. I limiti della coppia centrale Legrottaglie – Chiellini sono emersi prepotentemente al cospetto del terzetto formato da Mauri, Rocchi e Pandev, non esattamente emuli delle gesta del mitico trio GreNoLi. E’ tuttavia bastata la loro generosità per mandare in tilt i meccanismi difensivi bianconeri. Piccola consolazione, per il primo Legrottaglie visto a Torino una prestazione del genere sarebbe stata la norma, alla luce della recente rinascita è invece un’eccezione. Rocchi sentitamente ringrazia ma maledice i riflessi felini di Buffon. Chiellini alterna pasticci ad interventi risoluti, e ci aggiunge le dormite su entrambi i gol (I, l’ex Primavera juventino lo anticipa; II, buca l’anticipo di testa su Pandev). Lo scarso filtro del mastino napoletano ha certamente agevolato ed ingigantito gli errori individuali. Lui stesso ha svirgolato clamorosamente un rinvio consegnando a Mauri il pallone del vantaggio, a tu per tu con Buffon. Nella ripresa fatica a trovare la posizione nel rombo di centrocampo, lasciando al povero ma ricco d’idee Zanetti l’onere di gestire le due fasi di gioco.
Ormai si parla di fase difensiva, che vede coinvolti a rotazione tutti gli effettivi con responsabilità quindi diffuse in caso di carenze d’impianto. Ne consegue la necessità di individuare quel rinforzo in grado di garantire meno patemi a Buffon, prima di pensare ad iniettare qualità in mezzo al campo, altrimenti il rischio di un nuovo rigetto è alto. Con tutto il rispetto, difficilmente potrà essere Mellberg a consentire il salto di qualità ad una squadra in cerca di certezze. Domanda da 10 milioni di euro (circa): per Secco, Lugano è solo una città della Svizzera?

Talento senza testa

Genova, Stadio Marassi, benvenuto al Cassano Horror Picture Show.
Il suo personalissimo psicodramma va in scena al minuto 39. Ujfalusi lo abbraccia da dietro, l’arbitro se ne infischia e lascia correre. Sul prosieguo dell’azione, Pazienza tenta di ingroppare il povero Bellucci, ma per Banti è tutto ok; Montolivo inventa per Mutu che la schiaffa dentro: 1-1. Dapprima il ragazzo incassa lo smacco con ironia, limitandosi a richiamare l’attenzione del quarto uomo, tale Velotto; quando è quest’ultimo a richiamare l’attenzione di Gava ed il barese si vede sventolare sotto il naso un giallo per proteste, a seguito di una semplice associazione mentale (diffida + ammonizione = squalifica) realizza di essersi giocato la sfida di Roma contro i giallorossi, attesa come nemmeno la reunion dei Led Zeppelin dal popolo del rock. In pieno delirio dadaista, si alza la maglietta nonostante il freddo polare, se la strattona, si rivolge ad un imbarazzatissimo Mazzarri pronunciando frasi probabilmente sconnesse come la Salerno – Reggio Calabria (il suo maestro, non a caso, è Totti), si inginocchia, faccia a terra, sbatte il pugno destro sul manto erboso, si rialza e cammina come Lazzaro ed inveisce contro il mondo. Solo l’intervento di alcuni compagni, e persino dell’amicone Vieri e di Mutu, lo riconduce alla ragione. La quiete prima della tempesta. L’arbitro, come norma e regola, fischia la fine del primo tempo: non l’avesse mai fatto. Totò riprende ad insultarlo in tutte le lingue del mondo, barese in testa. Il rientro negli spogliatoi priva il pubblico, forse, di ulteriore spettacolo.
Nell’intervallo, un po’ tutti a chiedersi che ne sarà di lui. Aldilà del prevedibile cazziatone-paternale, Mazzarri lo sostituirà? Negativo. E dato che non si può essere genio e sregolatezza senza la prima componente, dall’alto del suo metro e un barattolo incorna (!) alle spalle di Lupatelli versione statua di sale un pregevole cross di Maggio.
Fra tutti i soprannomi che gli hanno appioppato, il più azzeccato è senza dubbio ‘Peter Pan’, eterno bambino, quasi imbarazzante nel suo essere semplicemente Antonio Cassano, anticonformista, nichilista e capace di dissipare un talento unico.
Sbarcato a Genova dopo l’incubo madridista (a nove zeri), subito adottato dal pubblico per l’abilità, piuttosto rara da queste parti, di infiammare le folle anche solo danzando sul pallone, ha inanellato una (sur)reale serie di esperienze. Vado a memoria: infortunio all’esordio in amichevole; gol con spogliarello contro l’Atalanta; primo caso rilevato su scala mondiale di autosostituzione a Catania, con tanto di “vaffa”, dedicato con amore all’amico Montella; edulcorato scambio d’opinioni con Ulivieri, tecnico della Reggina, dal quale esce incredibilmente a testa alta, un po’ perché “la parola scusa non fa parte del mio vocabolario” (cit.) “in campo sono cose che accadono” (cit.) e così via con la fiera dei luoghi comuni-ma-nemmeno-tanto. Rimedia poi solo un giallo, mentre il povero Renzaccio viene addirittura cacciato. La legge del contrappasso, implacabile come Trezeguet, lo condannerà, però, a forzato esilio calcistico dalla capitale, siccome, tanto per sviscerare un’altra ovvietà, la vendetta è una piatto che va consumato freddo.
Diceva di essere cambiato. La sceneggiata un po’ napoletana, un po’ barese, molto Cassano dimostra il contrario.
I suoi difensori denunciano l’eccessiva ‘premura’ dei direttori di gara nei suoi confronti. Ormai prigioniero del personaggio, dovrebbe piuttosto rammentare certi eccessi passati e fare mea culpa. Se al posto del talento di Bari Vecchia ci fosse stato un Palombo qualsiasi, al cartellino giallo si sarebbe aggiunto un bel rosso fiammante.
Ah, i piedi non sono mai stato un problema. Anche questo lo ha confermato domenica.
Dopo la ‘gnocca senza testa, ecco a voi il ‘talento senza testa’.

Milano esulta dal tetto d'Italia e del mondo

16 dicembre 2007, domenica da ricordare per la Milano calcistica.
In rigoroso ordine cronologico: il Milan si laurea campione del mondo per club annientando il Boca con un netto 4-2; la Roma soffre, rischia e strappa un punto a Torino; l’Inter si avvia alla conquista del primo scudetto degno di questo nome dal lontano 1989 espugnando Cagliari grazie a Cruz e all’ex di turno Suazo.
I nerazzurri raggiungono quota 40 e volano a +8 sugli uomini di Spalletti. Non fosse per la presenza di una cassapanca di nome Bjelanovic spacciata per torre offensiva al centro dell’attacco, e per il comico misunderstanding tra Di Michele e Rosina capaci di sparare fuori a porta vuota da pochi passi, si parlerebbe di aggancio bianconero. Per dirla tutta, un rigore per fallo di Dellafiore su Vucinic ci poteva pure stare, ma non basta a giustificare una prestazione così scialba.
La Juve scaccia il mal di trasferta e pur soffrendo la vivacità delle punte laziali + Mauri porta a casa tre punti pesantissimi. Trezeguet e Del Piero (uno-due in fotocopia tra il 48° e il 70°) suggellano la vittoria; ai padroni di casa non bastano gli sbandamenti della difesa ospite e la doppietta di Pandev.
A Genova, la Fiorentina strappa un punto che fa più morale che classifica. Frey è ko per un mese, e si vede: Lupatelli papereggia, Gastaldello sentitamente ringrazia. Ci pensano Mutu e Donadel a ribaltare il risultato, ma Cassano, di testa, sigla il definitivo 2-2. Proprio il barese aveva, in occasione del pareggio del rumeno, monopolizzato l’attenzione del paese per un surreale psicodramma causa ammonizione e conseguente squalifica.
All’Udinese, nell’anticipo pomeridiano di Catania, va peggio. Marino riceve applausi, ma soprattutto due sonori schiaffoni firmati Mascara. In Sicilia se la ride pure il Palermo, rivitalizzato dalla cura Guidolin, come dimostra il 3-1 di Bergamo. Avanti con un’incornata di Cavani, l’autogol di Langella chiude virtualmente i giochi, la zampata di Amauri a coronamento di una splendida azione mette il sigillo sulla partita. Per non annoiare il pubblico presente, ci pensa lo stesso brasiliano a riaprire il match, deviando sotto (la propria) porta una punizione innocua di Tissone ed ingannando così l’incolpevole Fontana.
Il Napoli privo di Lavezzi non va oltre il pareggio a Siena, e ringrazia Bogliacino, schierato a supporto dell’unica punta Zalayeta, che riacciuffa i toscani in vantaggio con un Frick in gran spolvero.
Al Tardini, il Parma orfano del ribelle Morfeo avvicina la Reggina alla cadetteria. Corradi, Pisanu e Paci, difensore-goleador, rinsaldano la panchina di Di Carlo.
Dulcis in fundo, l’Empoli, a cui ha giovato il cambio di allenatore, pareggia in casa con il Genoa. Giovinco (3° gol in A) batte Rubinho concludendo nel migliore dei modi un’azione promossa dall’intraprendente Marchisio. Masiello, ex stellina della Primavera bianconera, a pochi minuti dalla fine spegne i sogni di gloria degli uomini di Malesani.
Tutto, però, passa in secondo piano di fronte al 14° scudetto nerazzurro.

Classifica:
Inter 40
Roma 33
JUVENTUS 32
Udinese 28
Fiorentina 25
Palermo 25
Napoli 22
Atalanta*, Catania, Sampdoria 21
Milan***, Parma 18
Lazio 17
Torino, Genoa 16
Siena, Livorno*, Empoli 14
Cagliari, Reggina* 10

* = 1 partita in meno; *** = 3 partite in meno.

Dietro si balla, davanti che sballo con Alex!

Corsi e ricorsi storici.
L’11 dicembre 1994, la Juventus trascinata dal giovane Del Piero, autore di una doppietta, espugna l’Olimpico sconfiggendo la Lazio con un rocambolesco 3-4.
Tredici anni e quattro giorni dopo, ancora Lazio – Juve, ancora Del Piero, ancora doppietta. Cambia solo il risultato, resta lo spettacolo.
Altra curiosità: l’unica vittoria ottenuta in campionato lontano da Torino risale ad inizio settembre, a Cagliari. Niente freddo polare, bensì un caldo boia; Foggia era un trottolino indemoniato, mica il fantasmino Casper post-Marchini; Andrade, Criscito e Almiron non avevano ancora conosciuto, rispettivamente, infermeria, panchina e tribuna. Identico il risultato, 2-3, tutti a casa alè.
Siccome squadra che vince non si cambia, Ranieri ripropone il solito undici, con l’eccezione di Del Piero al posto dell’influenzato Iaquinta. L’assenza di Camoranesi causa infortunio, ormai, è regola sacra ed inviolabile, così come la panchina di Tiago. Rossi punta ancora sul sin qui deludente Mauri e affida le proprie fortune al duo Rocchi – Pandev.
Proprio il movimento dei tre su tutto il fronte d’attacco manda in confusione la difesa bianconera, priva di punti di riferimento e troppo spesso in balia delle sfuriate avversarie. Il fortino bianconero regge soprattutto per merito di Buffon, autore al 65° di una parata allucinante, con la manona aperta, su tiro a botta sicuro di Rocchi, abile a sfruttare l’ennesimo sonnellino di Legrottaglie e compagni.
Il tecnico romagnolo ha ben poco da imputare ai suoi, bravi nel mettere a nudo tutti i limiti (e non sono pochi) del Ranieri team. Un esempio al 18°: cross dalla destra di Ledesma, Nocerino litiga con il pallone, la sua svirgolata attiva Mauri che sparecchia in curva. Brividi.
E la Juve? Il Brazzo alza troppo la mira dopo pochi minuti, Chiellini si divora un gol a due passi da Ballotta, stop. Mai vista una Lazio così convincente, quello della Juve sonnacchiosa in trasferta è invece un film già visto. Ci pensa Trezeguet, suo malgrado, ad indirizzare la partita sui binari giusti. E’ il minuto 29, Del Piero batte l’angolo, Chiellini svetta, la palla finisce prima sulla coscia, poi sul destro di Salihamidzic, incoccia su Trezeguet, si impenna e finisce in rete.
Mentre la coppia Caressa&Bergomi è ancora impegnata a dimostrare la regolarità della rete del francese, la Lazio reagisce e fa fare alla retroguardia juventina la figura delle belle statuine. Kolarov lancia Rocchi, bravo ad anticipare Chiellini e ad allargare per Mutarelli, che di piattone mette in mezzo per l’accorrente Pandev, la cui capocciata vale l’1-1. Nell’azione, da segnalare la scarsa reattività di Legrottaglie e la sorpresa di Molinaro nel vedersi uccellare dal macedone.
Attenzione, però, perché Ranieri ha pronto l’asso nella manica. Nella ripresa, entra Tiago per Nedved. Antefatto: verso la fine del primo tempo, scontro aereo tra Scaloni e il ceco, quest’ultimo riporta una ferita lacerocontusa alla testa, prima resiste e poi desiste. La scelta sorprende ma ha una sua precisa logica. Il centrocampo è ora schierato a rombo, con Zanetti vertice basso ed il portoghese a fornire assistenza tecnica alle punte. La posizione dell’ex interista ha la duplice valenza di contrastare i tre moschettieri di Rossi e far ripartire immediatamente l’azione.
Detto e fatto. Passano tre minuti, ed è proprio Cristiano ad innescare Del Piero con una sciabolata millimetrica dal limite della propria area di rigore. Il capitano controlla, svernicia Siviglia costretto a coprire per la latitanza di Scaloni, e di sinistro infila Ballotta con un diagonale. Applausi.
Guai a dare per spacciati gli avversari. La fase difensiva della Juve non sembra beneficiare del cambiamento di modulo, soprattutto a causa della difficoltà di Nocerino e Salihamidzic nel disimpegnarsi in una nuova posizione.
La già citata occasionissima di Rocchi fa il paio con l’occasione di Trezeguet, che vanifica un pallone recuperato da Tiago (!!!), sparando sul portiere in uscita. Il francese si fa apprezzare per il pressing sul primo portatore di palla laziale, concentrandosi sul centro-destra della zona d’attacco a testimonianza della riuscita evoluzione fortemente voluta da Ranieri, ma eccezionalmente, nonostante il gol (fortunoso) manca in zona gol.
Ci pensa ancora una volta la premiata ditta Zanetti – Del Piero, che replica la fortunata scena valsa il vantaggio. Lancio di 53 metri, stavolta addirittura dall’interno dei propri sedici metri, del mediano, Alex controlla d’esterno destro, corre verso Ballotta lasciandosi alle spalle uno Scaloni forse rincoglionito dalla testata con Nedved, ed infila, ancora di sinistro ma sul primo palo sotto la traversa, l’incolpevole nonnetto.
Siamo al 70°, e la rete di Pandev in pieno recupero (su ennesimo blackout della difesa bianconera) serve solo a rendere giustizia ad una squadra che, per onesta intellettuale, avrebbe meritato di più. Un punto, almeno.
Ranieri è stato chiaro nel post-partita, affermando di salvare solo il risultato. Come rilevato da Buffon, le colpe per l’emozionante rendimento del pacchetto arretrato sono da dividere con il centrocampo incapace di fare filtro. A mancare è soprattutto il contributo di Nocerino, inabissatosi nel primo tempo e non riemerso nella seconda frazione. Fortunatamente per lui, mancano i ricambi. Nemmeno l’assenza di una punta (Iaquinta) ha permesso ad Almiron di riguadagnare la panchina, dove si è invece seduto Olivera. Tiago, senza infamia né lode, è troppo discontinuo nella giocata e lento per essere nel cuore del gioco. Chi problemi non ne ha è Del Piero: primo tempo così così, nella ripresa, con un Iaquinta qualsiasi, sfrutta due lanci lunghi(ssimi) e sigla la doppietta nello stadio che ospitò il primo gol ‘alla Del Piero’. Dedicato a chi sostiene che Del Piero abbia mezz’ora d’autonomia.
I complimenti, per una volta, li merita il pubblico di casa, composto in occasione del minuto di silenzio in memoria di Riccardo Neri e Alessio Ferramosca, scomparsi un anno fa. Questa vittoria è per loro.

LE PAGELLE:
Buffon 7.5 – La parata su Rocchi al ventesimo della ripresa è meritevole di Pallone d’Oro. Chiude tutti i varchi possibili, unica pecca l’uscita sul secondo gol di Pandev.
Zebina 6 – Il meno peggio là dietro, nonostante le accelerazioni laziali lo costringano sulla difensiva.
Legrottaglie 5.5 – La sensazione che fornisce è di insicurezza. Non la penserà così il buon Rocchi, che sovente gli sfugge.
Chiellini 5.5 – Pericolo… in entrambe le aree di rigore. Anticipato da Rocchi sull’1-1 e da Pandev sul definitivo 2-3.
Molinaro 5 – Si conferma tecnicamente approssimativo, in fase difensiva è assente non giustificato sul pareggio laziale.
Salihamidzic 6 – Tenta il jolly da fuori area, partecipa al vantaggio firmato Trezeguet, si impegna, chi lo nega, e corre da buon soldatino. Ah, avesse pure i piedi…
Nocerino 5 – Non pago di correre a vuoto, regala a Mauri una palla d’oro con una svirgolata in piena area.
Zanetti 7 – Cambia il modulo, non la sostanza: in fase difensiva, è solo contro tutti nel tentativo di arginare i volitivi avversari. Il suo capolavoro sono i due lanci rubati a Pirlo e diretti al suo capitano. Sempre più insostituibile.
Nedved 5.5 – Lui non lascia il segno nel match, il match, o meglio, Scaloni, gli lascia (involontariamente) un bel taglio in testa (Tiago 6 – Giochicchia, recupera anche un bel pallone su Mudingayi per poi innescare Trezeguet. In crescita, sempre tenendo in considerazione che far peggio rispetto alla disfatta di Empoli era impossibile pure per lui).
Trezeguet 6 – Lotta, pressa, e di cognome fa Trezeguet, mica Nocerino. E segna pure, mica è una novità, proprio perché di cognome fa Trezeguet. Per lo stesso motivo, sorprende e non poco l’errore a tu per tu con Ballotta.
DEL PIERO 8 – Due gol in fotocopia, dopo un primo tempo non esaltante. Tanto basta per rilanciarsi e mettere al sicuro la partita. Smentisce clamorosamente i suoi detrattori, crescendo nella seconda frazione. Mai darlo per finito.

Ranieri 7 – La mossa a sorpresa ad inizio ripresa (dentro Tiago) ed il conseguente cambio di modulo agevola la squadra in fase d’attacco. Avanti così.

Lazio: Ballotta 6, Scaloni 5 (De Silvestri ng), Siviglia 5.5. Cribari 6, Kolarov 5.5; Mutarelli 6, Ledesma 5.5, Mudingayi 5.5 (Meghni ng); Mauri 6; Rocchi 6.5, Pandev 7.

Arbitro, Brighi 6 – Arbitro emergente, tiene in mano la partita non commettendo errori marchiani.
Assistenti, Lanciano 6.5, Ayroldi 6.5.

Tre uomini e una maglia

Il passo da team manager a direttore sportivo non è breve. A giudicare dai risultati, è stato più lungo della gamba.
Assorbito da mille impegni, Alessio Secco ha dimenticato di inviare la letterina a Babbo Natale. Sarà che i pacchi (da Andrade a Tiago, passando per Almiron) sono stati scartati da tempo, ma di regali sotto l'albero neanche l'ombra. Si preannuncia un gennaio di vacche anoressiche, almeno in ottica mercato.
Il tesoretto scampato allo scempio estivo è al sicuro in cassa, preservato in vista di tempi propizi. I primi mesi di campionato hanno fornito preziose indicazioni, evidenziando vizi e virtù del gruppo e di conseguenza invitando ad indirizzare gli sforzi verso determinati obiettivi. Il diktat di Ranieri è chiaro, l'identikit tracciata: serve l'uomo dell'ultimo passaggio.
Il logorio fisico di Camoranesi, ormai ospite fisso in infermeria, priva la squadra di quell'imprevedibilità che il simpatico Salihamidzic è impossibilitato a concedere causa limiti fisiologici e Marchionni vorrebbe, potrebbe ma non riesce a regalare in quanto più avvezzo alle corsie d'ospedale che a quelle laterali del terreno di gioco. E non inganni la recente resurrezione di Nedved, ringalluzzito da intensivi allenamenti ad hoc dopo aver rigettato la preparazione estiva, la stessa colpevole di aver imballato le gambe avvizzite di Tiago. Il ceco è ormai all’ultimo giro di valzer, la carta d’identità parla chiaro. Avendo un chiodo fisso, Roma 2009, possibile appenda gli scarpini al chiodo solo tra un anno e mezzo, magari dopo avervi appuntato anche l’agognato alloro europeo.
L’ABC del buon direttore sportivo consiglia di condurre un mercato sottotraccia, al fine di evitare aste selvagge e speculazioni. La Juve rischia così di pagare a caro prezzo la trasparenza dei suoi uomini mercato, essendo ormai noti all’umanità intera gli obiettivi del prossimo mercato bianconero.
La margherita nelle mani di Secco ormai conta solo tre, preziosi, petali, rappresentanti Diego, Lampard e Van der Vaart, così diversi nella forma ma così simili nella sostanza, intesa come assicurare alla manovra quel salto di qualità ad oggi vanamente inseguito.
Il brasiliano è la luce del Werder, variabile impazzita e necessaria alla disciplina teutonica nonché perfetta integrazione a fisicità e grinta made in Borowski & Frings. La sua avventura in Germania è ormai agli sgoccioli, le sirene delle grandi d’Europa sono un richiamo irresistibile per le mire del ragazzo e le casse del club. Con quel numero sulle spalle (10) e quel nome (Diego) non può che essere giocatore di fantasia, sia sasso che fionda per la capacità di coniugare doti di goleador e assist-man. Ingaggio accessibile, il suo ‘tallone d’Achille’ è il prezzo, stimato sui 30 milioni ed in crescita costante. Roba da pazzi, da Chelsea o da Real.
Lampard ha il problema inverso. Età e scadenza contrattuale rendono il cartellino appetibile, ma lo stipendio da nababbo raffredda ogni interesse. Centrocampista totale con un debole per la fase offensiva ed anima del Chelsea, sarà una delle pietre su cui Don Fabio fonderà la nuova Inghilterra. Il mito calcistico dei sudditi di Sua Maestà profeti (solo) in patria merita un doveroso appunto, essendo gli inglesi piuttosto restii ad abbandonare l’amata Premier League. I migliori interpreti del football d’oltremanica si sono ben guardati dall’espatriare, lasciando via libera a schiere di comprimari, talmente modesti da suscitare l’errata convinzione di un’idiosincrasia diffusa nei confronti del calcio estero. Lo stesso Capello ha potuto constatare l’errato pregiudizio nella persona di David Beckham. Prototipo del calciatore-divo, truzzo da boyband buono solo per le riviste all’apparenza, calciatore e serio professionista nella sostanza, ha conosciuto le stalle (fuori rosa dopo la firma con i LA Galaxy) e le stelle (riabilitazione e prestazioni importanti), trascinando i suoi al titolo prima di tuffarsi nella molto ben remunerata avventura americana. L’Italia ha ospitato le gesta, tra gli altri, di Paul Ince, onesto mediano transitato con discreta fortuna da Appiano Gentile, e di quel mattacchione di Gazza Gascoigne, capace di far annegare il proprio talento in epiche sbronze. Estendendo il discorso a tutti gli abitanti dell’isola, impossibile dimenticare il fenomenale John Charles, gallese come Ian Rush, anch’egli, suo malgrado, indimenticabile. Lampard è campione vero, quindi, perché no? Ah già, 7 milioni netti annui.
Gira che ti rigira, l’obiettivo forse meno bello, ma anche meno impossibile, è Rafa Van der Vaart. Ajacide DOC, l’Amburgo l’ha salvato dalla normalizzazione consentendogli il salto di qualità in una realtà dove la sua presenza costituisce l’unica speranza di gloria. Ha più volte rigettato offerte di rinnovo, ribadendo altresì il desiderio di cambiare aria. Nemico giurato di Ibra, il che non guasta, ha una moglie bellissima, e nemmeno su questo ci si sputa. Cartellino e ingaggio sono a misura di Juve, almeno per il momento.
Altro pregio, la capacità di tagliare da sinistra al centro come Nedved, rispetto al quale vanta un maggior tasso tecnico ma minor potenza. Ranieri potrebbe così proseguire sulla strada sin qui battuta, armando una squadra camaleontica, in grado di cambiar pelle in corso d’opera. L’arrivo di Diego o Lampard lo costringerebbe invece ad abbandonare il classico 4-4-2 a favore di un modulo che garantisca maggior libertà d’azione alla nuova stella.
Entrambi, pur avendo peculiarità diverse, tali da essere virtualmente compatibili, danno il meglio se sgravati da obblighi di copertura.
Chi la maglia della Juve ce l’ha ormai scolpita addosso è Giovinco. Il talento lillipuziano sta confermando le proprie strabilianti doti tecniche in quel di Empoli, dove sta conoscendo finalmente un utilizzo costante dopo l’avvicendamento di Cagni con Malesani. E se fosse l’uomo dell’ultimo passaggio reclamato da Ranieri? In epoca di austerity e linea verde, la scelta avrebbe un suo perché. Quel ‘21’ sulle spalle, le movenze e la… capigliatura, sintomi di un futuro già scritto.
Inutile attaccarsi al passato per attaccare il presente. Mai e poi mai Moggi avrebbe investito cifre importanti su un trequartista brasiliano 22enne; l’avrebbe fatto su Lampard, il quale, però, a suo tempo preferì le sterline di Abramovich. Oggi, le aggravanti sono rappresentate da quel fascino intatto solo agli occhi dei tifosi e, tornando al discorso di partenza, una dirigenza inadeguata. Su entrambi i punti si può lavorare, e non c’è miglior spot di un grande botto di mercato. Blanc permettendo.

lunedì 10 dicembre 2007

L'incredibile parabola di Legrottaglie, da pecorella smarrita a figliol prodigo

Secondo un vecchio adagio, "chi ben comincia è già a metà dell'opera". Ecco spiegato il traumatico rapporto 'Legrottaglie - Juventus, parte I°'.
Il suo look, in occasione della presentazione, è destinato ad entrare nella leggenda, come apologia del trash. T-shirt rossi, 'pinocchietti' a righe in tinta con la maglia, e, soprattutto, infradito, destinati a diventare un must. Forse, sin da quei tragicomici momenti, Moggi ha iniziato ad interrogarsi sulla bontà dell'affare. Il direttore, in giacca e cravatta d'ordinanza, come del resto Bettega e Giraudo, si è trovato di fronte un simil-tronista (deportato di peso da qualche spiaggia assolata?), abbronzatissimo e mechatissimo, roba da far invidia a Mexes.
Montero, suo compagno di reparto designato, lo soprannomina affettuosamente, ma anche no, 'el mesciato'; per i tifosi, sarà ora e sempre, nei secoli dei secoli, 'infradito'. Amen.
La pubalgia inizia a marcarlo stretto, meglio di quanto non faccia lui con gli avversari, Martins su tutti, capace di soffiargli il pallone da sotto il naso prima di infilare Buffon. Juve - Inter 1-3, un po' lo specchio di una stagione balorda. Sul banco degli imputati, finisce proprio Nicolino nostro. Capro espiatorio? Non proprio: ripensando a certe topiche da principiante, caprone, e basta. A far crescere esponenzialmente il rammarico, il pensiero che la Roma, battuta nella corsa al difensore, abbia 'ripiegato' su Christian Chivu. Dulcis in fundo, conquista l'ambito 'Bidone d'oro', succedendo al Rivaldo-bradipo rossonero. Uau.
Al momento di spiccare il volo, qualcosa è andato storto. E pensare che il buon Nicola, in carriera, aveva già conosciuto momenti difficili. Pugliese di Canosa, dopo la trafila nelle giovanili del Bari, armato di una valigia piena di sogni e infradito, inizia una lunga gavetta. Pistoiese, dove il compianto Catuzzi lo trasforma in centrale difensivo ('tacci sua), Prato, Chievo, Reggiana e Modena. Per una volta, si ritrova nel posto giusto al momento giusto. La sua fortuna coincide con quella del Chievo dei miracoli. Alla corte di Del Neri conquista prima la A, poi la maglia azzurra. Passato alla Juve per una cifra che fa male ricordare, nel giro di un anno perde tutto: nazionale, posto in squadra, fiducia in se stesso. Via Lippi, arriva Capello, che non fila di pezza. Logica conseguenza, il prestito al Bologna. Al momento del suo arrivo, i felsinei navigano in acque tranquille; il suo contributo rende possibile la retrocessione in B, al termine di un drammatico doppio derby-spareggio contro il Parma di Gilardino.
La società emiliana, manco a dirlo, lo rispedisce indietro. Capello non sa cosa farsene, e siccome gli amici si vedono nel momento del bisogno, il Siena se lo accaparra al termine di un'asta alla quale è l'unica partecipante. Disputa un campionato tutto sommato dignitoso, fallendo laddove era riuscito in Emilia. Il Siena si salva, ma, soprattutto, tale Tomas Guzman lo salva, indicandogli la via del Signore.
Detta così, la vicenda si presta a risate e sonori pernacchioni di scherno. In realtà, il paraguaiano, talento mancato ma predicatore in erba, fa parte degli 'Atleti di Cristo', movimento nato in Brasile, nelle cui fila troviamo, tra gli altri, il futuro pastore Kakà.
L'incontro con il Signore gli cambia la vita. Per vedere un nuovo Legrottaglie in campo, dovremo invece aspettare ancora un paio d'anni. Abbiate fede, fratelli.
A fine anno, torna, per rimanerci, in bianconero, quello di Torino. La realtà è radicalmente cambiata, oggi si chiama B; gli avversari non sono più Adriano e Totti, ma Serafini e Ricchiuti. Siccome nella vita ci vogliono dei punti fermi, il nostro eroe riparte da dove aveva lasciato, cioè dalla tribuna. E' l'ultima ruota del carro, insomma; per sua fortuna, il carro in questione è trainato da Boumsong e Kovac, visto che le disgrazie non vengono mai da sole.
Collezionerà solamente 10 presenze, per quel maledetto fattore S onnipresente ed inopportuno. Due sono i momenti particolarmente significativi nella sua stagione. Il primo, a Napoli; assente la coppia titolare, tocca all'inedito due Legrottaglie - Chiellini (dice nulla?) contrastare Calaiò & co.. Il nostro eroe disputa un match impeccabile, ma ad inizio ripresa, succede il patatrack. Un avversario tenta di sodomizzarlo in piena area di rigore, causando una lussazione alla spalla sinistra del difensore ritrovato. 3 mesi di stop, arrivederci a febbraio. E febbraio sia. Deschamps, notoriamente foriero di intuizioni geniali, pensa bene di rilanciarlo contro il Vicenza. Entra con la squadra in vantaggio per 0-2: finirà 2-2, e lui qualche responsabilità ce l'ha, pur attenuate, solo parzialmente, dalle attenuanti del caso.
La sua esperienza tra le fila della Vecchia Signora sembra destinata a finire in estate. L'ingaggio elevato frena i potenziali acquirenti italiani. Spunta il Besiktas, pare tutto fatto per 2.5 milioni di euro, a dimostrazione del disinteresse verso il calcio italiano in Turchia. Il vecchio saggio, sotto le spoglie di Giovanni Trapattoni, diceva: "non dire gatto se non ce l'hai nel sacco", e aveva ragione. L'affare sfuma, a causa, sembra, di una vecchia pendenza con l'ex tecnico Del Bosque. La Juve non ci sta, si parla di una denuncia alla società turca, tale è la voglia di liberarsi di Legrottaglie. Niente da fare, lo champagne può tornare al fresco, Nicola non si schioda. Lo stesso Nicola conferma di essere stato virtualmente un ex bianconero. Sliding doors.
Presentarsi ai nastri di partenza, consapevole di essere rimasto solo per una trattativa andata in malora, e dopo un anno in cadetteria come riserva di Boumsong, richiede fede e pazienza: no problem. Nel frattempo, si completa la trasformazione da brutto anatroccolo a cigno. Non più biondo, ormai moro, le meches sono un pallido ricordo. Addio ai bagordi notturni, è tutto casa e chiesa. Unica reminiscenza, gli infradito. Fantastica un'immagine risalente all'estate 2007, che ritrae il difensore (t-shirt, bermuda e, appunto, infradito) a colloquio con Secco (versione "Le Iene").
Il resto è storia recente. Andrade fa crack, Criscito fa flop, spazio a Nicola II da Bari. La sua nuova versione, tirata a lucido e guidata da Dio, è elegante nei disimpegni, puntuale negli interventi ed insuperabile di testa. In due parole, un muro. L'unica pecca, il rigore regalato alla Fiorentina proprio in extremis per un ingenuo fallo di mano.
Ricucito lo strappo con la curva, ora punta a conquistare Donadoni in ottica Euro 2008. Di questo passo, l'obiettivo è alla portata. Il rinnovo contrattuale sino al 2010, quando avrà 34 anni, unitamente ad una crescita costante, allontana gli spettri di Ivanovic, Lugano e così via.
Oggi, sul sito del suo fans club, sotto al banner della Juventus, campeggia quello degli 'Atleti di Cristo', e non è certo un caso. Esaurito il feeling con la sfortuna, rafforzato quello con Dio, scurdammoce 'o passato.
Significativo come vedere l'effige della 'Tenuta Legrottaglie', la sua azienda vinicola, non susciti più commenti taglienti o ilarità.
Nell'universo calcistico, il difensore pugliese è una mosca bianca. Ce ne fossero di redenti come lui, ne guadagneremo tutti.
Avanti così, Nicola. Che la forza sia con te. Citazione biblica? No, Star Wars.

Pozzi show, viola flop

Il 15.mo turno di serie A ha congelato le posizioni d’avanguardia della classifica.
L’Inter travolge il malcapitato Torino con un perentorio 4-0, chiudendo virtualmente il discorso campionato. Un dubbio rigore, concesso per fallo di Comotto su Ibrahimovic e trasformato da quest’ultimo, spiana la strada ai nerazzurri, che nella ripresa dilagano con il solito Cruz, Jimenez, gran gol il suo, e Cordoba.
La Roma non tiene il passo, impattando sul campo di un Livorno rigenerato dalla cura Camolese. Avanti con una zuccata di De Rossi su azione d’angolo, il pareggio è firmato Tristan, che dopo aver ridicolizzato Ferrari con una serpentina lascia partire un diagonale imparabile per Doni. Discutibili alcune decisioni arbitrali.
La Juve riesce in extremis ad acciuffare i tre punti, grazie alla prodezza del ritrovato Nedved. Ottimo l’impatto sulla partita di Del Piero, che si rilancia come possibile titolare.
Dietro, la sorprendente Udinese supera anche la Sampdoria di Mazzarri, alla quale non basta un Cassano in gran spolvero, a fronte della doppietta di Quagliarella. Il vantaggio di Di Natale è ribaltato dall’uno-due firmato Bellucci (rigore, procurato proprio dal barese) e Maggio. Nella ripresa, ci pensa l’ex di turno ad infilare due volte Castellazzi, prima sfruttando un cross del neoentrato Floro Flores, poi con un bolide rasoterra da fuori area.
Perde terreno la Fiorentina, sconfitta dal Palermo per 2-0 al Renzo Barbera. Il ‘no look’ di Amauri mette in rampa di lancio Miccoli, il cui pallonetto batte l’ottimo Frey. L’assolo di Simplicio a dieci minuti dal termine chiude la partita, tenuta aperta solo dalle prodezze del portiere francese. Per i viola, appena un punto nelle ultime 4 partite, è crisi.
Nell’altro anticipo, la Lazio risorge e batte il Catania con punteggio all’inglese. Rocchi in apertura e Pandev in chiusura regalano ossigeno ad una classifica che iniziava a farsi preoccupante. Ora i biancocelesti sono a quota 17, appena sotto gli etnei, e sono chiamati ad una settimana delicatissima: martedì il Real in Champions, dove servirà l’impresa per passare il turno, sabato la Juve di scena a Roma.
Il posticipo se lo aggiudica invece il Napoli, grazie ad una prodezza di Zalayeta ben imbeccato da Bogliacino. Continua, però, a comparire un fastidioso raggio laser che disturba regolarmente i giocatori ospiti. Curiosamente, accade solo a Napoli...
La sorpresa di giornata arriva da Genova. Gli uomini di Gasperini rimediano una sonora scoppola dal Siena, trascinato dalla doppietta di Frick inframezzata dalla zampata di Loria. Il gol della bandiera lo sigla al 90° Figueroa, che torna a gonfiare la rete dopo l’odissea susseguente l’infortunio al crociato.
Il protagonista di giornata è senza dubbio Nicola Pozzi, soprannominato ‘baby Pozzi’ da tempo immemore e ormai maturato nella palestra toscana. E’ il primo giocatore dell’Empoli a firmare un poker in A, e la sua quaterna fa diventare prova il sospetto già dilagante dopo gli exploit di Borriello: gli unici attaccanti del Milan in gol con continuità non vestono rossonero. Vittima di turno il Cagliari, ultimo assieme alla Reggina, ma con una partita in più. Decisivi i due assist di Giovinco e quello di Marchisio, al termine di una pregevole azione personale. Piccoli bianconeri crescono.

Classifica:
Inter 37
Roma 32
JUVENTUS 29
Udinese 28
Fiorentina 24
Atalanta*, Napoli, Palermo 21
Sampdoria 20
Milan**, Catania 18
Lazio 17
Torino, Parma, Genoa 15
Livorno 14
Siena, Empoli 13
Reggina*, Cagliari 10

* = 1 partita in meno; ** = 2 partite in meno.

Superman returns

L'ultima zampata d(ell)a Furia Ceca risale al 26 maggio 2007. Vittima di turno, il Mantova di Di Carlo: altra categoria, altri tempi.
Già, il tempo. Sembrava averlo piegato, perchè gli anni passano anche per tutti, fa niente se ti chiami Pavel Nedved e hai la fama, pienamente giustificata, di irriducibile guerriero. Nemmeno un anno all'Inferno è riuscito a scalfirla, finendo al contrario per rinvigorirne lo spirito dopo un paio d'anni così così sotto la guida di Capello. A tarpargli le ali ci si è messa una preparazione troppo leggera per un duro del suo calibro; curioso, se si pensa che qualcuno (Tiago) l'ha addirittura sofferta. La tanto attesa impennata di rendimento è coincisa con l'intensificarsi dei carichi di lavoro in comune accordo con il preparatore Campana. Mancava la ciliegina, arrivata al termine di un match ormai avviato sui binari di un noioso ed inutile 0-0. Non c'è che dire, il modo migliore per festeggiare il gettone n.° 300 collezionato nella massima serie.
Non è l'unico vecchietto ad aver lasciato il segno. Alex Del Piero entra ad inizio ripresa in sostituzione del deludente Iaquinta, rimasto impigliato nella ragnatela predisposta da Del Neri. L'inizio è scoraggiante, al primo pallone cincischia e se lo fa soffiare come un pivello. Pazienza, la voglia di fare è tale da giustificare qualche eccesso di egoismo, soprattutto di fronte alle successive giocate sopraffine. Spalle alla porta, esterno, et voilà, Pellegrino è costretto ad abbatterlo. L'intesa con Trezeguet non conosce cedimenti, e tra un morbido pallonetto diretto a David ed una punizione dalla sua mattonella intercettato da Coppola, si capisce come la grigia prova di Empoli, per lui, sia solo una parentesi infelice, già chiusa e metabolizzata. A modo suo, con il mestiere, entra pure nell'azione decisiva, spostando quanto basta Carrozzieri, il cui colpo di testa sbilenco finisce tra i piedi sbagliati, quelli di Nedved, il cui destro a pelo d'erba non lascia scampo a Coppola.
Nonostante il risultato, tanto di cappello all'Atalanta. Ben messa in campo, sfrutta il moto perpetuo di Guarente in mezzo al campo e soprattutto la vivacità di Floccari in avanti per creare qualche grattacapo alla banda Ranieri. Missione compiutà, a metà, visto che, laddove non arriva la coppia Legrottaglie - Chiellini, ci pensa il solito Buffon. Menzione d'onore per Molinaro, i cui cross ricordano sempre meno gli improbabili traversoni dalla trequarti di birindelliana memoria. Ha detto di ispirarsi a Zambrotta: le sgroppate lasciano ben sperare, nonostante una tecnica piuttosto elementare. Dalla parte opposta, merita una tiratina d'orecchie Zebina, una bomba sempre sul punto di esplodere. Basta una piccola scintilla, magari causata da un errato controllo, per scatenarne l'ira funesta. Pallone calciato lontano, ammonizione stupida, ma decisione sacrosanta del giovane fischietto Orsato. Saucisson.
Dopo aver tessuto le lodi di Zanetti, stavolta anche Nocerino strappa applausi. Oltre alla solita routine, fatta di pressing martellante e palloni recuperati, si permette il lusso di fare la barba al palo alla destra di Coppola (13°). Notevole il recupero su Floccari, nell'occasione sfuggito a Legrottaglie con un'abile finta. L'azione in questione conferma come il posto del lento e compassato Tiago sia la panchina, dalla quale si alzerà solo ad un paio di minuti alla fine, giusto in tempo per regalare la standing ovation al match winner Nedved.
La palma di migliore in campo la meriterebbe Ranieri, anche solo per la scelta di concedere al portoghese appena un paio di giri d'orologio per... mettersi in mostra. Chiamasi lezione, impartita all'allievo svogliato visto giovedì ad Empoli, come per dargli un ulteriore input in modo da consentirne il risveglio. Non stiamo parlando di un ragazzino inesperte, da crescere, proteggere e un po' coccolare, ma di un presunto campione-o-giù-di-lì. Se non ha il carattere per uscire da questa situazione, vuol dire che non è da Juve, accompagnatelo alla porta. Qua la mano, mister.
Per il ruolo di peggiore, è una bella lotta tra Palladino e Marchionni, quest'ultimo entrato ad inizio ripresa in sostituzione del primo. Nel primo tempo, dalla destra partono solo cross sbilenchi, il primo dei quali causa pure qualche grattacapo all'estremo difensore orobico. Il cambio non sortisce gli effetti sperati, per la tendenza dell'ex parmigiano ad accentrarsi, andando ad intasare gli spazi sulla trequarti e di fatto autoescludendosi dalla manovra. Bocciati? No, facciamo rimandati.
Detto di Iaquinta, chi non ha bisogno di esami è Trezeguet, pericoloso quando innescato dai cross dei compagni. Molinaro riesce a trovare il varco e la misura giuste in un paio d'occasione, la più ghiotta al 62°, ma la girata del francese finisce fuori di poco. Il binario di destra è comunque quello privilegiato, per la scarsa consistenza di Capelli prima e Belleri poi, poco supportati da Ferreira Pinto. In mezzo, i giganti Carrozzieri e Pellegrino alzano le barricate, contenendo bene gli avanti bianconeri. Almeno nel primo tempo, perchè con Del Piero la storia cambia. D'altronde, come disse tempo fa Ranieri, è o non è "il calcio"?

LE PAGELLE:
Buffon 6.5 - Non è certo un tiro al bersaglio quello dell'Atalanta, ma Gigi si fa sempre trovare pronto, soprattutto sul tiro al quarto d'ora di Floccari.
Zebina 5.5 - Padoin è un tipetto mica facile da contenere, e se a questo aggiungiamo un certo nervosismo (si veda l'ammonizione), insufficienza è fatta.
Legrottaglie 6.5 - Una sola sbavatura, su Floccari, ma Nocerino rimedia. Per il resto, pulito ed elegante. E' tornato quello dei tempi d'oro.
Chiellini 6.5 - Pur non avendo un uomo al quale francobollarsi, tiene alta la concentrazione. Dalle sue parti non si passa.
Molinaro 7 - Sorprendente per la costanza nel proporsi e soprattutto nella precisione dei traversoni. Chiellini può starsene tranquillo nel cuore della difesa.
Palladino 4.5 - Tutto fumo, niente arrosto. Non azzecca un cross manco per sbaglio (Marchionni 5 - Vorrebbe spaccare il mondo, ma tende spesso ad accentrarsi, finendo per isolarsi dalla manovra. Da rivedere).
Nocerino 6.5 - Factotum. Cuce, pressa, tampona, chiude tutte le falle e si concede il lusso di un diagonale che per poco non gonfia la rete. Bella risposta a chi continua, chissà perchè, a reclamare spazio per Tiago.
Zanetti 6.5 - Che dire, il solito. Quest'anno gli infortuni lo stanno lasciando in pace, e si vede.
NEDVED 7 - Basterebbe il gol. In effetti, pur svariando per il campo, per il resto la sua non è una prestazione memorabile, ma ci si 'accontenta' volentieri. Meritatissima la standing ovation al momento dell'uscita dal campo (Tiago ng).
Iaquinta 5.5 - Come a San Siro, delude. Gli avversari lo ingabbiano, in area di rigore è spesso anticipato. Viene giustamente avvicendato con Del Piero (Del Piero 7 - Entra e perde palla. Qualcuno avrà mugugnato, amen, perchè cresce alla distanza, entrando in ogni azione offensiva e mettendo costantemente in apprensione la difesa atalantina. Decisivo).
Trezeguet 6 - Carrozzieri e Pellegrino sono due armadi; lui, pur non riuscendo a sfruttare le poche occasioni concesse dai due mastini, tiene sempre impegnato il proprio marcatore.

Ranieri 7 - Coraggioso nell'effettuare ben due cambi nell'intervallo, la scelta di Del Piero si rivela vincente. Ottima la gestione di Tiago.

Atalanta: Coppola 6, Capelli 5 (Belleri 5), Carrozzieri 6.5, Pellegrino 6, Bellini 6; Ferreira Pinto 5.5, De Ascentis 5.5, Guarente 6.5 (Tissone ng), Padoin 6 (Langella 5); Doni 5.5; Floccari 6.5.

Arbitro, Orsato 6.5 - Buona gestione del match. Se il buon giorno si vede dal mattino, e Collina non lo rovina, ecco un bravo arbitro.
Assistenti, Faverani 6, Stefani 6.

Nel cuore di un'eclissi tu risplenderai

Qualcosa non torna.
Segue breve ricostruzione della lucida follia e delle sue conseguenze. Almiron passa dall’Empoli alla Juventus, percorso inverso, tra gli altri, per Giovinco (l’uomo dell’ultimo passaggio) e Marchisio (qualità e quantità garantite). I due faticano ad entrare nelle grazie di Cagni, dividendosi tra campo e panchina. Peggio va all’argentino, passato a tempo di record dalle stelle alle stalle. La Juve patisce la scarsa qualità in mezzo al campo, soprattutto perché manca l’uomo dell’ultimo passaggio. A voi le conclusioni.
Ridiamo per non piangere, per lo meno uno smile, suvvia. Il picco massimo in Coppa Italia: Almiron cornuto e mazziato (espulso), Marchisio oscuro ma preziosissimo, Giovinco fa scattare l’allarme rosso ad ogni accelerazione. Fuga di 40 metri, scarico su Antonini bravo a calibrare per il testone di Pozzi, 1-0.
La perla del fantasista mignon aiuta a digerire la sconfitta, o forse la rende ancor più amara. Tangibile il suo contributo nel rendere più ariosa la manovra solitamente asfittica dei toscani. Giovinco + Vannucchi, si può, soprattutto se a far legna ci pensa, anche, Marchisio, uno dal quale è lecito attendersi la giocata giusta in fase offensiva, tale è l’abilità di combinare le due fasi. Più completo e tecnico di Nocerino, che una volta recuperato un pallone non sa che farsene, più dinamico di Zanetti, più tutto della brutta copia di Almiron e Tiago.
Nel bel mezzo dell’eclissi bianconera, due stelle splendono. Nella squadra sbagliata, ma splendono.
Paradosso: Cagni preferiva loro i vari Giacomazzi, Marianini, Antonini e Pozzi. L’esonero, vista poi la classifica, vien da sé. La prima di Malesani ha segnato da un lato una frattura con il passato, per l’abbandono dell’ormai storica difesa a 4 a favore dell’inedita linea a 3. Se dopo nemmeno una settimana di lavoro il tecnico decide di mettere da parte dogmi tattici radicati da un decennio, più che di coraggio è lecito parlare d’incoscienza. Per la cronaca: Empoli sconfitto, attacco anemico, Marchisio in panca per l’intero match, Giovinco dentro a partita in corso. Nel segno della continuità.
A proposito di paradossi, può/possono una/due riserva/e dell’Empoli tornare utili alla causa Juve? Detta così suona male, meglio: può/possono uno/due talenti ora parcheggiati in provincia tornare utili alla causa Juve? Al giorno d’oggi, sì. Mancini in un paio di mesi passò dall’essere panchinaro al Venezia (B) a titolare e uomo-mercato nella Roma. Invece di spendere e spandere, specialità nella quale Secco ha dimostrato di eccellere, si punti sulla soluzione italiana, ‘verde’ e, soprattutto, economica. I Diego e i VdV non si muovono certo a gennaio. Riprendere i due baby non vuol certo dire attendersi tutto e subito, semmai verificare nei mesi la possibilità di farne parte integrante del progetto per gli anni a venire. La gavetta in provincia, da manna, può diventare mannaia per la carriera ad alti livelli. Ricordate Chiumiento? Prematuramente eletto erede di Del Piero, presto caduto in disgrazia tra Siena, Le Mans e la sua Svizzera, oggi arranca nel piccolo Lucerna. Pur non essendo talento da Juve, avrebbe meritato palcoscenici più prestigiosi. La sua vicenda assume contorni grotteschi ripensando al ‘no’ alla Svizzera in occasione di Euro 2004. Motivo? Nutriva speranze di vestire l’azzurro nel futuro prossimo, prima che il tempo lo riconducesse a più miti consigli.
Aggiornamento: Malesani, nella sfida interna contro il Cagliari, ha lanciato i due assi bianconeri dall'inizio, e sul clamoroso poker di Pozzi c’è lo zampino di entrambi. Il fantasista in miniatura, in particolare, ha propiziato il vantaggio dopo appena un minuto ed il 3-0 in apertura di ripresa, risultando una vera e propria spina nel fianco dei malcapitati avversari. L'ultimo sigillo di Pozzi è arrivato a conclusione di una splendida azione sulla sinistra di Marchisio, abile nel seminare un paio di avversari e mettere in mezzo un pallone col contagiri. Che dire, speriamo che Secco abbia dato un’occhiata agli highlights...

Il tramonto dei morti viventi

Sergio Bernardo Almiron, professione regista, aspirante nuovo Veron, sognando Sudafrica 2010. Sedotto e presto abbandonato dall'Udinese, esploso ad Empoli dopo un breve quanto infruttuoso soggiorno a Verona sponda Hellas, in estate spicca il volo e plana sulle rive del Po. Il resto è un imbarazzo continuo, dalla prima conferenza stampa sino all'espulsione in quello che fu il suo stadio, epitaffio ideale di un feeling mai sbocciato. Lo si ricorderà per la maglia di Paperinik con la quale si presentò il giorno della firma.
Non era solo. Con lui, Tiago Cardoso Mendes, reuccio allo Sporting Lisbona, uno dei tanti al Chelsea ma capace di entrare nelle grazie di Mourinho, costretto a sbolognarlo a Lione per vedersi recapitato Essien. In Francia trova la propria dimensione, suscitando rimpianti nell'ex tecnico nonchè connazionale ed interesse in Secco. L'omissis sulla professione/ruolo è affatto casuale: ufficialmente risulta incursore, ma ci sono versioni discordanti. Lo si ricorderà per l'aspetto da tronista mancato.
Sin dal primo giorno di scuola, i due fanno vita comune, dalla firma al ritiro di Acqui, dove dividono la stanza e... l'altalena. Di prestazioni, chiaramente. Alla prima conferenza stampa, Almiron palesa tutto il proprio disagio al cospetto di un mondo nuovo, presentandosi con la faccia di uno che sembra chiedersi “Cosa ci faccio io qui?”. Passano i giorni, ed il Sergio timido e smarrito sembra un lontano ricordo, mentre il compare arranca. A fine ritiro, la sentenza, pressoché unanime, è pollice su per l'ex Empoli, pollice verso per il portoghese, nonostante i significativi attestati di stima del popolo bianconero.
Quando il gioco si fa duro, qualcosa si guasta. Almiron imbocca un'inarrestabile parabola discendente, che lo conduce dal campo sino alla tribuna. L'altro regala qualche segnale di vita contro Reggina prima e Parma poi, ma le luci della ribalta sono lontane, curiosamente prerogativa di chi si ritrova attore protagonista dopo una vita da gregario (Zanetti).
In questo quadretto kafkiano, Ranieri ha faticato a trovare il bandolo dell'intricata matassa. Dopo fisiologici assestamenti, i primi si sono ritrovati ultimi, e viceversa. Nessun ripensamento, nemmeno di fronte al vistoso calo di Nocerino. Quest’ultimo è arruffone e tecnicamente approssimativo, e pur si muove. L’argentino è passato dall’anarchia all’apatia, il portoghese si trascina per inerzia. La personalità, comunque, non è di casa.
Tornando alla sciagurata serata di Empoli, Almiron è riuscito a riscattare una prestazione insipida con il doppio giallo rimediato per fallaccio a Giovinco corredato da ingiustificate proteste. Senza di lui, e con gli ingressi di Nocerino e, soprattutto, Iaquinta, la Juve ha trovato la forza di reagire, andando in gol con quest’ultimo imbeccato da Del Piero. L’argentino si è confermato calamita per gli avversari, attirati come mosche dal suo incedere incerto, e di conseguenza calamità per i compagni.
I più ottimisti nutriranno qualche speranziella in più su Tiago. Dover correre per due, lui che non corre manco per sé, gli complica esponenzialmente la vita. Pensiamo a Amy Winehouse, talentuoso usignolo inglese, precipitata in un tunnel autodistruttivo e ormai pappa e ciccia con Pete Doherty, uno che difficilmente la terrà lontana dai soliti vizi; insomma, aiutati che Dio t’aiuta, figliuolo/a, la compagnia conta. Sarà un caso, ma Tiago le cose migliori le ha fatte lontano da Almiron, libero insomma di disegnare parabole mirabili per la capoccia dei compagni, senza troppi assilli di copertura. Qui la patata bollente passa tra le mani di Ranieri, il quale pare poco orientato a cambiare. Non che l’ex Lione abbia fatto molto per indurlo a cambiare idea, sia chiaro. Il nocciolo della questione, appurata l’imprescindibile presenza di Zanetti, resta l’approccio molle del calciatore alla partita, lontano anni luce dallo spirito guerriero di Nocerino. D’altronde, le parole di Ranieri lasciano poco spazio alle interpretazioni: “Avrebbero dovuto bruciare l’erba, invece sono stati i toscani ad arare il campo. Non so se ci saranno altre occasioni”. Non fa nomi, non ce n’è bisogno. Più chiaro di così, si muore.
A questo punto, la patata bollente di cui sopra passa in altre mani, quelle di Secco, impegnato a smistare i due pacchi. Mentre per l’argentino si può ipotizzare un ritorno ad Empoli (tanto, gira e rigira, torniamo sempre lì), ovviamente in prestito, ‘Mr. 13.6 milioni’ potrebbe pure restare, se non altro per una questione meramente numerica, mancando le alternative alla coppia titolare. Tramontato lo scambio di prestiti con Riquelme, difficile trovare giocatori e società disposte ad accettare un’analoga soluzione, impossibile rivenderne il cartellino senza rimetterci vagonate di soldi, Tiago è imprigionato, bontà sua, in una sorta di gabbia dorata (3 milioni anni, mica spiccioli), roba da allontanare la malinconia con effetto immediato.
La rabbia, quella dei tifosi, resta, anzi, monta. Se possibile, a gennaio qualche ‘zuccherino’ per addolcire le due amare pillole sarebbe cosa gradita. Certo, visti i precedenti, il rischio di un altro pacco c’è. Il paracadute potrebbe arrivare proprio da Empoli (e da dove sennò?), dove c’è un usato sicuro che reclama maggior considerazione. Marchisio non aspetta altro che una telefonata da Torino per rifare i bagagli e tornare alla casa madre. Con buona pace della strana coppia, mai decollata ma tuttavia destinata a decollare, chi prima, chi dopo, suo malgrado, verso altri lidi.

giovedì 6 dicembre 2007

La Juve imbarca acqua, Iaquinta la tiene a galla

Pensavate fosse impossibile bissare o addirittura peggiorare i primi 70 minuti di Parma? Legittimo, ma sbagliato.
Al cospetto dell'Empoli, fanalino di coda in campionato, gli uomini di Ranieri sono riusciti a confermare l'antico adagio secondo cui al peggio non c'è limite.
O adesso o mai più, ecco servito il rilancio della coppia Almiron - Tiago, ripescati dopo un lungo letargo. Chi si chiedeva come mai vedessero il campo solamente in allenamento ha avuto la risposta più temuta. Nessun abbaglio del mister, semplicemente la costatazione di una desolante mediocrità. L'istantenea più significativa del suo soggiorno juventino coincide con il (presumibile) canto del cigno: Giovinco si invola, l'argentino si affanna nel rincorrerlo cercando in qualche modo di placcarlo, e Farina per una volta si dimostra clemente con i nostri colori sventolandogli un rosso a seguito delle ingiustificate proteste per l'ammonizione ricevuta. Bye bye, Sergio.
Un pelino meglio il compagno di reparto; mobile come un silos e grintoso come Pirlo febbricitante, avrebbe l'occasione di raddrizzare prestazione e partita, ma spara fuori d'esterno destro un pallone finito sulla mattonella giusta ma sui piedi sbagliati. Passa che ti passa, rigorosamente all'indietro, s'intende, Paro gli fa un baffo, e pure la barba.
Dei presunti titolari d'inizio stagione (ri)troviamo anche l'efebico Criscito e Del Piero, in versione 'Il pallone l'ho portato io e ci gioco io', mentre l'unico sopravvissuto al turnover voluto da Ranieri, Legrottaglie, è ancora una volta il meno peggio.
La zampata di Iaquinta consente di guardare al ritorno con fiducia, ed è anche l'unico tra i nuovi a brillare in una squadra costretta a reggersi sulle spalle dei soliti noti.
A qualcuno, in Corso Galileo Ferraris, forse, fischieranno le orecchie. Si consolino, ai tifosi girano i cosiddetti, ripensando a 22 milioni, praticamente quanto incassato dall'affare (per l'Inter) Ibrahimovic, investiti sulla strana coppia Sergio&Mendes. Dedicato a quelli che "facciamoli giocare prima di bocciarli". Speriamo di rivederli insieme, in tribuna e, perchè porre limiti ai sogni, imbarcati in un aereo, destinazione ignota, purchè lontano da Torino, senza un euro e muniti solo di biglietto sola andata.
Qualcuno spieghi poi a Ranieri che mica è Thom Yorke, uno che ha fatto della sperimentazione un'arte. Si limiti al compitino, da onesto mestierante qual è. Grygera a sinistra, il già citato duo in mezzo al campo, Del Piero e Palladino (regredito) di punta funzionerebbero forse alla Playstation, certamente non al Castellani. E che dire del buon Birindelli, addirittura capitano? Ha dichiarato che "Empoli è casa mia". Ok, allora restaci. Disporre, poi, di Marchionni senza avere qualcuno in grado di sfruttarne i traversoni è come dividere il letto con una pornostar e non combinarci nulla: un'occasione sprecata.
E a proposito di occasioni, le riserve ne hanno persa una per zittire i detrattori e tenere sulla graticola i titolari, illudendo addirittura sulla bontà del mercato estivo. A gennaio, dall'alto di un discreto gruzzolo rimasto inopinatamente inutilizzato (o forse è stato meglio così, visto l'andazzo...), si può mettere qualche pezza, magari donando un cervello ad un centrocampo povero di idee.
In caso contrario, si preannunciano tempi duri. Un affaticamento muscolare di Zanetti, un raffredore di Trezeguet, ed è subito buio. Secco, sotto l'albero, facci trovare un set completo di lampadine.

lunedì 3 dicembre 2007

La situazione del calcio non è buona

La stupidità dell'uomo foraggiata dalla crescente invadenza di media spesso inadeguati al ruolo di garante dell'informazione può avere effetti devastanti.
Dopo un susseguirsi di voci sui tragici fatti Arezzo, dove ha perso la vita in circostanze ancora da chiarire Gabriele Sandri, la solita, scarsa, celerità delle autorità (in)competenti ha favorito un'assurda manifestazione di violenza da parte di efferati delinquenti, che hanno messo a ferro e fuoco Roma, riuscendo così a disonorare la memoria di un ragazzo, elevato suo malgrado dal movimento ultrà a martire nella lotta contro le forze dell'ordine.
Le settimane successive si sono svolte secondo copione tipicamente italiano. Reportage strappalacrime, scritte infamanti contro chi è morto facendo il proprio, poco remunerato, lavoro, iniziative discutibili se non nei contenuti, almeno nella tempistica. Manca solo la proposta di santificazione per il Sandri, ma si sa, il passaggio da martire a santo, nell'immaginario collettivo, è breve.
I benpensanti hanno puntato il dito con fare accusatorio, indistintamente, verso il popolo della curva. Errore, è sbagliato generalizzare.
Gli ultrà regalano colore e tono ad un tifo altrimenti da salotto, si rendono protagonisti di iniziative lodevoli, essendo spesso impegnati nel sociale in sostegno dei meno fortunati, e spendendo tempo e denaro per i propri colori.
Il rovescio della medaglia, però, è quel muro di omertà innalzato a protezione dei 'fratelli' che infrangono le leggi. Ponendo tutti questi aspetti sulla bilancia, non c'è confronto.
Se da un lato il codice ultrà promuove il senso di appartenenza e la fratellanza, dall’altro porta all'estremo tali valori, esasperandoli e cambiandone la sfumatura, da positiva a negativa, in nome di una fortissima coesione che non vuol sentir ragioni, nemmeno di maglia, se è vero che persino tra tifosi della medesima squadra esistono contrasti e divisioni.
Siamo arrivati ad un bivio, ma forse chi di dovere lo realizzerà solo al prossimo sinistro, salvo dimenticarselo la settimana successiva. O si isolano i violenti, oppure il circolo vizioso non si arresterà mai. Ancora scontri, ancora morti da piangere. La soluzione? Semplice, più tornelli per tutti., brindiamo con tarallucci e vino.
Nella repubblica italiana delle banane, impensabile una svolta epocale, proprio laddove sono radicate figure ormai preistoriche, a partire da Matarrese, specchio fedele di una classe politica impegnata solo a conservare la poltrona. Le istituzioni latitano, le società sono in balia di frange estremiste per quella benedetta/maledetta (dipende dai punti di vista) responsabilità oggettiva, ma tanto l’importante sono i diritti TV.
Il modello inglese prevede la certezza della pena, stewart al soldo delle società schierati in impianti di proprietà delle stesse e polifunzionali, obbligo di firma per i diffidati, niente gruppi organizzati né striscioni, solo tifo e passione. Qualcuno lo definisce con disprezzo ‘calcio-teatro’. Un consiglio: prima di parlare, via il prosciutto dagli occhi. Sarebbe una svolta epocale, che richiederebbe una rigida applicazione delle leggi vigenti. In quanto tale, da escludere a priori.
Il mea culpa dei tifosi atalantini è solo il primo passo, alle parole (spontanee?) dovranno seguire i fatti, altrimenti sarà solo aria fritta made in Italy, buona solo per il restayling di un’immagine macchiata dalla recente follia.
La repressione lamentata dagli ultrà è l’unica via senza un’azione di pulizia interna promossa dai responsabili degli stessi. L’alternativa è ben più radicale: scioglimento dei diversi gruppi organizzati, in nome della promozione del singolo tifoso ai danni della collettività. La libertà di associazione è sacra, purché preveda il rispetto delle regole, non essendo lo stadio una zona franca.
L’uomo è un animale sociale, ed isolandolo dal branco, difficilmente si renderà protagonista di azioni altrimenti tutelate da amici compiacenti. Da cani sciolti, ci penseranno bene prima di dar libero sfogo alla propria idiozia.
La distinzione tra delinquenti e ultrà è necessaria a causa del qualunquismo imperante verso la categoria del curvaiolo. Senza un significativo riavvicinamento alle autorità, rischiano di farne le spese in primis gli ‘onesti’, non intesi come tifosi della Beneamata, si capisce.
Per il bene di tutti, veniamoci incontro. Senza spranghe e manganelli (magari branditi al contrario), si capisce.