martedì 27 novembre 2007

Palermo asfaltato, Colantuono cacciato

Partiamo dall'epilogo, scontato come un cinepanettone prodotto da De Laurentiis: Stefano Colantuono non è più l'allenatore del Palermo. Firmato, Maurizio Zamparini e, idealmente, David Trezeguet, Vincenzo Iaquinta, Alessandro Del Piero (due volte), Marco Marchionni.
Poco importa se, in data 10 novembre, il numero 1 rosanero aveva fatto pubblica ammenda, teorizzando che "Forse ho esonerato troppi tecnici", coerenza e calcio mica vanno a braccetto.
Il nuovo, si fa per dire, tecnico sarà Francesco Guidolin. E sono quattro, in barba ai precedenti, in nome di un ricco contratto ancora in essere.
Prima di chiedersi "perchè?", esercizio piuttosto inutile essendo impossibile imprigionare Zamparini negli schemi della logica, è necessario capire il "come" si è arrivati all'irreparabile.
Di fronte ad una vera e propria disfatta come quella dei siciliani a Torino, è difficile scindere meriti dei vincitori dai demeriti dei vinti, capire dove finiscono gli uni e iniziano gli altri.
Nel dubbio, meglio limitarsi a semplici deduzioni.
Una su tutte, Tiago è destinato a restare un corpo estraneo. L'ennesima panchina, protrattasi per tutti i 90 minuti, nonostante la sua crescita e Nocerino giochi alla 'viva il parroco', testimonia la scelta di puntare su una mediana cazzuta, solo spada niente fioretto. Chiuso a doppia mandata in un cassetto il progetto/sogno di calcio champagne, i cui presunti alfieri sono finiti ai margini della squadra, la serata di grazia dei quattro moschettieri là davanti (e cambiando metà degli interpreti, il prodotto finale non ne risente affatto) maschera per 90 minuti il gap tecnico esistente con Inter e Roma.
La formazione, fatta eccezione per l'esclusione del portoghese, è quella prevista, con Criscito al posto dello squalificato Chiellini e Iaquinta a fianco di Trezeguet. Colantuono opta per un prudente 3-5-2, e rinuncia alla fantasia di Bresciano e Cavani, preferendo loro Caserta e Brienza.
L'arma letale nelle mani, pardon, nei piedi dei Ranieri boys diventa il gioco sulle fasce, dove vengono sfruttate al meglio la superiorità numerica e l'esuberanza di Zebina e Molinaro. Le loro frequenti sovrapposizioni consentono a Camoranesi e al ritrovato Nedved di cercare spazi centralmente, prendendo così in mezzo i disorientati mediani rosanero, soffocati dalla grinta della coppia Nocerino - Zanetti.
Il Palermo, speculare alla Juve nel tentativo di tenere alta la linea difensiva e compatti i reparti, rende la vita difficile a Iaquinta, bisonte bisognoso di spazi, ma pericoloso pure su calcio piazzato in due occasioni, sventate da Agliardi bravo ad allungarsi sulla sua destra. Il sostituto dell'influenzato Fontana è meno abile nelle uscite, ma viene graziato da Legrottaglie. Sul corner successivo, invece, Trezeguet sfrutta una sponda del difensore pugliese ed in rovesciata indirizza con chirurgica precisione un pallone imprendibile alle spalle dell'impietrito numero 1 rosanero.
E' un gol da centravanti vero, uno che fiuta la porta e nei sedici metri si trasforma in rapace insaziabile. Poco dopo, seppur con modalità differenti, il copione si ripete. La firma stavolta è di Iaquinta, sempre più a suo agio quando le maglie avversarie si allargano. Sul cross dalla destra di Camoranesi, si avventa assieme Barzagli (immolatosi poco prima su tiro a botta sicura di Nedved con la porta sguarnita), il quale vince il primo contrasto, ma nulla può sul tiro dell'ex Udinese che infila ancora Agliardi. E' il 2-0, Palermo non pervenuto.
L'inserimento, ad inizio ripresa, di Cavani per Caserta non sortisce effetti. Su azione d'angolo, arriva il primo tiro del Palermo, ma la girata di Zaccardo è un'interbana per Buffon.
Il match si trascina stancamente a causa dell'acclarata inconsistenza degli ospiti, incapaci di costruire azioni d'attacco degne di essere definite tali. Entra Bresciano, ma è solo un uomo qualunque, impotente di fronte al destino.
A riaccendere la partita ci pensa Del Piero, entrato al posto dell'infortunato Iaquinta. Nemmeno il tempo di sistemarsi i pantaloncini, ed ecco arrivare un calcio di punizione da posizione favorevole. Parabola perfetta, ad aggirare la barriera, Agliardi può solo guardare il pallone insaccarsi alle sue spalle per la terza volta. Ecco cosa intende Ranieri quando definisce il capitano "il calcio".
A questo punto, fuori anche Camoranesi, dentro Marchionni, bisognoso di minuti e fiducia dopo il lungo infortunio e le recenti tribune. Et voilà, ci pensa proprio Del Piero a recapitargli sui piedi un pallone col contagiri. Al resto ci pensa Marco: stop, finta, portiere seduto, diagonale, gol. Applausi.
La quinta rete, su rigore, del numero 10 bianconero serve solo ad impreziosirne le statistiche, ponendo l'accento sulla disastrosa prestazione del Palermo, completamente in balia di un avversario comunque in serata di grazia. Quello che doveva essere un serio banco di prova per Criscito restituito al cuore della difesa è stata poco più di una sgambata, utile per confermare personalità, senso dell'anticipo e visione di gioco del giovane napoletano. Conferma pure per le virtù di uno Zebina scevro di raptus, e per il volenteroso Molinaro. I piedi, vabbè, sono un optional.
Va a finire che l'input alle discussione del post partita arrivi da un episodio, ovvero il vivace confronto tra Del Piero e Palladino. Quest'ultimo, anzichè sfruttare l'ottimo taglio del capitano, ha preferito allargare verso Marchionni, venendo così ripreso dal proprio capitano. Sembra che la reazione del 23enne campano sia stata troppo piccata, cosicchè Alex lo ha affrontato a muso duro, reclamando rispetto ed invitandolo a tacere. Essere mandato a quel paese da un pischello non fa certo piacere, e nella risposta del numero 10 si può scorgere quell'atteggiamento fiero e mai domo tipico del personaggio. Inutile dire come il faccia a faccia tra i due sarà usato come grimaldello dai suoi detrattori, ma chi-se-ne-frega.
Dopo una serata così, tutti felici e contenti in casa Juve, e non potrebbe essere altrimenti. Tranne Tiago, si capisce.

LE PAGELLE:
Buffon ng - Serata di relax, avrà avuto tutto il tempo di pensare al nome del piccolo in arrivo a fine anno.
Zebina 6.5 - Ranieri lo ha provato in settimana senza un esterno davanti, per inculcargli l'idea della sovrapposizione. Missione compiuta, peccato si dimentichi di alzare il pallone ad ogni cross.
Legrottaglie 7 - Gli avanti del Palermo si marcano da soli, a lui basta buttarci un occhio ogni tanto. Se la cava, come spesso avviene ultimamente, con classe e sicurezza, ed entra pure nell'azione dell'1-0. E' rinato.
Criscito 6.5 - La tranquillità fatta giocatore, si concede anche qualche giocata elegante. Da rivedere in contesti più competitivi, resta comunque un grandissimo talento da coltivare.
Molinaro 6.5 - Non avendo di che preoccuparsi in fase difensiva, può sfogarsi in avanti. Corre, spinge, si sovrappone. Cosa chiedere di più? Due piedi nuovi.
Camoranesi 6.5 - Tende spesso ad accentrarsi, ma la cosa migliore (cross per Iaquinta) la fa dalla destra. Meno devastante rispetto ad altre volte, resta un giocatore fondamentale nell'economia della squadra (Marchionni 6.5 - Che dire... bentornato!).
Nocerino 6 - Era brutto dare un'insufficienza dopo una prova corale del genere, ma deve comunque lavorare sui fondamentali. Non basta correre e ringhiare per giocare in questa Juve. O forse sì? Brividi.
Zanetti 6.5 - Si vede poco, ma c'è. Eccome, se c'è. Dio ce lo conservi sano.
Nedved 6.5 - Riecco il buon, vecchio, Pavel. Quello '0' nella casella dei gol segnati non deve diventare un'ossessione. Intanto, trotterella per tutto il campo e fa la sua parte, come da tempo non succedeva (Palladino ng).
Iaquinta 7.5 - Cresce alla distanza, corre, segna un gol da centravanti d'area di rigore, sgomita. Il solito, generosissimo Vincenzo, simbolo di una Juve operaia ma vincente (DEL PIERO 8 - Entra, segna due gol e serve a Marchionni il pallone del 4-0. Meglio di così...).
Trezeguet 7.5 - Segna, e fin qui, tutto normale, per quanto il gol sia di quelli degni di una menzione speciale. Corre, cerca la traccia esterna e crossa, e questa è una gustosa novità per David. E' cresciuto, diventando un trascinatore di una squadra che ora sente più sua.

Ranieri 7 - Prepara al meglio la partita. La decisione di lasciar fuori Tiago si rivela assolutamente azzeccata.

Palermo: Agliardi 5, Zaccardo 5.5, Barzagli 5, Biava 4.5; Diana 5.5, Guana 4.5 (Migliaccio ng), Simplicio 5, Caserta 4.5 (Cavani 5), Pisano 4.5; Brienza 5 (Bresciano 5), Amauri 5.

Arbitro, Saccani 6 - Nel complesso non demerita, pur esibendo uno zelo eccessivo con Criscito, ammonito al primo fallo.
Assistenti, Carrer 6, Carretta 6.

giovedì 22 novembre 2007

The Queen is dead

E' il giorno dell'Inter, è l'anno dell'Inter. Come sempre, del resto, ma stavolta un po' di più. Lo scudetto è ad un passo, un ultimo scatto ed è fatta. Cosa sarà mai, battere una Lazio ormai appagata in un Olimpico a tinte nerazzurre. Elementare, Hector. Segna Vieri, è andata. Pareggia Poborski, ma chi sarà mai 'sto ceco, vabbè, capita. Va in rete Di Biagio, e sono 14. Poborski non ci sta, impacchetta un regalo di Gresko, ci mette un bel fiocco sopra e lo spedisce alle spalle di Toldo. No problem, non c'è rosa senza spine, non c'è Inter senza sofferenza. Di lì a poco, finisce il primo tempo. Simeone, l'ex di turno, porta avanti i suoi ad inizio ripresa, Simone Inzaghi chiude i conti. Ronaldo esce e piange come un pupo, la Juve gode. Siamo a Roma, è il 5 maggio 2002, e chi se lo scorda più.
Dal Tevere al Tamigi, dall'euro alla sterlina, dall'italiano (pardon, romano) all'inglese, da cappuccio e cornetto a eggs and bacon. Cambiano tante cose, la beffa rimane atroce.
La cornice, splendida come sempre, risorta dalle macerie come un'Araba Fenice, è l'incandescente catino di Wembley. All'Inghilterra di McClaren basta un pareggio contro la Croazia già qualificata e, si presume, rilassata. Alla faccia, Kranjcar pesca il jolly da distanza siderale grazie alla colossale topica di Carson, degno emulo del predecessore Robinson. Olic raddoppia, e siamo al 14°. Fischi (del pubblico) per fiaschi (quelli di undici solo-presunti-leoni).
McClaren inserisce Beckham e Defoe, la musica cambia. Il secondo procura un rigore trasformato da Lampard, dal piede del secondo, per nulla arrugginito dall'esperienza a stelle e strisce, parte una pennellata d'autore per il 'pennellone' Crouch che sigla il 2-2. Ecco materializzarsi la più antica legge del pallone: gol sbagliato (miracolo di Carson su Kranjcar), gol subito.
Gli uomini di Bilic spingono, e tocca a tale Petric firmare l'epitaffio inglese con un sinistro dal limite e gli avversari versione belle statuine.
D'accordo, l'assenza dell'intera linea difensiva titolare è una bella gatta da pelare, al pari della presenza tra i pali di Carson, eroe di Anfield contro la Juve nel lontano, per noi, 2005.
Non bastano gli assenti, che da assioma hanno sempre ragione, a spiegare la Waterloo inglese, dimostrazione del fallimento della matematica applicata al calcio, dove un'accozzaglia di campioni non necessariamente, come in questo caso, fanno una squadra.
Gerrard e Lampard, centrocampisti totali, soprattutto il capitano dei Reds, sembrano leoncini spauriti e spaesati, dal raggio d'azione limitato e col freno a mano tirato. Qualcuno spieghi a McClaren che i due necessitano di un fedele scudiero (Hargreaves? Carrick?) per avere la licenza di inserirsi e far male. Anzi, non vi affannate, ormai è tardi. L'ex manager del Middlesbrough è stato esonerato. Strano, vero? Non fosse per una 'c' di troppo, verrebbe da dire che non è l'anno di/della McLaren.
Il toto-sostituto è già partito. Mourinho, Capello, Lippi e O'Neill i principali candidati, e i primi due hanno palesato pubblicamente un certo interesse per la panchina più calda del pianeta. Non c'è uno Zamparini o un Calderon, ma l'esercito dei tabloid inglesi schierato al gran completo e pronto a passare ai raggi X la vita quotidiana del disgraziato CT è persino peggio.
Ridurre il clamoroso capitombolo ad una mera questione tecnica è riduttivo. Come per l'Inter, c'è una fortissima idiosincrasia verso la vittoria. Vincenti si nasce, e, caro il mio inglese, lei, modestamente, non lo nacque. Nemmeno Freud, forse, riuscirebbe a scandagliare la psiche di Gerrard & co. così da fornire una risposta al quesito che attanaglia le menti dei tifosi inglesi: "Why?".
Senza scomodare il padre della psicanalisi, uno dei motivi della crisi è riassunto nell'attuale capolista (in coabitazione con lo United), ovvero l'Arsenal. I ragazzini terribili di Wenger sono croce e delizia, nonchè cartina al tornasole, del football inglese. Se da un lato, la capacità di coniugare linea verde, risultati e bel gioco è invidiabile, va pure ravvisata un'esterofilia di morattiana memoria. Ieri sera, l'unico 'gunner' in campo era Eduardo, naturalizzato croato. Nel club londinese, troviamo infatti tanti 'carnefici' (il già citato ex bomber dell'Hajduk) quante 'vittime' (Walcott).
La caccia all'esotico ha fatto un'altra, illustre vittima. Noi italiani ne sappiamo qualcosa, essendo reduci da anni di magra prima di Germania 2006.
Su questo si può, ed i manager inglesi dovranno, lavorare. Certamente, norme inesistenti a tutela della fuga di giovani verso la terra d'Albione e l'ingresso di capitali stranieri, soprattutto americani, non aiutano il calcio inglese ad avviare una 'nazionalizzazione' necessaria per evitare altri 5 maggio.
La tragica notte di Wembley rischia, insomma, di trasformarsi in un punto di non ritorno.
Auguri al sostituto di McClaren. Ne avrà davvero bisogno.

martedì 20 novembre 2007

Oc, pasiensa e bus de cul

Silvio disse Roberto, e Roberto fu.
Estate 1986, il Silvio in questione è Berlusconi (e chi sennò?), neo-proprietario del Milan determinato a far dimenticare il tormentato regno di Giussy Farina. Il suo primo acquisto fu un esterno destro di spiccate propensioni offensive, bergamasco doc, cresciuto a pane e pallone nel florido settore giovanile della Dea. I due andranno d'amore e d'accordo per una decade, monoponolizzata dai colori rossoneri negli anni '91-'94, senza nulla togliere all'epopea dell'Arrighe. Dopo il biennio a stelle e strisce nei Metrostars, il ritorno a Milanello su diktat capelliano con l'investitura di leader spirituale di un gruppo allo sbando, dall'alto di un carisma non comune. Molte cose sono cambiate: ritrova tre olandesi, peccato che le affinità con Gullit, Rijkaard e Van Basten finiscano qui; meteore del calibro di Cardone, Daino, Ba, Maini, Anderson e Maini collezionano ciascuno diversi gettoni di presenza. Roba da rimpiangere il primitivo calcio degli yankee. Il metronomo di quella squadra è Demetrio Albertini. Segnatevi il suo nome, Roberto da Cinisello Balsamo gli deve molto.
Il tempo di conquistare l'ennesimo scudo, ed ecco, l'ultima, affascinante, avventura, di una carriera vissuta in bilico tra la fedeltà e il richiamo dell'esotico, meglio se accompagnato da un pacco di dollari. Stavolta in Arabia, nell' Al-Ittahad. Qui chiude una carriera costellata di successi, roba da far arrossire il 99% dei colleghi e rosicare Bergomi, suo coetaneo e simbolo della Milano che piange.
Diversi alfieri di quel Milan stellare intraprenderanno, con alterne fortune, la carriera di mister. Mentre gli altri mietono successi, Donadoni è costretto alla gavetta nelle serie inferiori, con il vago sospetto di portare sfiga. Inizia a Lecco, nel 2001/2002: a fine stagione, dopo una buona annata, arriva il fallimento. Passa al Livorno, dove incrocia per la prima volta Aldo Spinelli, noto mangia-allenatori. Salvezza in carrozza, la conferma che trattasi di tecnico emergente, meritevole di un'occasione importante.
Eccola: il Genoa, nobile decaduta in cerca di riscatto. Il presidente Preziosi è uno dall'esonero facile, e, c.v.d., dopo tre sconfitte in altrettante partite, viene cacciato. L'anno dopo, una valigetta galeotta costa ai liguri un doppio salto all'indietro, nell'inferno della C. Nel frattempo, Spinelli si ricorda di quel giovane condottiero, e lo richiama nel gennaio 2005 al posto di Colomba, volato via per qualche passo falso di troppo. E' la grande occasione per Roberto, e la sfrutta alla grande, con l'8° posto finale e Lucarelli capocannoniere proletario nel campionato dei ricchi.
Per la prima volta, inizia la seconda annata consecutiva sulla medesima panchina. Ad una partenza a razzo segue una flessione, preventivabile se le tue fortune dipendono dalle lune del capo-tribù nonchè bomber Lucarelli.
Al 23° turno, il Livorno si è issato sino al 6° posto, guadagnandosi i galloni di sorpresa dell'anno. All'Ardenza arriva il Messina, e qui il 'presidente-Gabibbo' realizza una personalissima apologia della follia. Gli ospiti rimontano, da 2-0 a 2-2, aiutati da arbitro e guardalinee che confezionano un rigore assurdo (eufemismo) per un fallo di mano avvenuto un paio di metri fuori dai sedici metri. Colpa di Moggi? No, è tutta colpa di Donadoni, almeno a detta di Spinelli. Il giovedì successivo, arrivano le dimissioni dell'allenatore, logica conseguenza della degenerazione del giocattolo calcio, in mano a sedicenti kapot bravi solo a cianciare. I labronici vinceranno il derby contro i cugini viola, ma soprattutto, guidati da nonno Mazzone, collezioneranno sette sconfitte di fila, e addio Uefa.
Due siluramenti in cinque anni sono una fastidiosa macchia nel pedigree di un tecnico, ma, ripensando ai datori di lavoro, il tutto assume un peso inferiore. Certo, da qui a renderlo papabile per il dopo-Lippi in azzurro ce ne passa.
Ora è necessario riavvolgere il nastro. Avevo consigliato di segnarsi un nome, quello di Albertini. Il perchè è presto detto. Nominato commissario straordinerio della FIGC, braccio destro di Drive Red, ex consigliere del CDA interista, legato a doppio filo a Moratti e Tronchetti, spetta a lui scegliere i nuovi CT di nazionale campione del mondo e Under 21. Accantonato Gentile, vengono chiamati il Roberto e il Gigi (Casiraghi), affiancato da Zola e Rocca.
Rapido sunto della carriera dell'ex bomber (vabbè, facciamo centravanti) della Juve: giovanili Monza, Legnano in C2 ma presto esonerato con la squadra nei bassifondi della classifica, coordinatore del settore giovanile del Monza, CT dell'Under.
La ricostruzione è completa. Anzi, no, guai ad omettere l'esperienza più rilevante, ovvero la comune militanza con Albertini in azzurro.
Va in onda 'Amici di Demetrio': uno piazzato sulla panchina più prestigiosa, un altro a plasmare futuri campioni sotto i 21 anni.
Il buon senso consiglierebbe, in assenza di gente di un certo livello con esperienza nei club, di affidarsi ad un tecnico federale, come fu ai tempi di Bearzot e Vicini. A rigor di logica, poteva essere il turno del pluridecorato Gentile. Nisba, è ancora a spasso.
Le alternative non solleticavano certo le fantasie del popolo. Da Ranieri a Zaccheroni (paura, eh?), 'low profile'.
La stampa intanto affila le penne, pronta ad attaccare il giovine Donadoni al primo (mezzo) passo falso. Arriva subito, all'esordio ufficiale, sotto forma di scialbo 1-1 interno con la modesta Lituania.
Il remake della finale di Berlino si traduce in un 3-1 Francia senza possibilità di replica. La scusa della condizione non regge, il rimpianto per Lippi monta, la panchina già scotta.
Il cammino prosegue fra alti (pochi) e bassi (tanti), un gioco che non c'è e la consapevolezza, nel tecnico, di defenestrazione immediata a furor di popolo in caso di mancata qualificazione.
Se la concorrenza francese era più prevedibile delle frasi al veleno di Domenech, la sorpresa si chiama Scozia. Imbattibile tra kilt e cornamuse, vulnerabile fuori dai confini nazionali. Il contrario dell'attuale Milan, insomma. A Bari, una doppietta di Toni annichilisce la resistenza degli uomini di McLeish.
Un dato, inconfutabile: 6 a 1. Sono i punti conquistati, rispettivamente, da Scozia ed Italia contro i galletti. I risultati sono logica conseguenza del diverso approccio alle partite. Se gli anglosassoni, pur costretti da cause di forza maggiore (leggasi: valori tecnici inferiori) a giocare a nascondino, non demeritano in quanto ad intraprendenza, la banda Donadoni rimedia un punticino interno, ma soprattutto una discreta figura di emme.
Intendiamoci, 0-0 è lo stesso risultato della finale dei Mondiali senza i calci di rigori e con annessa testata di Zidane; le critiche sono motivate dall'atteggiamento rinunciatario di fronte ad un avversario sbarcato a Milano per strappare un punto e riuscitosi senza apparente affanno. La scelta di schierare Del Piero esterno sinistro costretto spesso a rinculare su Ribery grida ancora vendetta; lo stesso Alex ha ritenuto poi necessario chiarire all'unico essere vivente ancora all'oscuro della cosa (per sua sfortuna, il CT Donadoni) che lui è una seconda punta da tempo immemore. Risultato: da quella sera, la nazionale l'ha vista dalla poltrona di casa.
Dopo il colpo gobbo scozzese a casa Sarkozy, la situazione della classifica è tale da rendere la sfida di Hampten Park prevista per il 17 novembre vero e proprio crocevia per la qualificazione, con la Francia avviata senza patemi a staccare il biglietto per i prossimi Europei.
Attenzione, però, a dare troppe cose per scontate nel calcio... altro giro, altro nome. Levan Michelidze. Sorge spontaneo l'interrogativo: "Ma chi cazz'è?". Trattasi di un 17enne georgiano, tesserato per l'Empoli dove milita nella formazione Primavera, autore del primo gol nel 2-0 inflitto a Ferguson e soci.
L'imprevisto passo falso cambia gli scenari, ora all'Italia basta un pareggio a Glasgow.
Subito avanti con Toni, entra in scena l'arbitro Mejuto Gonzales, che prima annulla lo 0-2 firmato Di Natale e poi, nella ripresa, convalida il pareggio di capitan Ferguson, realizzato in offside. Ci pensa Panucci a regalare, allo scadere, il primo successo in Scozia.
Già, Panucci. Reietto ai tempi di Lippi, resuscitato da Donadoni nonostante qualche screzio con Spalletti. Di Germania 2006 è stato semplice telespettatore, visto che gli è stato preferito Zaccardo, il cui unico contributo alla causa è stato riuscire laddove hanno fallito i vari Shevchenko, Klose, Podolski e Henry: far gol a Buffon su azione. Anche per lui è arrivato il momento della rivincità. Da quando Lippi si è dato a vinicoltura e videofonini, ha rincominciato a respirare l'aria di Coverciano.
Proprio il romanista è lo specchio della gestione Donadoni. Nuovo (0 presenze con Lippi CT), ma allo stesso tempo vecchio (34 anni), simbolo di una nazionale che poggia sul gruppo del Mondiale. L'inserimento di nuovi talenti come Aquilani, Montolivo e Pazzini rinviato a data da destinarsi, e lo smarrito Gilardino, pur tra i convocati, sembra aver perso il treno giusto a favore del vissuto compagno Lucarelli. Su 25 convocati per l'ultimo, doppio, impegno, sono ben 16 gli eroi di Berlino. Tra gli esclusi, uno ha appeso i guantoni al chiodo (Peruzzi), un paio si sono bruscamente, ma prevedibilmente, ridimensionati (Zaccardo, Barone), altrettanti pagano acciacchi, età e/o incomprensioni (Del Piero, Inzaghi) e altri due si sono chiamati fuori (Nesta, Totti).
Un altro capitolo interessante è relativo al caso del Pupone. Sembra la storia tra due adolescenti, Moccia potrebbe scriverci l'ennesimo best seller. Il romanista è la ragazza navigata che se la tira, il CT il lui inesperto e succube della personalità dell'altra metà. Il risultato, prevedibile, è il seguente: Totti lascia, dopo un lungo tira e molla, l'azzurro; Donadoni è investito da polemiche per la discutibile gestione del caso.
Il Nesta degli ultimi anni assomiglia sempre più ad una neuro ambulante, tra legamenti immolati alla causa azzurra e pollici alla Play Station, e ha detto basta senza far troppo rumore.
A proposito di rumore, a dimostrazione che tutto il mondo è paese, vale la pena segnalare gli sproloqui di McLeish e Domenech. Il primo si è sentito derubato per la sconfitta di sabato, dimenticandosi le topiche del fischietto spagnolo sui gol di Di Natale e Ferguson. Per dirla tutta, la punizione da cui è scaturito il definitivo 1-2 di Panucci è frutto della fervida fantasia di Mejuto Gonzales, ma un indizio in contrasto con altri non costituisce una prova schiacciante per sostenere una tesi dunque artificiosa. Domenech, come suo costume, si è espresso con parole discutibili su di noi, tirando in ballo persino la morte di Sandri. Vabbè, lasciamolo cuocere nel suo brodo, in attesa, chi lo sa, di un'altra vendetta ai prossimi Europei.
Tra l'ingiustificato trionfalismo che circonda un tecnico riuscito 'nell'impresa' di qualificare la nazionale campione del mondo in carica ad Austria&Svizzera 2008 (!) e un Drive Red che accusa gli altri (Abete) di salire sul carro dei vincitori e parla di gruppi di potere, nulla è cambiato.
Nemmeno la lezione di civiltà della Tartan Army, nemmeno le perplessità su Donadoni.
Come profetizzò Sacchi, gli ingredienti necessari per avere un gruppo vincente sono: "Oc, pasiensa e bus de cul". Ha perfettamente ragione. Soprattutto sull'ultimo punto.

lunedì 19 novembre 2007

Tutti pazzi per Seba

La roboante vittoria dell'Under 21 contro l'Azerbaijan ha regalato sorrisi alle alte sfere di Corso Galileo Ferraris.
La soluzione al pruriginoso problema dell'asetticità di manovra è già in casa, o meglio, lo dovrebbe essere dal giugno prossimo. Il condizionale è d'obbligo, perchè chi tesse le trame del mercato bianconero si è già prodotto in scelte discutibili.
Il presente di Sebastian Giovinco è tinto d'azzurro, diviso tra Empoli e nazionale. Per il bianconero, suoi colori sin da pupo, c'è tempo (?).
I poveri azeri, trovandosi di fronte il fenomenino bonsai, avranno rimpianto la fredda steppa dell'ex repubblica sovietica. Tecnicamente, al loro cospetto, persino Molinaro farebbe la sua porca figura, ma facilità di calcio, lettura dell'azione e visione di gioco rendono il 20enne numero 10 eleggibile nell'Olimpo dei potenziali campioni.
Vedere questo trottolino inesauribile correre come un ossesso per il campo, con la palla che pare legata al piede da un elastico, partorisce paragoni irrivenenti, addirittura blasfemi se si scomodano divinità in pensione (Maradona). Il nome più gettonato è Messi, suo coetaneo, erede designato del Pibe de Oro, che può già vantare innumerevoli tentativi, più o meno riusciti, di imitazione, Aguero in testa. Pur essendo, attualmente, notevole la forbice tra la stella blaugrana e Sebastian, vedere quest'ultimo far panchina al Marianini di turno giustifica visioni apocalittiche per il futuro del calcio italiano.
La sua avventura in Toscana è caratterizzata da un crescendo rossiniano. Vittima dell'abitudine molto 'italiota' di centellinare eccessivamente i giovani seppur baciati dal talento, fatica a trovare spazio nell'undici iniziale, ma pian piano sta conquistando la fiducia di Cagni ed incrementando il proprio minutaggio. Il classico 8-1-1 di Cagni, la posizione defilata sulla sinistra e il dover interagire con calciatori del calibro di Moro, Pozzi e Saudati rischia di mortificarne la classe; la presenza di Vannucchi, uno dei tanti incompiuti riciclatosi re nella periferia calcistica italiana, di togliere tranquillità e spazi alla 'Formica Atomica'. E' una storia già vista: lo sbarbatello arriva e oscura l'eroe locale, facendogli girare i cosiddetti. Da fuori, il feeling tra i due pare scarso. Gelosia canaglia?
Il prolungato letargo dell'orso Nedved e l'ennesima attesa per Godot Del Piero rinfocolano il rammarico per il prestito della stellina dell'Under, destinato ad ereditare il posto da titolare del primo, pur con approccio diametralmente opposto, e la maglia del secondo. Il suo ritorno in un futuro prossimo potrebbe sancire il ripristino del trequartista, abbandonato sull'altare di un'offerta irrinunciabile e del desider io della signora Zidane di abbandonare Torino a favore delle assolate spiagge di Madrid. Con il franco-algerino, Giovinco condivide numero (21) e capigliatura (si fa per dire), oltre all'innata capacità di ispirare le punte.
Alcuni tifosi sognano Diego o Van der Vaart. Nomi altisonanti, giocatori importanti, non a caso costano un fottio e molti club stanno alla finestra. Il prezzo indicativo è di 15-20 milioni; giocare con Molinaro dietro e Nocerino in mezzo in attesa di Tiago, e svenarsi per un fantasista avendo: a) mezzi ed appeal limitati b) uno dei migliori '87 italiani a libro paga, è un nonsense.
Idolo delle folle ancor prima di esordire nel calcio dei grandi, coccolato dai compagni, temuto dagli avversari e spiato dagli 007 stranieri, questo e molto altro è Sebastian Giovinco.
Blanc, Secco, se ci siete, battete un colpo.
Tradotto: Blanc, Secco, se ci siete con la testa, riportatelo a casa il prima possibile. Magari a gennaio, magari con il futuro sposo Marchisio, per una Juve più giovane, forte ed italiana.

mercoledì 14 novembre 2007

Una domenica bestiale

Gabriele Sandri, 28enne romano, professione DJ, ucciso da un agente della Polstrada. Ed inferno sia.
Questa la sintesi, asciutta e implacabile, di una domenica d'ordinaria follia, che ha ben poco a spartire con l'ex giocattolo più bello del mondo.
L'assurda tragedia è avvenuta in mattinata, nel parcheggio di un autogrill nei pressi di Arezzo. A seguito di una rissa tra juventini e laziali, viene allertatata la polizia stradale. (S)Fortuna vuole che, dalla parte opposta della carreggiata, si trovi una pattuglia. Dopo aver attivato, come consuetidine, la sirena a mo' di avvertimento, un poliziotto spara due colpi, di cui, evidentemente, solo uno, il primo, in aria. L'altro attraversa la trafficatissima A1 e colpisce al collo il giovane tifoso, seduto in macchina e pronto a ripartire alla volta di Milano.
Il buon senso induce ad esclude una componente di volontarietà nel gesto del poliziotto, ma sparare ad altezza d'uomo resta comunque un errore imperdonabile. Persino avessero giocato ad indiani e cowboy su quella maledetta piazzola, persino se nessuno c'avesse rimesso la vita.
Azione implica reazione, in questo caso, però, assolutamente spropositata all'atto compiuto.
Gli oggetti rinvenuti nell'auto colpita hanno nulla a che fare con una sana domenica di tifo, ma guai a giustificare con ciò l'ingiustificabile. Poteva persino andare peggio, fosse stata colpito un auto in transito, si sarebbe parlato di strage.
Attenzione a non cadere nell'errore opposto. E' spirato un ragazzo come tanti, mica un emulo del Mahatma Gandhi, anche se da come ne parlano sembra preparino la strada alla santificazione.
Da semplice vittima, si (lo) sta(nno) trasformando in martire della faida ultrà vs. polizia.
Le condoglianze sono doverose, discorsi come 'Onore a' sarebbe meglio riservarli a chi muore in nome di ideali come l'amor di patria o, più semplicemente, facendo il proprio dovere. Qualsiasi riferimento all'ispettore Filippo Raciti è fortemente voluto.
Sia chiaro, non esistono morti di serie A e morti di serie B, ma è innegabile come si tratti di casi diversi nelle dinamiche e nel contesto, per i quali in molti auspicavano la medesima conclusione, ovvero il rinvio di tutti i match di giornata.
A Parma, i tifosi bianconeri non hanno esposto striscioni. Un paio di vessilli, dapprima appesi al contrario in segno di lutto, sono stati immediatamente rimossi. A cinque minuti circa dal fischio iniziale, i supporters di casa hanno esposto un eloquente 'La morte è uguale per tutti'. Anche in questo caso,
qualsiasi riferimento all'ispettore Filippo Raciti è fortemente voluto. Per il resto, accantonati i cori d'incitamento alla squadra, sono stati sfoderati insulti assortiti alle forze dell'ordine, intervallati da qualche 'Sospendete la partita!'. Il nemico, insomma, è uno ed indossa una divisa. Inquietante.
La negligenza di uno rischia di diventare un grimaldello nelle mani dei violenti, come dimostrano la sospensione di Atalanta - Milan a seguito delle veementi protesti degli ultrà atalantini, i disordini di Taranto, e, soprattutto, l'assurda notte di Roma, messa a ferro e fuoco da un folto gruppo di facinorosi.
In questi casi, l'impressione è che, qualunque sia la decisione, manca sempre qualcosa. Si fosse giocato persino a Milano, la forbice con il post-Raciti sarebbe stata ancor più intollerabile agli occhi di qualcuno, le conseguenze prevedibili. Ripensando alle violenze della capitale, in caso di sospensione dell'intera domenica calcistica, poteva persino accadere di peggio, ma fermarsi, di fronte ad un accadimento del genere, era doveroso.
Guai a generalizzare, estendendo la colpa di uno a tutta una categoria (qualunque essa sia) si finisce per criminalizzarla ingiustamente, ma in un paese come l'Italia, persino attendersi un sereno processo è utopia. Le mele marce si celano ovunque, dalla polizia agli ultras.
Chi ha sbagliato paghi, in maniera commisurata alla colpa. Finiscano sotto processo anche gli amici della vittima con lui al momento del misfatto, se veramente hanno partecipato ad una rissa. Oltre il danno, la beffa? No, giustizia, senza se e senza ma.
Gabriele Sandri è morto, merita rispetto, non di diventare pretesto per violenze e vendette.

Iaquinta salva la Juve che non c'è

Ora Ranieri ritiri tutto.
Prima della sfida di Parma, aveva osato paragonare l'attuale Juve a quella del Lippi I.
Qualcuno gli ricordi che, ad esempio, in luogo del ferramenta Nocerino, c'era un certo Paulo Sousa, o Deschamps se preferite. Altra differenza sostanziale, un manico meno pasticcione dello stesso Claudio.
L'unico reduce è Del Piero. Allora, 20enne in rampa di lancio. Oggi, ultratrentenne in difficoltà.
Non bastano il rinnovo contrattuale e la recente paternità, l'età passa per tutti. A Parma l'ennesima conferma.
Non è stata, ahimè, l'unica. Il sospetto è diventato certezza: il rosso per i tori sta al bianconero per gli arbitri. Prima Bergonzi, ora Gava, al quale l'anno scorso venne impedito di arbitrare la Juve in quanto amico del numero 10 bianconero. La domenica in terra emiliana ci ha fornito un ulteriore motivo per evitare futuri arbitraggi, ovvero, semplicemente, incapacità (versione buonista o, si spera, realista), a meno che non sia semplicemente parte di un disegno contro la Vecchia Signora (per chi è affascinato da complotti e torbidi intrecci).
Comunque la si voglia leggere, un rigore generosamente concesso per lo svenimento di Reginaldo senza che il contatto con Zanetti giustifichi il plastico tuffo in avanti coefficiente 2.5 e un gol annullato a Iaquinta per oscuri motivi fanno il paio con il furto con scass(ament)o (di...) del San Paolo. L'espulsione di Chiellini è invece legittima, vista l'eccessiva foga e rudezza del cingolato toscano, con tanto di reazione alla 'cravatta' del rissoso neoentrato Morfeo, anch'egli finito anzitempo sotto la doccia. Un po' troppo fiscale il rosso diretto a Coly, poco dopo, ma ormai il fischietto veneto era nel pallone. Palladino ne sa qualcosa, tanto da venir ammonito per un'ostruzione subita a gioco fermo (!).
Detto questo, non si può certo nascondere una montagna (di problemi) dietro ad un dito, magari medio, magari rivolto all'arbitro di turno. Il primo tempo della banda Ranieri è qualcosa di raccapricciante, senza offesa per il raccapriccio. Il nulla più assoluto, e solo un avversario modesto ed impreciso persino nei disimpegni più elementari ha evitato un passivo difficilmente sovvertibile.
A destra, Pisanu alimenta rimpianti per ciò che poteva essere ma non è stato della sua carriera. Stesso dicasi per Gasbarroni, schierato da Di Carlo dietro all'unica punta Corradi ma abile nello svariare a tutto, e Reginaldo sull'altra fascia.
L'alibi delle assenze non regge, di Molinaro e questo Nedved si può fare tranquillamente a meno.
Il campano è sostituito da Criscito, alla prima uscita come terzino sinistro nella linea a 4. L'ex genoano è messo costantemente in crisi dal brasiliano, e persino il 'Gasba' si defila per tentare sbocchi esterni. Grygera non è da meno, e conferma di aver imboccato una preoccupante parabola discendente. Dopo la moscia prestazione contro l'Inter, anche in Emilia si dimentica spesso l'uomo, accorciando troppo verso i centrali e consentendogli l'uno contro uno.
In mezzo al campo, il solito Nocerino, generoso ma pasticcione, e uno Zanetti insolitamente lento e poco propositivo mortificano la presenza dell'isolato Trezeguet. Cercasi disperatamente direttore d'orchestra. Se a questo si aggiunge il Camoranesi poco ispirato visto nei primi 45 minuti, ecco spiegati i tiri nello specchio della porta difesa dal fischiatissimo Bucci: 0, come le sovrapposizioni dei terzini. Invertire l'ordine dei fattori (Camoranesi con Palladino) non cambia la formula. Buffon, dopo aver salvato in uscita su Reginaldo, non può nulla sul rigore di Gasbarroni al 43°.
Non c'è tempo per reagire, arriva ben presto il fischio finale della prima frazione.
E' stata la peggiore Juve della stagione, l'unica certezza è che si possa solo far meglio.
Nel secondo tempo, Ranieri rinuncia a Del Piero, sostituendo con Iaquinta. Il capitano aveva fatto in tempo a mostrare il lato peggiore di sè: lento ed egoista, costringendo quasi i compagni a ricorrere al lancio lungo, vista anche l'assenza di registi in grado di far ripartire l'azione.
L'inizio sa tanto di copione già scritto: Reginaldo imperversa a sinistra, crossa per Pisanu sul secondo palo, bravo nel controllare e scaricare un poderoso diagonale alle spalle di Buffon. E' il 57°, la Juve non c'è. Grygera nemmeno, e nell'azione del gol si vede. Guarda beato il pallone, facendosi sovrastare dalla sfera e superare come un birillo dall'esterno sardo.
E' l'ultimo misfatto di giornata del ceco, sostituito dopo pochi minuti da Salihamidzic. Poco prima era toccato a Nocerino uscire per far posto a Tiago. L'impatto dei due non è immediato, ma la vendetta è un piatto che va consumato freddo. Il portoghese si conferma prezioso sui calci piazzati, e mette al centro un pallone col contagiri per Legrottaglie, che insacca di testa (31°). Tempo due minuti e Chiellini si fa cacciare per un fallaccio inutile e stupido su Morfeo.
In 10, sotto di un gol, incitati dal proprio pubblico, gli uomini di Ranieri si rianimano, e rispolverano l'ormai abituale 'cuore Juve'. Salihamidzic scambia con Camoranesi, trova il fondo e lascia partire un cross spizzato da Trezeguet per Iaquinta che infila Bucci.
Non finisce qui. C'è ancora tempo per il terzo rosso di giornata, destinatario Coly, e per il gol inspiegabilmente annullato allo stesso Iaquinta, abile ad insaccare di testa sulla punizione susseguente.
E' un 2-2 che mette a nudo il lato debole di una squadra incapace di creare gioco. Aggrapparsi al cuore non è sufficiente per restare aggrappati alle prime posizioni. Tiago è in crescita, nonostante ancora si conceda lunghe pause, Almiron disperso nei meandri della panchina. Fino a gennaio, l'unica via è tirare avanti alla meno peggio, ma il mercato di riparazione dovrà necessariamente essere più redditizio di quello estivo.

LE PAGELLE:

Buffon 6.5
- Salva su Reginaldo, non può nulla sui gol parmigiani.
Grygera 4.5 - Costantemente puntato (e soprattutto superato) da chiunque graviti nella sua zona di competenza, l'unica cosa buona la fa grazie a Ranieri, quando questi lo sostituisce (Salihamidzic 6.5 - Entra in campo quando non c'è più bisogno di difendere, e si dedica alla fase di spinta, che gli riesce insolitamente bene. Dai suoi piedi parte l'azione del pareggio. A fine partita viene sotto la curva ospiti e regala la maglia ad un tifoso. Simpatico e disponibile, stavolta pure bravo. Promosso).
Legrottaglie 6.5 - In difesa mette la museruola all'isolato Corradi (pur con qualche rudezza di troppo, soprattutto contro avversari più svelti), davanti riesce laddove hanno fallito i vari Del Piero e Trezeguet. Segna, riaccende la speranza e fa un altro passo verso la definitiva uscita dal tunnel.
Chiellini 4 - Voto non lla prestazione (bene da centrale, meno da terzino), ma per l'espulsione. La proverbiale grinta si trasforma in eccessiva cattiveria agonistica, e non è la prima volta. Se vuole diventare un big, deve imparare a contenersi. Intollerabile un'entrata del genere in quella zona di campo, inconcepibile lasciare la squadra sotto di un gol in 10. Morfeo poi lo trascina a sè, ma lui non fa nulla per impedirglielo. Bischero.
Criscito 5 - Inizia male, in difficoltà nell'inedito ruolo di terzino sinistro. Ha i mezzi per far bene, ma la cura Ranieri su di lui sta avendo effetti altamente negativi. Cresce vistosamente una volta invertito con Chiellini.
Camoranesi 6 - Nel primo tempo fa poco, perde qualche pallone e nemmeno rincorre gli indemoniati avversari. Con il passare dei minuti, cresce assieme al resto della squadra, ma il miglior Mauro è un'altra cosa.
Nocerino 4.5 - Semplicemente, non ne azzecca una (Tiago 6 - In crescita. Tra pause degne di Celentano, qualche apertura e l'assist a Legrottaglie per il momentaneo 2-1).
Zanetti 6 - Meno brillante del solito, dovendo fare da badante al compagno di reparto.
Palladino 6 - Anche per lui un piccolo passo indietro. Pochi gli spunti, così come l'aiuto (reciproco) con chi gli sta alle spalle.
Del Piero 4.5 - Lento, egoista, concede agli avversari il tempo di triplicare su di lui, viene giustamente sostituito da Ranieri (IAQUINTA 7 - Lotta su tutti i palloni, ne butta dentro un paio, ma Banti gliene concede uno solo. In questo stato di forma, deve giocare titolare). Trezeguet 5 - Gli arrivano pochissimi palloni, e lui scompare. Mezzo voto in più perchè entra nell'azione del pareggio.

Parma:
Bucci 6, Coly 5, Falcone 6, Rossi 6.5, Castellini 6; Morrone 6.5, Cigarini 6; Reginaldo 7 (Matteini ng), Gasbarroni 6.5 (Dessena 5), Pisanu 6.5 (Morfeo 4); Corradi 5.5.

Arbitro, Gava 4.5
- Come già detto, ne azzecca davvero poche.
Assistenti, Copelli 6, Stagnoli 6.

lunedì 5 novembre 2007

Suicidio Roma, la Viola ci crede

Un banner pubblicitario lancia la Fiorentina.
Su avventato retropassaggio di Cribari, il 43enne Ballotta, nel tentativo di evitare il calcio d'angolo, consegna a Pazzini il pallone della vittoria. Lo stesso centravanti toscano, nella ripresa, colpisce la traversa su imbeccata di Donadel.
I viola salgono così al 2° posto, dietro alla capolista Inter fermata dall'indomita Juventus di Camoranesi.
La Roma getta al vento l'occasione per avvicinarsi sensibilmente agli uomini di Mancini.
Empoli si conferma tabù per Spalletti. In vantaggio per 0-2 grazie al diagonale di Giuly e alla schiacciata di testa di Brighi, i giallorossi sprecano l'impossibile con l'imborghesito Vucinic. Vannucchi, con un capolavoro balistico dai 30 metri, e una perla di Giovinco su punizione, aiutato dal distratto Doni, castigano gli ospiti.
La Toscana è indigesta pure alla sorprendente Udinese, bloccata sullo 0-0 da un Livorno in ripresa.
I labronici restano ultimi, insieme alla Reggina, rivitalizzata dalla cura Ulivieri e capace di pareggiare a Napoli per 1-1. In vantaggio con il neoentrato Vigiani, Lavezzi si procura un rigore (stavolta netto) che Calaiò si fa respingere dall'ottimo Campagnolo. Tocca all'argentino, sbloccatosi così al San Paolo, firmare il definitivo pareggio in extremis.
Il Milan si conferma incapace di infilare due partite vincenti di fila, e San Siro è ormai un incubo. Punteggio ad occhiali contro il Torino, Gilardino fa indigestione di gol sbagliati, Ancelotti canna le sostituzioni togliendo il migliore in campo (Seedorf) ed intasando gli spazi con l'inserimento di Inzaghi: tutto nella norma.
La Sampdoria, al contrario, dopo la batosta interna contro i rossoneri, reagisce e ne rifila 3 al Cagliari del pericolante Giampaolo. Di Volpi, Caracciolo (in campo al posto di Montella) e Maggio le reti, tutte nel primo tempo.
Anche il Genoa ne infila 3, ma una difesa allegra consente al Palermo di agguantare un punto prezioso. Avanti con Cavani nella prima frazione, la rimonta genoana è firmata da uno scatenato Leon. Il pareggio di Brienza (di testa!) è vanificato dall'ennesima rete di Borriello, prima del definitivo 3-3 di Amauri. Da segnalare due rigori, uno per parte, negati da Rosetti, e l'ottima prestazione di Simplicio, autore degli assist per tutte le segnature ospiti.
A Catania, si sveglia dopo un lungo letargo Spinesi, ma il suo (bel) gol non serve ad evitare il ko interno con l'Atalanta trascinata dalla doppietta di Langella, nonostante il penalty fallito da Doni.
Nel match tra pericolanti, pari e patta tra Parma e Siena. Corradi, senese di nascita, porta avanti i suoi, ma De Ceglie, dopo un clamoroso errore in apertura, si riscatta con il diagonale dell'1-1. Lo splendido assolo di Matteini vale il 2-1, il tiro di Galloppa deviato dal giovane Rossi il 2-2. Di Carlo, che lascia Morfeo in tribuna, rischia. In caso di passo falso interno contro la Juve, lo spettro dell'esonero rischia di trasformarsi in realtà concreta.

CLASSIFICA:

Inter 25
Fiorentina 23
Roma 22
JUVENTUS 21
Udinese 19
Atalanta 18
Napoli, Palermo 15
Milan, Catania, Genoa, Sampdoria 14
Torino 12
Palermo 11
Lazio 10
Siena, Cagliari, Empoli 9
Livorno, Reggina 6

Tanto fattore C, la Juve godicchia

C come cuore.
La Juve non muore mai.
Frase fatta? No,
verità ineluttabile radicata nel DNA (vincente) del club, indipendentemente dal blasone degli interpreti.
La ruota gira, e, a seguito della diaspora post-Farsopoli, il ruolo di favorita, assieme a Vieira ed Ibrahimovic, ha preso la residenza in Via Durini.
L'insolita veste di outsider calza a pennello ad una squadra operaia, capace di coniugare un innato spirito indomito con la classe dei pochi operai specializzati rimasti.
La spina dorsale dell'undici titolare è specchio fedele della situazione attuale. Le coppie Legrottaglie - Chiellini e Nocerino - Zanetti, da un lato testimoniano le infelici scelte di mercato, dall'altro una dimensione tecnica inferiore alle corazzate milanesi (una, quella di Ancelotti, rivelatasi piena di falle) e alla Roma.
Il centrale pugliese, un tempo oggetto di ironie causa errori marchiani e look da tronista, è rinato una volta scoperto Dio e guarito dalla pubalgia. Da cigno a brutto anatroccolo e ritorno. Assieme al carro armato targato Livorno, mette la museruola agli avanti interisti. Lo sbruffone svedese viene così sommerso non solo dai fischi ma anche dalla strabordante fisicità di Giorgio, sempre più a suo agio al centro della difesa. Il Cyrano svedese è disinnescato, spada batte fioretto.
'Chi non risica, non rosica', dice un famoso proverbio. Ranieri osa, disinnescando la premiata ditta del gol interista con la tattica del fuorigioco, applicata con costanza e rigore dalla retroguardia bianconera. Cruz e Ibrahimovic fanno la figura di un Inzaghi qualsiasi, e visti i tempi, è il caso di sottolineare la prova impeccabile degli assistenti Biasutto e Lion.
A volte, però, basta la stecca di un singolo per far stonare l'intero coro. Fuor di metafora, l'errore, doppio, è di Grygera, che tiene in gioco Cruz e si dimentica di stringere verso il centro, lasciando all'argentino lo spazio giusto per inserirsi e far secco Buffon con un destro chirurgico. Tra Feyenoord, Bologna e Onesti, il 'Giardiniere' si conferma lo spauracchio della Vecchia Signora, e lascia ancora una volta il segno: C come Cruz. Per la cronaca, il fischietto fiorentino non ravvisa un fallo di Chivu Del Piero meritevole di essere punito con un calcio di punizione. Sul ribaltamento di fronte, il vantaggio Onesto.
Tutto da rifare. Sino a quel momento, i pericoli maggiori li aveva corsi Julio Cesar, pur conservando i guanto intonsi o quasi a causa della scarsa mira dei tiratori scelti juventini. L'eccezione è rappresentata da un calcio piazzato dalla sinistra di Del Piero, respinto in bagher dall'estremo difensore brasiliano. Siccome non c'è Juve - Inter senza episodi dubbi, tempo 5 minuti ed Alex, spalle alla porta, viene abbracciato affettuosamente da Samuel. L'arbitro Rocchi sorvola, e sul prosieguo dell'azione Zanetti in proiezione offensiva trova la deviazione in angolo.
Il possesso palla dei Ranieri boys è sterile, Trezeguet reclama vanamente palloni giocabili, i bolidi di Nedved, un tempo destinati al sette, finiscono a Pinerolo. Le iniziative di Del Piero si infrangono contro il muro eretto da Samuel versione The Wall e compagni. Un episodio su tutti: 31°, Palladino supera in bello stile due avversari, ma anzichè andare in profondità, si muove in orizzontale, e quando tenta la verticalizzazione la difesa avversaria è schierata da un quarto d'ora.
L'incapacità di costruire palle gol si spiega con un centrocampo ricco di fosforo e sostanza, ma povero in inventiva. Nocerino pare posseduto da Gattuso, come confermato sia dal suo ringhiare ogni qual volta scorge qualcosa di nerazzurro che dai lanci sconclusionati. La foga con cui mette in atto i dettami del Paròn Rocco ("Tuto quel che se movi su l'erba, daghe. Se xe la bala, pasiensa") trova risposta, dopo nemmeno dieci minuti, in un cartellino giallo che funge da anestetico per i bollenti spiriti del napoletano. Accanto a lui, svetta la calma olimpica di Zanetti, vero metronomo del centrocampo bianconero, bravo in fase di non possesso a togliere aria e spazi ai portatori di palla avversari, pur non disdegnando aperture ed inserimenti. Encomiabile.
Alla resa dei conti, le maggiori delusioni arrivano dai protagonisti più attesi.
Doveva essere la partita di Del Piero (Ranieri dixit), invece il capitano non graffia, pur facendosi apprezzare per la buona volontà. Del compagno d'attacco, già in doppia cifra quest'anno, conosciamo vizi e virtù, vederlo avulso dal gioco è normale alla luce dell'assenza di rifornimenti. L'unico pallone buono arriva dalla sinistra, nella ripresa, ma un infido rimbalzo lo inganna e la sfera termina in curva Nord.
Il vero problema ha la chioma bionda di Pavel Nedved. Corre a vuoto, incide solo sulla caviglia destra di Figo, procurandogli la frattura del perone. Spiace dirlo, ma trattasi di ex grande giocatore.
Dall'altra parte, il portoghese, troppo lezioso, si marca da solo, facilitando il compito al timido Molinaro, avaro di sovrapposizioni come Grygera sulla destra. Quest'ultimo lascia troppa libertà a Cesar, facendo quasi rimpiangere la lucida follia di Zebina. Detto dell'abulico svedese, la differenza con il partner, autore del vantaggio, si nota in chiusura di prima frazione, quando il fischiatissimo ex, scattato sul filo del fuorigioco, riesce a farsi rimontare da Chiellini, mancando il raddoppio.
Il copione non cambia nel secondo tempo. La Juve tenta di acciuffare il pareggio, esponendo il fianco al contropiede. L'Inter siglerebbe pure lo 0-2 in grado di uccidere la partita, ma il tap-in di Cambiasso su imperfetta respinta di Buffon è vanificato dall'offside dell'argentino col parrucchino.
La squadra inizia ad allungarsi, arriva così il momento di Suazo. Il neoentrato dà subito sfoggio di velocità supersonica superando Zanetti e, rimbalzato Chiellini, riesce a servire Ibrahimovic, il cui destro, potente ma centrale è respinto dal numero 1 bianconero.
Dopo l'ingresso di Iaquinta in luogo dell'evanescente Nedved, ecco il cambio decisivo: fuori Del Piero, dentro Camoranesi.
V for Vendetta, C come Camoranesi.
L'italo-argentino si presenta con uno slalom degno del miglior Tomba e un cucchiaio a liberare Iaquinta, il cui cross viene intercettato da Cordoba, che anticipa Trezeguet e costringe Julio Cesar in angolo.
La verve del campione del mondo cambia il volto dei padroni di casa, ma l'occasione migliore capita agli Onesti. Cambiasso in profondità per Cesar, favorito dal buco di Grygera, pallone in mezzo per l'accorrente Suazo, ma Buffon intercetta la conclusione dell'honduregno. Poco dopo, ancora l'ex cagliaritano al tiro, ancora risposta di Super Gigi.
Al 31°, finalmente, Nocerino riesce a tener basso un pallone, ma Julio Cesar abbranca la sfera. E' il preludio al definitivo 1-1. Finta e controfinta di Palladino su Maicon, il napoletano lascia partire un cross dalla sinistra, Iaquinta, agevolato dallo svenimento di Chivu, appoggia di testa per l'accorrente Camoranesi, il cui tiro, impennato dal tacco sinistro di Samuel, batte imparabilmente il brasiliano. La fortuna aiuta gli audaci (C come... fortuna), esplode la gioia del popolo bianconero.
C'è spazio, volendo, per una polemica di colore nerazzurro, visto che Cesar, lanciato a rete, viene fermato per un controllo di braccio solo presunto. Nonostante Zebina sia in chissà quali altre faccende affaccendato, l'azione sfuma ed i rubinetti di Mancini vengono chiusi prima di aver il tempo di prendere in mano l'abituale fazzoletto.
Non succede più nulla, tranne qualche scaramuccia tra Chiellini e Ibrahimovic. Ordinaria amministrazione.
Alla fine, recriminazione di sorta a parte, moderata soddisfazione per entrambi i contendenti.
La Juve esce a testa da alta da un confronto improponibile sul piano tecnico, l'Inter non paga oltremisura la temuta sete di vendetta sabauda.
Chi sognava una roboante vittoria, si segni sul calendario questo appuntamento: 22 marzo, stadio San Siro di Milano. L'ultima volta, per i pochi distratti che non se lo ricordano, finì con una linguaccia. Siccome, come visto ieri sera, con il fattore C si può sopperire ad altre mancanze, mai porre limiti alla provvidenza. E poi, si sa, la vendetta è un piatto che si serve freddo, e nella tana del nemico c'è forse ancor più gusto.
Intanto, la sfida dell'Olimpico ci lascia in eredità un Palladino... in palla e conferma la graniticità delle coppie centrali di difesa e centrocampo. Pollice verso per Nedved, e anche questa non è una novità. La riprova più rilevante è rappresentata dall'ennesima dimostrazione di carattere di un gruppo capace di gettare il cuore oltre l'ostacolo, sempre e comunque.
- 4 dalla vetta, ma + fiduciosi di prima, l'impossibile può diventare possibile, purchè si mantengano i piedi ben saldi per terra, in nome della vecchia 'umiltè'.

LE PAGELLE:
Buffon 7 - Salva la barca impedendone l'inabissamento, conferma di essere l'induscusso numero 1.
Grygera 5 - Ha il gol sulla coscienza, e concede a Cesar troppo spazio. Il buco su lancio di Cambiasso, che porta poi all'occasionissima di Suazo, testimonia la sua serata-no (Zebina 5.5 - Fa in tempo a dimentica Cesar, regalandogli un invitante contropiede).
Legrottaglie 6 - Elegante e tempestivo, dopo il vantaggio interista va in brodo di giuggiole. Da un rinvio maldestro nasce l'occasione per lo 0-2 interista, finito per nostra fortuna sui piedi di uno stralunato Ibra.
Chiellini 7 - Monumentale su Ibrahimovic, salva sullo svedese e Maicon.
Molinaro 5.5 - Fortunato a trovare un Figo troppo lezioso e compassato, è troppo timido, limitando al minimo sindacale le sovrapposizioni.
Palladino 6.5 - Nel primo tempo, è l'unico a dare un po' di qualità alla manovra. Perde troppi palloni, eccede nei preziosismi, ma sta crescendo a vista d'occhio. Al momento, anche con tutti gli effettivi a disposizione, merita il posto da titolare. Destra o sinistra non fa differenza, è un pericolo costante. Suo il cross che porta al pareggio di Camoranesi.
Nocerino 6 - Inizia con il sangue agli occhi, il giallo lo placa. Importantissimo per il dinamismo, deve però lavorare sui fondamentali.
C. Zanetti 7 - Factotum del centrocampo, esaltato dal desiderio di rivalsa, tiene bene il campo, tampona, fa ripartire l'azione e si inserisce. Da clonare.
Nedved 4 - Voto... d'incoraggiamento. Non ne azzecca una, nel primo tempo sparacchia a casaccio e corre a vuoto, nella ripresa la differenza si vede quando esce (Iaquinta 6 - Fa valere una fisicita maggiore rispetto a Del Piero, cresce infatti quando viene spostato dalla fascia destra a fianco di Trezeguet).
Del Piero 5.5 - Tanta buona volontà, ma contro il muro difensivo interista, poco assistito dai compagni, può fare poco. E difatti non fa molto. In calo nella seconda frazione, sembra quasi 'approvare' la sostituzione con Camoranesi (CAMORANESI 7.5 - Come a Cagliari, entra e cambia il volto della squadra. Subito una serpentina, poi il gol. Bentornato, Mauro).
Trezeguet 5 - Di palloni ne arrivano pochissimi, è vittima più che carnefice. L'unica palla buna la spedisce in curva. Si rifarà, senza dubbio.

Ranieri 6 - Azzecca i cambi, ok. La tempistica, però, lascia spazio a qualche dubbio.

Inter: Julio Cesar 6, Maicon 6.5 (Dacourt ng), Cordoba 6.5, Samuel 7, Chivu 6; Figo 5.5, J. Zanetti 6.5, Cambiasso 7, Cesar 6.5; Ibrahimovic 5, Cruz 6.5.

Arbitro, Rocchi 6 - Qualche sbavatura, nel complesso, promosso con riserva.
Assistenti, Biasutto 7, Lion 7.

Così non Vale

L'anno scorso, una caduta gli costò il titolo, a favore di un incredulo Hayden.
Quest'anno, con Stoner già iridato, ci ha rimesso la mano destra, fratturata, e la piazza d’onore.
Nella stessa città, sempre nel 2006, la sua squadra del cuore ha perso Champions e faccia, con mega-rissa finale e conseguenti maxi-squalifiche.
Due destini che si uniscono, quelli di Valentino Rossi e dell'Inter, almeno nelle disgrazie, essendo il primo vincente per antonomasia nonostante le recenti disgrazie, mentre i secondi devono affidarsi ai santi in FIGC per strappare titoli a tavolino e/o di cartone.
La ruota però gira, e dopo anni di assoli perfetti, sono arrivate le prime, pesanti, stecche. Più che di ruote, è giusto parlare di gomme, vero ago della bilancia, croce e delizia, dipende dai punti di vista.
Se Stoner, dall'alto di un inarrivabile binomio Ducati - Bridgstone, è stato perfetto nel domare un cavallo in passato imbizzarrito, legittimando la vittoria aldilà dei problemi altrui, Nicky Hayden ha un debito con la fortuna superiore a quello (sempre meno presunto) di Valentino con il fisco.
Tutti, e dico, tutti, gli avversari per il titolo hanno perso punti indipendente dai propri meriti. Non bastava l’assortimento completo di guai per il pilota di Tavullia, si è aggiunta la fantozziana (nella forma, non certo nelle conseguenze) orgia di caduti in Catalogna. Tra gli altri, Capirossi, Gibernau, Melandri e Pedrosa, colpevole di aver poi speronato un inferocito ‘Kentucky Kid’, favorendo così la furiosa rimonta del Dottore, vanificata dal clamoroso autogol di Valencia.
Hayden, profeta solo in patria e ad Assen grazie al capitombolo di Edwards all’ultima chicane e con Rossi menomato, giustifica così il perenne sorriso a 32 denti con un bel numero 1 a stelle e strisce sulla carena.
Nessuno avrebbe scommesso un soldo bucato sulla sua riconferma ai vertici, e i primi GP hanno sgombrato le menti da ogni ragionevole dubbio: trattasi di meteora.
Stoner no, lui è campione vero, cannibale dalla tempra d’acciaio, impermeabile alle pressioni, maturato e fortificato dai matrimoni con Adriana e Ducati. Ha dimenticato come stendersi, ora si diverte a stendere gli avversari a suon di vittorie. La superiorità del pacchetto aiuta ma non è sufficiente ad illustrare il quadro del ‘fenomeno Casey’, come testimoniato dagli altalenanti risultati di Capirossi. Ci vuole il manico, e Stoner lo ha usato per bastonare gli altri contendenti.
Resta il rammarico per non aver centrato la vittoria n.° 11 in stagione, eguagliando così Agostini e Rossi, dietro solamente al connazionale Doohan. La pista valenciana sorride alla Honda di Dani Pedrosa, che conquista così il 2° posto nella classifica finale. Il centauro marchigiano, invece, è costretto al ritiro a causa della rottura del motore. Pienamente comprensibile e condivisibile il suo sfogo contro la squadra, alla luce della sofferenza patita per l’infortunio alla mano, vanificata da un mezzo ancora una volta deludente. E stavolta, la colpa non è della Michelin. Uno stralcio del ‘Valentino furioso’ pensiero: “Mi sono fatto un culo così per correre…”.
Alcuni, come il compagno di box Capirossi, vogliosi di voltar pagina con un successo; altri, Pedrosa su tutti, desiderosi di dare una vigorosa spallata al nuovo che avanza.
Per il pilota più amato d’Italia, svilito da un anno di vacche magre, meglio guardare avanti. L’infornata di talenti dalla 250 rischia, dall’anno prossimo, di rimescolare le carte.
Difficile immaginare un Lorenzo disposto ad attendere con pazienza il suo momento dopo un periodo di apprendistato dietro a Rossi. Lo spagnolo, ma anche Dovizioso, hanno talento e voglia di spaccare il mondo. Il tempo è dalla loro, ma la pazienza mal si concilia con l’abitudine a dare gas.
‘Porfuera’ dividerà solo formalmente il box con il numero 46. Nei fatti, montando gomme diverse (Michelin per il deb, Bridgstone per l’italiano), l’interazione tra quelle che saranno strutture indipendenti e separate non ci sarà.
Insistere sulle Bridgstone, due anni fa, pareva un azzardo; la Ducati c’ha creduto, e ha avuto ragione. Il pluricampione del mondo rifiutò il trasferimento alla casa di Borgo Panigale anche per questo motivo, salvo ritrovarsi a bramarle dopo le ultime vicissitudini. Le avrà, ma intanto, come una potenziale amante ripudiata prima di consumare, la vendetta è stata già servita, ed il boccone è di quelli duri da mandar giù.
Ottenuto quanto chiesto (preteso), dovesse andar di nuovo male, per Valentino saranno tempi (ancor più) cupi: il capitolo gomme andrà depennato dall’elenco di possibili scuse. In passato, gli avversari storici furono demoliti prima di tutto psicologicamente. Da Biaggi a Gibernau, hanno presto deposto le armi, accontentandosi di sorrisi parziali e facendo i bagagli verso lidi meno ambiziosi, o addirittura hanno appeso il casco al chiodo. Ora la storia è diversa. Il Re è nudo, lontano parente del despota che fu, i pretendenti al trono crescono, di numero e qualità. I giovani avanzano, i vecchietti stoicamente resistono. Basterà cambiar pelle per rinverdire i fasti dei tempi d’oro?

Il giorno dei giorni


L’ultima volta finì con una linguaccia. Fallo di Cordoba su Nedved, calcio di punizione, Del Piero sul pallone, il resto è storia.
Fu quello il sigillo sul 29° scudetto di Madama. 9 finalisti di Germania 2006 in squadra, 76 giornate consecutive in testa alla classifica, o, se preferite, “91 punti, teste di cazzo”, parola di Mughini. Comunque la si metta, un’armata invincibile, almeno sulla lunga distanza.
Gli unici in grado di piegarla sono stati i tribunali, per i quali quei 2 scudetti dell’era Capello non s’hanno da assegnare ai legittimi vincitori, Moggi è peggio di Belzebù e la Juventus merita la B. Su questo punto, trovano il consenso dell’avvocato difensore (?) della società. Poveri noi.
Siccome al peggio non c’è limite, all’elenco delle beffe si aggiunge la cessione di Ibrahimovic agli odiati nerazzurri, beneficiari di uno scudetto a tavolino, ed evidentemente nelle grazie della nuova dirigenza, quella dei moralizzatori e, come visto, degli errori/orrori di mercato.
Una volta espiate le nostre colpe (come avrebbe detto il ‘primo’ Cobolli), il ritorno nella massima serie, dove, nel frattempo, l’Inter si è imposta per manifesta superiorità derivante dalla generosità di Secco & co. e dalla guerra preventiva perpetrata ai danni delle possibili avversarie con il placet di giudici e degli amici di Massimo.
Si potrebbe aggiungere che il main sponsor di campionato e Coppa Italia è la stessa compagnia telefonica italiana, il cui proprietario è anche secondo azionista dell’Inter, che ha fornito i tabulati.
Per completezza d’informazione, si dovrebbe render conto della curiosa parabola di Guido Rossi, ex membro del CDA interista, ex membro del CDA Telecom, ex presidente della FIGC durante la lunga estate caldissima del calcio italiano, attuale presidente Telecom.
Giusto per non farsi mancare nulla, è legittimo chiedersi dove siano finite le telefonate tra Bergamo e dirigenti di altre squadre, Inter compresa.
Per 90 minuti più recupero, meglio mettere da parte tutti questi, legittimi, discorsi.
Le parole distensive dei mesi scorsi, le aperture (a 90°…) verso la nemesi storica mal digerite dai supporters della Vecchia Signora, sono un lontano ricordo. Era ora, abbasso il buonismo, alla faccia dei sogni impossibili di Verdelli che farebbero impallidire ‘smiles’ ed operazione simpatia made in Lapo.
“E’ la prima volta che affronto i campioni d’Italia…”. Pensieri e parole di Cristiano Zanetti, ex con il dente avvelenato. Viva la sua ironia pungente, erede, in piccolo, di quella inarrivabile dell’Avvocato e di Peppino Prisco.
Le frasi di circostanza sono dure a morire, meglio non farci caso.
Inutile negarlo: non è una partita qualsiasi, non è nemmeno una Juve – Inter qualsiasi. E’ speciale, ma non vale una stagione, perché una possibilità del genere non è contemplata per la Juventus. Certe attese le lasciamo ai cugini.
Pensiamo al campo, unico giudice supremo, stavolta senza tribunali.
I valori tecnici dicono Inter, altri fattori parlano bianconero.
Non sempre i grandi nomi pagano, e nessuno meglio di Moratti lo sa. Quando la bilancia pendeva verso la Juve, furono due gregari come Balzaretti e Chiellini ad annullare Stankovic e Figo, e quei duelli vinti furono una delle chiavi del match.
Immaginare il terzino toscano, riciclato centrale, contro Ibrahimovic, e Legrottaglie alle prese con uno tra Crespo e Suazo, potrebbe indurre anche gli incrollabili ottimisti a cattivi pensieri.
Ci vorrà una grande prova corale per fermare i solisti nerazzurri. Obiettivo: inaridire le fonti di gioco avversarie. Pressing degli avanti bianconeri sul pacchetto arretrato avversario per impedire i lanci lunghi ad innescare lo svedese. Duelli rusticani in mezzo al campo con la grinta di Nocerino e Zanetti, si spera, sugli scudi. Bissare i primi 20 minuti di quel Juve – Milan 2-1, quando ci fu un’applicazione tattica pressoché perfetta nel pressare costantemente il regista avversario, Pirlo, è la strada giusta. Estendere quei primi minuti sino a coprire l’intera distanza vorrebbe dire realizzare un piccolo capolavoro, ipotecando il successo.
Ranieri, testata la solidità della coppia Legrottaglie – Chiellini, potrebbe comunque optare per l’inserimento di Zebina in luogo di Molinaro, rimpiazzato sulla corsia esterna proprio dall’ex capitano dell’Under 21. In mezzo, muscoli al potere e fantasia saggiamente confinata sulle fasce, affidata ai piedi di Palladino, certo di giocare ma non della posizione. Camoranesi non è al top, Nedved è in dubbio per un problema alla coscia, e questo potrebbe riabilitare il prezioso Salihamidzic. In tal caso, il napoletano giostrerebbe a sinistra. Davanti, confermato il duo dei record, Del Piero – Trezeguet. Spazio dunque alla vecchia guardia, mentre i nuovi (Andrade, Almiron, Tiago, Iaquinta), chi per un motivo, chi per un altro, non saranno della partita sin dal fischio d’inizio.
Nell’Inter… sinceramente, chi se ne frega. Hanno un organico impareggiabile, sono i più forti, è il loro anno, come sempre. Stasera, però, non conterà. Si spera.
Fiato alle trombe, alle 20.30, e per le successive due ore, il mondo del calcio avrà occhi solo sull’Olimpico di Torino.
Che vinca il migliore, magari con una bella linguaccia.
Forza ragazzi, fateci sognare.


* scritto la mattina del 4 novembre.

giovedì 1 novembre 2007

In attesa del V-day

Atalanta-Cagliari 2-2 (Vittoria interna tabù per gli uomini di Del Neri)

Fiorentina-Napoli 1-0 (la zampata di Bobo, il Napoli se la prende con l'arbitro)

Inter-Genoa 4-1 (l'Inter va, Adriano pure. In tribuna)

Juventus-Empoli 3-0 (Uno, due, Tre-zeguet)

Palermo - Parma 1-1 (Amauri su rigore salva i suoi in extremis)

Reggina-Livorno 1-3 (Ficcadenti esonerato)

Roma-Lazio 3-2 (Vucinic ancora sugli scudi)

Sampdoria-Milan 0-5 (ufficiale: il Gila è tornato)

Siena-Catania 1-1 (Polito salva i suoi)

Udinese-Torino 2-1 (Udinese al 5° posto in solitaria)

CLASSIFICA:
Inter 24
Roma 21

JUVENTUS, Fiorentina 20
Udinese 18
Atalanta 15
Catania, Palermo, Napoli 14
Milan, Genoa 13
Torino, Sampdoria 11
Lazio, Parma 10
Cagliari 9
Empoli, Siena 8
Livorno, Reggina 5

AUGURI, VECCHIA SIGNORA!

110 anni fa, il 1° novembre 1897, iniziava un grande sogno, chiamato JUVENTUS, grazie all'iniziativa di alcuni studenti del liceo D'Azeglio di Torino.
Da quella famosa panchina, ne è passata di acqua sotto i ponti, ma la Signora del calcio italiano è sempre la più amata.
Auguroni, amore mio!