mercoledì 28 maggio 2008

Amauriful

Paradosso dei paradossi: disporre di re e principe dei bomber, 41 gol in stagione, 401 complessivi in maglia bianconera, e sbavare dietro a Carvalho De Oliveira, per tutti Amauri. Zamparini chiede 25 cucuzze, Secco ne offre la metà e c'aggiunge il cartellino di Nocerino ed il prestito biennale di Lanzafame. Affare fatto, manca solo lo scarabocchio del brasileiro sul ricco quadriennale da 3.8 milioni netti, euro più, euro meno, concordato con il guardasigilli bianconero Blanc.
Il dibattito è aperto: colpo dell'anno, rapina a mano armata, altro? I detrattori dello stambecco rosanero puntano il dito contro l'esosità dell'ingaggio preteso. Si chiama gioco delle parti. Gli rimproverano l'affermazione a scoppio ritardato. Si chiama crescita costante, Toni dixit. Sbandierano lo snobbismo del CT brasiliano Dunga nei suoi confronti. Si chiama concorrenza spietata. Ne confutano la duttilità, ne sviliscono le qualità tutte, lo dipingono come un tronista. Si chiama cecità, preconcetto, pregiudizio, fate vobis.
Il gioiello rosanero andrà ad impreziosire la parure di punte a disposizione di Ranieri, con la sua miscela assassina di fisicità, tecnica e velocità che lo candida a passepartout europeo. L'identikit dell'attaccante da Champions si discosta dal profilo di Trezeguet e rispecchia le peculiarità del brasiliano, forgiato dal fuoco di 178 battaglie in terra italiana e ormai avvezzo ai mezzucci dei più smaliziati marcatori dello stivale. L'attitudine a far reparto da solo, consentendo così alla squadra di salire e a lui di catalizzare le poco ammirevoli attenzioni avversarie, si combina con l'abilità nello stretto e nella progressione palla al piede. Il fiuto del gol, affinato nel tempo, lo ha completato, facendone un'arma potenzialmente letale per qualsiasi difesa.
Ingannevoli sono le cifre più di ogni altra cosa. L'eccellente 2008 non cancella il tormentato inizio stagione di Del Piero cosiccome deve far riflettere la parabola di Trezeguet. S'impone la necessità di un'alternativa, tecnica e tattica, alla coppia vintage. Amauri casca dunque a fagiolo.
Tra l'altro, la valenza tecnica dell'operazione è triplicata dall'addio di Nocerino, medianaccio inadeguato al blasone della Vecchia Signora, e dall'arrivederci di Lanzafame, chiamato a giustificare audaci investiture. Proprio la reticenza dell'ex Bari a sposare la causa Palermo ha posticipato i titoli di coda. I dubbi residui verranno dissipati da un robusto prolungamento, al pari delle velleità del West Ham fortemente interessato al talentuoso esterno.
Dal 5 luglio, non sarà più tempo per le chiacchere. Sin dal ritiro di Pinzolo, la patata bollente passerà nelle mani, pardon nei piedi, di Amauri, chiamato a zittire gli scettici e a scrivere il lieto fine di 'Amauriful', la trattativa un po' telenovela, un po' Grande Fratello, specchio fedele del nuovo corso juventino.

lunedì 26 maggio 2008

Dov'eravamo rimasti? Ah ok, dunque...

Prima di riesumare pinne, fucile ed occhiali, è tempo di chiudere i conti con il passato.
E' ordunque tempo di bilanci, con annessi eventuali mea culpa. Nella simil griglia azzardata ad inizio stagione, avevo affiancato all'Inter indiscussa avanguardia del plotone i cugini rossoneri, la Roma e la 'neopromossa' Juve. In seconda fila, Lazio, Fiorentina e Palermo, a seguire, intruppate a centro gruppo, le due genovesi e il resuscitato Napoli, in compagnia di Empoli ed Udinese, dove competenza e teen spirit vanno a braccetto. Fra color che son sospesi (tra A e B, leggasi Paradiso e Inferno), ecco sfilare Atalanta, Cagliari, Catania, Reggina e Siena, precedute da Livorno, Parma e Torino, orchestre decorose con solisti di spicco.
A mia discolpa preciso che mai e poi mai ho avuto velleità da oracolo. Le suddette previsioni sono peraltro da considerarsi frutto di un improvvido delirio d'onnipotenza.
Fossi stato costretto a puntare un centone, avrei scommesso, nonostante l'evidente ossimoro, sul successo finale dell'Inter (7.5). Prevedibile come un retropassaggio di Tiago, è arrivato l'ennesimo (battutona) scudetto nerazzurro, figlio di mamma Rosa chilometrica e di papà Benedetto Ibra, nonostante la dubbia moralità della signora getti un'ombra sulla paternità, contesa da Santo fischietto.
La Roma (8) si conferma, sulla lunga distanza, unica nemesi nerazzurra nel post-Farsopoli e, dopo aver rosicchiato punti su punti all'armata in disarmo di Mancini, non resta che rosicare per il fatal pareggio (interno) contro il Livorno. L'infruttuoso modulo spallettiano pare destinato alla pensione a favore di un più pratico albero di Natale, il cui puntale potrebbe essere il quasi compiuto Vucinic.
Abbondante le utopistiche speranze di scudetto dopo la settimana horribilis, condita da un misero punticino in tre partite, la Juventus (8) ha badato a rintuzzare gli sterili attacchi delle inseguitrici, issata dai suoi fuoriclasse, Del Piero su tutti, sin sul terzo gradino del podio.
Chi ha mandato a meretrici le mie previsioni in alta quota è stato il Milan (4), nonostante un Kakà mai così prolifico. Le papere di Dida e l'apatia generale hanno vanificato le prodezze compiute da Inzaghi e Pato nel girone di ritorno, costringendo così i rossoneri a rivedere i programmi infrasettimanali.
Chi invece saluterà il satellite Uefa per planare sul pianeta Champions dopo anni d'assenza è la Fiorentina (9). Le parate di Frey, la solidità di Ujfalusi, la classe di Mutu e la crescita esponenziale dei vari Gamberini, Donadel, Kuzmanovic, Montolivo e Osvaldo sono gli ingredienti essenziali della ricetta vincente proposta dal non plus ultra degli allenatori italiani, Claudio Cesare Prandelli da Orzinuovi, ormai fiorentino onorario. L'implosione di Pazzini e l'amara doccia scozzese del labour day non intaccano la bontà del progetto viola.
Lazio (4.5) e Palermo (5) si guadagnano entrambe una nomination categoria 'Delusioni di stagione'. I biancocelesti pagano il braccino corto del factotum Lotito, incapace di garantire a Rossi i ricambi adeguati per affrontare il doppio impegno. Risultato? Fanalino di coda nel girone di Champions, campionato anonimo. Prima, durante e dopo, contestazione ad oltranza. Una polveriera. Addirittura tragicomica la gestione del problema portiere: ritiratosi Peruzzi, svincolato l'ottimo Sereni, bloccato dalla burocrazia Carrizo, la scelta è caduta su Muslera, scolaretto uruguagio improvvisatosi portiere. Non si spiega altrimenti lo zainetto sfoggiato con disinvoltura nel post Lazio - Milan (cinque pere incassate di cui quattro sulla coscienza) e le fantozziane papere collezionate nonostante l'alternanza con nonno Ballotta.
I rosanero, aggrappati alle prodezze del predicatore nel deserto, nonchè futuro bianconero, Amauri, navigano a metà classifica senza particolari sussulti. Sul banco degli imputati finiscono gli azzurri Barzagli e Zaccardo, vittime della sindrome da appagamento post-Berlino. Il Guidolin IV (!) non ha sortito gli effetti sperati, ed è sfociato nella re-entry di Colantuono, come nella miglior tradizione zampariniana.
Tanto di cappello a Sampdoria (8.5) e Udinese (8), che faranno compagnia al Milan in Uefa. Mazzarri e Marino, ripagati dall'ostinata proposizione dell'anacronistica retroguardia a tre, ringraziano i rispettivi Totò, chiamati a dar seguito in azzurro alle confortanti prestazioni stagionali. Avvertenza per l'Antonio blucerchiato: il termine 'prestazioni' fa inequivocabile riferimanto alla natura tecnica delle stesse. Insulti e sceneggiate napoletane non saranno tollerate.
Mentre Milano, Roma e Torino sono divise nei colori e consequenzialmente nei sentimenti, Genova può sorridere su entrambe le sponde. Lo storico Grifone, riemerso dalle sabbie mobili della cadetteria, dopo aver accarezzato il sogno europeo, ha concluso l'annata nella metà nobile della classifica. Merito soprattutto di Borriello, segno che il passo da tronista a quasi-re dei bomber è breve.
Detto del Genoa (7.5), l'altra illustre neopromossa, il Napoli (7) di Reja mette in vetrina i gioielli Santacroce, Gargano, Hamsik e Lavezzi e strappa il pass per l'Intertoto. L'ambiziosa produzione targata De Laurentiis contempla acquisti di grido ed esclude sacrifici remunerativi ma destabilizzanti, onde evitare ricadute in campionato.
L'Empoli (4.5) insegna. Dalle stelle alle stalle nel giro di un anno, solo una realtà a misura d'individuo come il microcosmo toscano può assorbire un colpo simile in modo da impostare l'immediata risalita. A nulla è valsa l'infornata di talenti (Abate, Giovinco, Marchisio), vanificata dagli addii di Almiron e Matteini e dalle mancate conferme ad alti livelli degli idoli locali. Oscar della sfortuna a Nicola Pozzi, il cui crack in quel di Napoli ha compromesso il prosieguo della stagione degli azzurri.
Se Empoli piange, il capoluogo di provincia, Siena (7), festeggia l'ennesima salvezza. Il presidente Lombardi Stronati fa mea culpa, allontana il suo pupillo Mandorlini e richiama Beretta: è tutta qui la svolta. Per il tecnico milanese è la seconda impresa consecutiva con la Robur, roba da laurea ad honorem in missioni impossibili. Evidentemente, chiudere davanti a club meglio attrezzati, aver valorizzato i giovani a disposizione e rivitalizzato Maccarone non basta per la riconferma. Giampaolo è all'orizzonte, e forse il calcio italiano ha trovato l'erede di Zamparini.
Il Gran Ducato piange il dimezzamento del proprio plotone. Per Firenze e Siena in festa, c'è il lutto condiviso da Empoli e Livorno (4.5). L'addio, annunciato ma sofferto, del capopopolo Lucarelli, è stato l'inizio della fine. Il gioiello Diamanti è l'unica luce di un'annata balorda, segnata dall'inutile alternanza Orsi - Camolese e dall'abulia del reparto offensivo, Tristan in testa. La reiterata 'richiesta' avanzata dal tifo organizzato amaranto al deludente Tavano di svestire il 10 che fu di Protti è il sintomo più evidente del clima elettrico percepito all'Ardenza.
Va a far compagnia in cadetteria alle due toscane il Parma (3) di Gherardi. Gli azzurrini Rossi, Cigarini e Dessena, la fantasia di Gasbarroni, Morfeo e Reginaldo, la potenza di Budan, Corradi, e da gennaio, addirittura di Lucarelli, senza dimenticare Castellini, Paci, Morrone, l'emergente Mariga: bastano, e avanzano, questi nomi di prestigio a rendere inqualificabile l'annata gialloblu. La grottesca parentesi Cuper e lo scellerato mercato invernale aggravano le responsabilità societarie, ovviamente senza nulla togliere ad un gruppo sopraffatto dal nervosismo ed incapace di lottare aspramente per la sopravvivenza.
Anche il Torino (4.5) ha rischiato la discesa agli Inferi. La parabola granata è mirabilmente riassunta nelle parole di Di Michele: "Se fossi un fenomeno giocherei in una grande squadra, mica al Toro". Non fa una piega.
Chi merita una vagonata di complimenti è il Cagliari (7), o meglio, il suo condottiero Ballardini, capace di rianimare un ambiente dilaniato dagli echi pesanti della querelle Foggia - Marchini. Accantonato il bidone Larrivey, lanciati Cossu e Acquafresca, è maturata una salvezza anticipata, insperata a metà del guado.
Discorso simile per la Reggina (6.5), dove ormai sono specializzati in miracoli. Perso Mazzarri, dopo l'intermezzo Ficcadenti, è spuntato il carneade Orlandi, l'Avram Grant dei poveri. Capello brizzolato, aria da impiegato del catasto e low profile, l'uomo di fiducia del presidente Foti ha impresso la propria firma in calce nella storia del club.
La salvezza dei calabresi è passata anche per Catania (6), espugnata grazie all'intramontabile Nick Amoruso. I siciliani hanno visto progressivamente assotigliarsi il distacco dalla terz'ultima, e ai tifosi sarà parso di rivivere l'incubo di un anno fa, quando la morte dell'ispettore Raciti, e la conseguente squalifica del Massimino, fu il tragico spartiacque di una stagione iniziata bene, proseguita malissimo e finita con una salvezza all'ultimo tuffo; speculare, insomma, a quella appena conclusa. La cessione della rivelazione Vargas consentirà a Pulvirenti di rifondare un gruppo affidato al confermato Zenga, al fine di evitare l'ennesimo campionato al cardiopalma.
In chiusura, doveroso omaggio ad un figlio della provincia calcistica italica smarritosi nella grande metropoli e tornato ai fasti di un tempo nella ruspante Bergamo (Atalanta, (7.5)). L'artefice del miracolo Chievo ha valorizzato due talentuosi mediani come Guarente e Tissone, 'conservato' Doni e rispolverato Ferreira Pinto e Langella, ma soprattutto favorito l'affermazione di Floccari, la risposta italiana ad Amauri.
Scherzi del destino: il brasiliano, in predicato di firmare per la Juventus, potrebbe essere sostituito in Sicilia dall'attaccante calabrese. Ne sapremo presto di più, su questa e sulle trattative già in piedi o prossime dall'essere impostate. E tra novanta giorni circa, sarà ancora tempo di previsioni. Non per me, non ci casco di nuovo. Forse...

mercoledì 21 maggio 2008

La strana coppia

Avanti Savoia! Donadoni ha lanciato il sasso, e già s'intravedono selve di mani protese verso il reparto fantasia che espone i gioielli più esclusivi di casa Italia, Cassano e Del Piero.
Il tortuoso percorso di Alex in azzurro è scandito dai dualismi, dapprima con Baggio (storia già vista in bianconero), poi con Totti, fino ad incrociarsi con la parabola dell'allora emergente talento barese, unico zuccherino nell'amara spedizione portoghese.
Ne è passata di acqua sotto i ponti da allora. Il fu Godot non ha mai abbandonato la via maestra, nemmeno quando tutt'intorno lande desolate hanno soppiantato paesaggi fascinosi e diversi caporal maggiori sono stati congedati con disonore per lasciar spazio a soldati semplici. L'altro, al contrario, ha imboccato il tunnel dell'autodistruzione, salvo scorgere in fondo al medesimo la salvafica luce della Lanterna. Lungo la strada della redenzione è sovente caduto in tentazione, sospeso tra l'insostenibile peso dell'esser novello Pierino e l'altrettanto insostenibile leggerezza dell'essere il Peter Pan del calcio tricolore. Nemmeno vaffa e crisi isteriche hanno intaccato la stima di un Donadoni sempre prodigo di carezze verbali per Fantantonio. Salvo cassanate dell'ultim'ora, l'incompiuto per eccellenza ha ormai in tasca il biglietto aereo per Baden.
Il rinnovo del tecnico bergamasco, annunciato congiuntamente dal medesimo e da Abete, ha il sapore del compromesso all'italiana, semplice atto formale teso a tacitare i detrattori del CT, stante la possibilità di sciogliere il contratto unilaterlamente entro dieci giorni dall'ultimo atto azzurro in Austria e Svizzera, con tanto di ricca buonuscita.
I presenti offrono adeguati spunti di riflessioni, rischiando così di far passare in cavalleria le rimostranze per le esclusioni illustri, Inzaghi in testa, Sereni e Gamberini in scia. Spulciando la lista di convocati, emergono l'assottigliamento del gruppo Milan, forte solo del terzetto Ambrosini - Gattuso - Pirlo, alla luce dell'addio di Nesta e delle eclissi di Oddo e Gilardino; la penuria qualitativa di terzini (il vegliardo Panucchi, l'altalenante Grosso, il declinante Zambrotta; alle loro spalle, la perdurante crisi del suddetto Oddo e di Pasqual, la mediocrità di Zaccardo, gli acerbi De Ceglie e De Silvestri) e quantitiva di ali (il solo precettato per Euro 2008 è l'oriundo Mauro German: infortuni e ridimensionamenti hanno fatto terra bruciata attorno allo juventino); il doppio terzetto, giallorosso e rossonero, in mediana; la sovrabbondanza di seconde punte, perchè non si vive di soli Alex e Antonio, guai dimenticare la coppia d'oro dell'Udinese. L'undici titolare designato è improntato sull'esperienza e l'amalgama; in quest'ottica va letta la preferenza accordata ad Ambrosini, pappa e ciccia da anni con Gattuso e Pirlo, anzichè a De Rossi. La stessa logica ha premiato Barzagli, preferito ad un Gamberini in gran spolvere ma a digiuno o quasi di nazionale.
Dall'elenco dei 24 andrà depennato un nome, e tutte le strade portano a Montolivo. I numeri escludono dal lotto dei 'pericolanti' portieri e difensori, la logica lascia in sospeso, assieme al talentino viola, il solo Aquilani, alla luce della duttilità di Perrotta e Quagliarella e dello statuto speciale di Cassano. Il romanista, salvo infortuni, dovrebbe comunque conservare il posto, forte di una posizione ormai consolidata nel clan azzurro.
E' la nazionale dei vincitori morali. De Rossi, parole sue, dello scudetto inopinatamente finito in mani nerazzurre; Borriello del titolo di capocannoniere, conquistato da Del Piero. Il nuovo re dei bomber guida la folta colonia bianconera, che annovera il miglior portiere del globo, il miglior centrale italiano e la miglior ala del campionato. Cobolli gongola, rivendicando il tradizionale contributo juventino alla causa azzurra. Recentemente, la fornitura di campioni è stata estesa ai colori nerazzurri. Questa, però, è un'altra storia, ben più dolorosa.

lunedì 19 maggio 2008

Da Parma a Brescia, l'Inter s'è desta

L'Inter è campione d'Italia. Sentenza scritta da tempo, formalizzata solo all'ultimo tuffo grazie alla Divina Provvidenza fatta persona, Zlatan Ibrahimovic. La doppietta del rientrante svedese smentisce la tesi della presunta inconsistenza ogni qual volta far risultato sia questione di vita o di morte, molto di moda tra i suoi detrattori. I quali rilanciano, rivendicando l'incapacità del ragazzone di pungere contro le grandi.
I fatti denunciano l'attecchimento della 'sindrome dell'eterno incompiuto'. Una squadra, quella nerazzurra, incapace in Europa di superare lo scoglio degli ottavi di finale e vittima di sistematiche crisi di nervi alla resa dei conti. Un giocatore, Ibra, mentalmente instabile, tecnicamente sublime, potenzialmente fenomenale, soggiogato all'inversa proporzionalità tra rendimento e caratura degli avversari.
L'alibi del ginocchio-groviera non giustifica la metamorfosi da cigno di Malmoe a brutto anatroccolo di Appiano subita dopo il giro di boa. Curiosamente, prima della salutare ricomparsa, il suo ultimo gol su azione risaliva, un girone e un tendine sano fa, al 3-2 sul Parma, viziato dalla partnership arbitrale.
Certi favori rischiano di deturpare la bontà del successo nerazzurro, sottoposto all'offensiva dialettica dei giallorossi per bocca del capopopolo De Rossi. Da quando il pallone rotola, le grandi hanno sempre beneficiato della cosiddetta sudditanza psicologica. L'errore è stato attribuire la paternità dei successi bianconeri agli artifici di Moggi, ignorando l'inequivocabile responso dell'unico giudice supremo: non Sandulli, bensì il campo. Il falso mito degli scudi rubati ha ormai attecchito, e sradicarlo nel paese della presunzione d'innocenza solo presunta è impresa ardua. Condurre le danze pressochè incontrasta da settembre a maggio è indice di merito, noi juventini ne sappiamo qualcosa. Le insinuazioni di bassa lega convien lasciarle ai rosiconi di professione. Nel mio piccolo, mi limiterò a non stendere tappeti rossi agli odiati bauscia nerazzurri, a rivendicare 29 scudetti a 15 e ad ispirarmi ai valori di Scirea piuttosto che Facchetti.
I vinti, anzichè polemizzare, facciano mea culpa. Lo stop interno imposto dal derelitto Livorno è il ritratto della Rometta provinciale, caciarona ed inconcludente, incapace di sfruttare le manchevolezze altrui.
La Juve ha perso la coincidenza con la gloria raggranellando appena un punto (nel derby) in tre partite nel giro di una settimana (sconfitte contro Reggina e Fiorentina). Il mercato estivo deficitario ha tarpato le ali in partenza alla famelica armata bianconera, che difficilmente, arbitri o non arbitri, avrebbe potuto aspirare ad un piazzamento migliore.
Resta la consapevolezza, e conseguente disdetta, di aver visto i nerazzurri sfrattare Madama dal trono di più odiata dagli italiani, animalisti in testa. Nemmeno gli infortuni a catena ne hanno compromesso la marcia. Bella forza, tanto alle stampelle ci pensa il Mancio.

Il piccolo Diavolo

Un'ipotetica ma verosimile immagine scolpita nella mente, e la tristezza se ne va. Flamini; gol di Osvaldo. L'espressione del primo alla prodezza del seconda. Bella lì.
La Milano rossonera, avvilita dal contemporaneo successo dei cugini, sbroglia l'annosa matassa del giovedì sera. Tutti a casa, sperando che qualche anima pia compri i diritti della Coppa Uefa, prossimo palcoscenico di Maldini e soci. Passa così in secondo piano il commiato di Cafu e Serginho, gli unici sorrisi sinceri nella depressione generale, malcelata dietro ghigni di circostanza. Per entrambi si fa largo l'ipotesi della paresi facciale.
Fa tenerezza Galliani quando gonfia il petto e sciorina i recenti trionfi rossoneri, occultando una realtà double face che dipinge un Milan lepre in Europa e tartaruga in Italia. A sanare la disomogeneità di rendimento c'han pensato i Fab Boys di Wenger e Flamini.
Fa tenerezza Pato, un apparecchio fra le dentiere dei vegliardi. Dopo un inizio disincantato e romantico, viene risucchiato nel vortice delle responsabilità, e si eclissa in coincidenza con l'ennesima resurrezione dell'Araba Fenice Inzaghi. Il periodo da 'crossatemi una lavatrice e io la insacco' ha solo alimentato l'illusione spazzata via, una settimana or sono, dal coast to coast di Hamsik.
Fa tenerezza Dida, retrocesso da salvatore della patria a calamità naturale tempo un paio d'anni. La sceneggiata di Glasgow gli è valsa il dileggio di un tifoso milanista che, facendosi interprete del sogno proibito di milioni di fratelli, lo ha messo all'asta su eBay. Meritano una citazione la papera che ha consegnato il derby ai Mancini boys e l'infortunio di Parma. Colpo della strega. Mentre era seduto comodo in panchina. Fermo. Immobile. Manco fosse tra i pali.
Fa tenerezza Gilardino, l'ombra del bomber che fu. Arranca, cincischia, sbuffa, segna col contagocce. Firenze lo aspetta.
Fa tenerezza Kakà, predicatore nel deserto, il cui nome d'arte, un tempo oggetto di scherno, oggi è il ritratto di una squadra a fine corsa. Rughe, pancia piena e coperta corta mal si conciliano con le ambizioni rossonere.
In Via Turati, comunque, sembrano aver incassato il duro colpo con filosofia. "Ci vuole umiltè", direbbe l'Arrighe. 'Ci vogliono gli investimenti', predicano i pragmatici supporters milanisti. La valenza tecnica dell'undici titolare, vanificata da un gioco stagnante e dalla carenza di alternativa, consiglia investimenti oculati nell'ottica di un progressivo ringiovanimento di una rosa dai petali rinsecchiti.
Un lato positivo, nella tragedia sportiva che ha investito Milanello, a guardar bene c'è: l'inevitabile presa di coscienza di non poter procrastinare l'agonia di un gruppo ormai all'ammazza-caffè. Ci vogliono i Lloris, i Canini, giovani talenti in ascesa, non i Ronaldinho o gli Shevchenko, campioni in picchiata. Il caso Emerson fa scuola. O forse no? Da una dirigenza che, plagiata dalla vittoria di Atene, fa ponti d'oro a Dida, c'è da aspettarsi di tutto.
Il fiuto di Braida e Galliani non è in discussione (ultima pepita d'oro scovata, Pato), ma lo storico duo è vittima di frequenti raffreddori, come testimoniato da flop quali Ricardo Olivera e Oddo. Ulteriori errori non potranno essere tollerati, perchè a quel punto scatterebbe il rischio diaspora. Chi lo sa, Kakà potrebbe persino riscoprirsi madridista fin da bambino, con altri big sulla sua scia.
La storia narra di un Milan dal respiro europeo. Nel futuro immediato sarà necessario soffocare la propria indole per riscoprirsi schiacciasassi in patria e abbracciare il sogno scudetto. Portiere saponetta, difesa ballerina e attacco anemico sono figli illegittimi della riconoscenza, che in quanto cieca diventa harakiri, post-Atene. La Fiorentina sentitamente ringrazia e lascia Elfsborg e Groningen alle grinfie rossonere. Cosa vuoi che sia, l'importante è esser campioni del mondo in carica.

domenica 18 maggio 2008

Perdere la pazienza

Giovanni Calone colpisce ancora. Questiona con il buon senso, bisticcia con la ragione, calpesta la storia. Canta e stona, i big cantano e portano la croce. Stecca, come stecca Sissoko. Diversa è l'accezione verbale. Il maliano che ammalia ha il tackle nel DNA e cartellini in dotazione. Calamita di palloni, calamità quando anziché il cuoio incoccia con frequenza e viuuleeenza sulle tibie altrui. La trasferta genovese offre un Bignami dei mali del maliano, dal titolo “La potenza è nulla senza controllo”. Al quarto d’ora della ripresa arriva la doccia gelata/anticipata causa ‘stecca’ rifilata al povero Sammarco, che foraggia indirettamente l’antiranierismo dilagante. L’accusa è di aver ignorato le avvisaglie di rosso della prima frazione, quando Momo elargiva calcioni a destra e a Maggio. A questo punto, sarebbe dovuto subentrare il buon senso, e con lui uno tra Castiglia, Marchionni e Palladino (e gli accorgimenti tattici del caso). Niente di tutto questo.
Non pago, Tinkerman riesce nell’impresa di scontentare, in un sol colpo, il 10 e il 17. E’ il 26° della ripresa, quando il volto di Del Piero si trasforma nel ritratto del disappunto. Il capitano getta maschera e fascia, si incammina verso la panchina scortato dagli applausi di Marassi, saluta affettuosamente il subentrante Marchionni e va a raccogliere l’abbraccio del pubblico, bianconero e non. L’aplomb molto sabaudo di Alex risparmia probabilmente a Ranieri un pozzo senza fondo di insulti. Il tecnico si aggrappa alla scelta tecnica, ma l’appiglio è sdrucciolevole, alla luce del 3-5-2 mazzariano che ‘salva’ la parità numerica in mezzo al campo (Brazzo, Tiago e Nedved opposti Sammarco, Palombo e Franceschini) e sulle fasce (Maggio e Pieri contro, rispettivamente, Molinaro e Zebina). Con il punteggio che ti sorride, poi, togliendo l’unico avanti abile nel tener palla autorizzi gli avversari a crederci. C.v.d., Cassano sfila sulla destra sotto il naso dell’imbalsamato Stendardo ed imbecca Montella per il definitivo 3-3, mentre il povero Trezeguet non la vede più e abbandona il sogno di laurearsi co-capocannoniere. Il vantaggio iniziale, propiziato dall’assolo di Nedved e sancito dal sinistro di Del Piero, consente a Trezeguet di presentarsi sul dischetto al 15°, capitalizzando al meglio la classe e la generosità del compagno di reparto, che prima scherza Palombo con un bel gioco di gambe, e poi lascia l’onere/onore del penalty al fido compagno di reparto. Prima dell’inopinato cambio, Pinturicchio mette la freccia, si procura il secondo rigore e spiazza l’ex Mirante. Nel mezzo, il ‘gollonzo’ di Cassano, una massima punizione sprecata dal medesimo ed il diabolico esterno di Maggio che infila Belardi e firma l’aggancio.
Pareggio e fuochi d’artificio dovevano essere, e così è stato. Nel pomeriggio genovese, è mancato ‘solo’ il rispetto della storia. Alessandro Birindelli, 33 anni di cui un terzo spesi per la causa bianconera, ne fa parte, nel suo piccolo. Si è costruito con sapienza artigiana una credibilità, e da soldatino fedele è rimasto in un angolo anche nel giorno del congedo ufficiale. Mai una parola fuori posto, non si è smentito nemmeno stavolta. Verrà ricordato con simpatia per i cross spediti in curva ed i fantozziani ruzzoloni al cospetto dello Sgrigna di turno, e con affetto per i rari sprazzi di classe, vittime preferite le spagnole. Avrebbe meritato la passerella finale, Ranieri gli ha preferito il giovane Castiglia. "Scelta tecnica". A cinque minuti dalla fine, a risultato acquisito, nell'impossibilità di compromettere l'annata con una goffa scivolata. Ieri, a Genova, l'unico a scivolare goffamente è stato Ranieri.

sabato 17 maggio 2008

GRAZIE RAGAZZI!

Grazie a Gigi per essere semplicemente il numero 1.
Grazie a Emanuele, uomo spogliatoio e, tutto sommato, riserva onorevole.
Grazie a Jess e Cristiano, sperando che quest'annata si servita loro per apprendere i segreti del mestiere da Buffon.

Grazie al Biri, bandiera vera.
Grazie a Jorge, sfigato come pochi.
Grazie a Jonathan, che nonostante sia instabile, quando gli gira bene non ce n'è.
Grazie a Zdenek, preziosissimo tuttofare.
Grazie a Giorgio, diventato in un anno il miglior centrale italiano.
Grazie a San Nicola, rinato grazie alla fede.
Grazie a Willy, dottore-difensore.
Grazie a Cristian, che non ha mai lesinato corsa e chiusure difensive.
Grazie a Mimmo, talento incompreso.

Grazie a Pavel, guerriero fiero nonostante l'età si faccia sentire.
Grazie a Mauro, fermato solo dagli infortuni, non certo dagli avversari.
Grazie a Cristiano, semplicemente magnifico.
Grazie a Momo, la Piovra.
Grazie ad Antonio, nonostante la parabola discendente, lui la voglia ce l'ha sempre messa.
Grazie a Tiago per essere passato. Potevi evitare, ma vabbè, a fine stagione siam tutti più buoni.
Grazie a Sergio, c'hai provato, per il resto, vedi sopra.
Grazie a Marco, falcidiato dagli infortuni.
Grazie a Brazzo, jolly e subito idolo.
Grazie a Luca e Cristian, nell'auspicio che queste prime esperienze siano l'inizio di una luminosa carriera. Lo stesso dicasi per chi, pur allenandosi con i grandi, non ha esordito.

Grazie ad Alex, non servono altre parole.
Grazie a David, alias il Gol.
Grazie a Vincenzo, spesso l'uomo della Provvidenza.
Grazie a Raffaele, qualche luce anche per te.

Grazie a Ranieri, se siamo terzi è anche per lui. Merito o colpa, fate vobis.
Grazie a Blanc e Secco per aver aver beccato qualche acquisto.
Grazie a Cobolli per aver insegnato a noi tifosi di Serie C l'umiltà, invitandoci ad ispirarci ad Albinoleffe e Chievo.
Grazie allo staff e ai tifosi.

lunedì 12 maggio 2008

Again...

A volte ritornano.
Chi? Gli spettri del passato, che si riaffacciano baldanzosi al crepuscolo della stagione del rilancio. Ottenuto il pass per i preliminari di Champions, con annesso rammarico per i punti scialacquati contro le piccole, il menù propinato quotidianamente dai giornali, sempre più povero di calcio (giocato), si arricchisce di OGM.
L’ultimo prodotto della sapiente ingegneria genetico-mediatica è Flamini, bel mediano spacciato per Messia, ammaliato dal Diavolo tentatore e dai suoi milioni nonostante la serrata corte di Madama. Per bocca del munifico Silvio, il francese si è già guadagnato lo status di miglior centrocampista del mondo, con sommo giubilo, si presume, di un Gattuso sempre più attratto dalle sirene bavaresi. Il radar di Secco torna così a puntare Liverpool: dopo il pugnace Sissoko, l’indiziato è il geometrico Alonso. Tombola, ci risiamo. In principio fu Frings, randellatore teutonico che in extremis ha preferito i crauti alla bagnacauda; il suo dietrofront ha spalancato le porte di Torino ad una fighetta portoghese, perfetta antitesi del tedesco. Oggi, sfumato il discepolo di Wenger, si guarda al volante iberico. Come dire: conta lo spicchio di campo di competenza, non le specifiche tecniche. Lo spettro del Tiago-bis incombe.
Alla soglia d’ingresso della sede bianconera si riaffaccia l’opulenta sagoma di Mino Raiola, ex pizzaiolo convertito con successo a procuratore, già noto al popolo juventino, memore delle telenovelas Ibrahimovic e Nedved. Proprio il rinnovo del ceco è oggetto della singolar tenzone che minaccia di trascinarsi fino all’aurora della prossima annata. Questione di tempo… e di danari. La presenza del ceco al tavolo delle trattative è indice della sua volontà di procrastinare di un anno la pensione. E’ malcostume diffuso associare Raiola, in quanto procuratore (dell’interista-fin-da-bambino), al male supremo. Sarà, eppure il suo faccione pacioso stona con corna, pizzetto e forcone. Parliamoci chiaro: il suddetto fa semplicemente il proprio, sporco, lavoro, e lo fa maledettamente bene. Agisce su mandato degli assistiti, ai quali spetta l’ultima parola, o meglio firma. Fosse per lui, oggi Nedved dividerebbe ancora la camera con il Cyrano svedese. Alla Pinetina, però. E giù champagne per il diniego del biondino. Morale della favola? Se questo rinnovo non s’avrà da fare, recapitate le vostre ingiurie a casa Nedved. L’onesta intellettuale prima di tutto.
Facile essere tacciati d’ingratitudine al minimo moto d’insofferenza verso il ceco. Il passato, da semplice memoria storica, diventa specchietto per le allodole, cieca illusione per un futuro che non c’è. Il quasi 36enne di Cheb ormai ha imboccato Sunset Boulevard; è una strada a senso unico, non si può tornare indietro, solo rallentare la marcia verso un dorato oblio. Già, dorato. Ingaggio da big, rendimento da gregario. Salihamidzic, visti i mezzi a disposizione, ha fatto meglio. In epoca d’austerity, occorre adeguare (ergo: ridurre) gli emulamenti ad età e prospettive. L’aver traghettato la squadra, assieme agli altri sopravvissuti dallo tsunami estivo, nelle acque paludose della B, gli è valso un cospicuo aumento il giugno scorso. Reset, l’imperativo categorico assoluto è guardare avanti. Chi si adegua, è ben accetto; gli altri, compreso, eventualmente, la (sempre meno) Furia (sempre più) C(i)eca, salutano la compagnia. Siamo ancora alle schermaglie iniziali, ne vedremo delle belle. Sbagliato polarizzare la questione sull’opposizione buoni/cattivi, ognuno tenta semplicemente di portare acqua al proprio mulino. Più che Blanc ci vorrebbe Don Chisciotte.
Altro habitué delle prime pagine tinte di bianconero è il brasiliano Amauri. Figlio della provincia italiana, i richiami delle metropoli italiche lo portano a bilanciare pensieri a parole. Un colpo al cerchio (Torino bianconera), un colpo alla botte (Milano rossonera), che tradotto in amaurense si legge sei mesi da una parte, altrettanti dall’altra. Elusioni dialettiche a parte, il borsino del mercato fa segnare un preoccupante recupero dei rossoneri, forti di contropartite appetibili (l’ex tronista Borriello) e, soprattutto, di un fascino alimentato dalla grana del Berlusca, capace di far ingoiare l’eventuale boccone amaro chiamato Uefa, vero Mathieu? Le disavventure su due ruote di Secco rischiano di rallentare le operazioni, come se non bastasse la cocciutaggine di Zamparini nel chiedere la luna per la sua stella. Dovesse tramontare l’obiettivo principe dell’imminente campagna estiva, urge individuare in tempi brevi alternative percorribili.
L’Europa che conta chiama, la risposta non può limitarsi al ritorno del figliol prodigo Giovinco. Urgono repliche. Non ‘secche’, ma ‘moggiane’. Cobolli mi perdoni l’allusione.

domenica 11 maggio 2008

Amala...

Avevamo ragione noi juventini. Moggi o non Moggi, nulla è cambiato. L'Inter, soprattutto, è fedele allo stesso copione da vent'annia questa parte. Non è retorica, è realtà. Volete le prove (io, al contrario di Palazzi, le ho)? Ecco il resoconto di una domenica d'ordiaria follia (o forse no?), con un doveroso cappello.
Il Siena, battendo per la prima volta nella storia la Juve, centra l’ennesima salvezza. Rabbia e scoramento tra i tifosi bianconeri (di Torino), consapevoli di aver indirettamente consegnato lo scudetto agli odiati rivali nerazzurri, che la domenica successiva ospiteranno i toscani per la passerella finale. La contemporanea sconfitta interista nel derby resterà impunita, mannaggia.

Come volevasi dimostrare (nel frattempo è passata una settimana, e l’Inter ha raggiunto l’ennesima finale di Coppa Mancini), Vieira insacca il gol scudetto alle spalle di Manninger. Il Siena si limita a timbrare il cartellino, fino al sussulto di Maccarone, ex milanista, che riaggancia i padroni di casa. C’è speranza? Macchè, Rossi va in contropiede ma sbatte contro il muro Julio Cesar. Ribaltamento di fronte, rimessa laterale di Maicon, ancora Vieira spizza verso il solissimo Balotelli che insacca. In Via Durini già pregustano il dolce sapore della vittoria, la prima, sul campo (doverosa precisazione) con la Juve tra i piedi. Una liberazione.
Breve ripasso: chi aveva firmato il gol salvezza per i toscani domenica scorsa? Il carneade Kharja, ex Roma. In ossequio alla par condicio, infila con un diagonale chirurgico l’incolpevole guardiano nerazzurro, non prima di aver ammirato Cruz e soci far indigestione di gol sbagliati.
Il Giardiniere c’ha preso gusto, va al tiro, respinge… Materazzi, in proiezione offensiva. “Cazzo fai lì?”, sembra obiettare Mancini. No problema, i preliminari in corso tra il numero 23 e Riganò inducono Gava a fischiare il rigore. Roba per Cruz, non fosse che l’eroe di Berlino s’impunta. “Batto io”… Manninger para! L’assedio prosegue, il fortino eretto da Beretta tiene botta.
Nel frattempo, la Roma conduce 2-1 sull’Atalanta, la Juve soccombe (0-1) al Catania, risultato quest’ultimo che condanna il Parma (sotto 3-1 con la Viola), prossimo avversario dei Mancini boys, alla retrocessione. Ci vorrebbe un golletto, per rianimare gli uomini di Cuper in vista dell’ultimo giro di valzer. Ci pensa Alex, ancora lui. E sono 19. Alla faccia di Capello. Alla faccia di Donadoni. Alla faccia di quelli che ‘Del Piero è finito’.
Manca poco alle 17, la festa è ufficialmente rimandata, le bandiere possono essere riposte laddove giacciono da anni. A questo punto, riannodando le fila del discorso, pensando alla madrina nerazzurra, Eli Canalis, ho un sussulto. Che dico un sussulto, I have a dream. Il Catania di Zenga, ex bandiera interista, le prende da Panucci & co.; il Parma di Cuper, l’hombre vertical, pialla un’Inter sulle gambe, grazie ad una zampata di Reginaldo, compagno della valletta di Controcampo. Un quadretto del genere non avrebbe prezzo. Per tutto il resto, c’è il Mancio.
P.S.: monsieur Flamini, ci saluti la Coppa Uefa.