lunedì 30 giugno 2008

Arriba Espana!

"Il calcio è un gioco molto semplice: 22 uomini rincorrono un pallone per 90 minuti e, alla fine, vincono i tedeschi". Così parlo Sir Gary Lineker, che evidentemente aveva fatto i conti senza l'oste (Torres) e l'usciere (Lahm).
Una delle leggi non scritte dello statuto calcistico è il puntuale afflosciarsi della baldanzosa Spagna ogni qual volta la disputa s'inasprisce ed entra nel vivo. Chi si esalta nella battaglia è la quadrata, ma che dico quadrata, cubica Germania, esercito di mufloni avvezzi al randello ma terribilmente pratici. A sorpresa, ma nemmeno tanto, stavolta ha trionfato l'istrionismo anarchico iberico sul raziocinio teutonico.
Aragones ha saputo trasformare un talentuosissimo ma lunatico melting pot di solisti in un coro d'usignoli. Ha individuato nel 32enne Senna il contrappunto ideale per ovviare alla sperequata distribuzione di qualità tra difesa e centrocampo-attacco. Non pago dell'epurazione di Raul, ha costretto Fabregas e Xabi Alonso, mica due pincopallini qualsiasi, alla panchina, litigato con il viveur Ramos e avvicendato senza pietà la stella Torres con Guiza, il Borriello andaluso, da tronista mancato a Pichici tempo un anno. A differenza dell'azzurro, che ha assaggiato l'erba austrosvizzera solo in allenamento, "l'arciere" del Maiorca è riuscito ad infilare due frecce alle spalle di Nikopolidis e Akinfeev. Chi non risica non rosica, caro Donadoni.
L'atto finale, però, non è terreno per carneadi. E' El Nino la stella più splendente della magica notte viennese. Sua la firma in calce su un successo atteso 44 anni. Su imbeccata col contagiri del monumentale Xavi, ha sverniciato Lahm, recapitando il gentile invito in fondo al sacco e la coppa tra le mani sicure di capitan Casillas. Uscito dal cono d'ombra dello scatenato Villa, infortunato, si è reimpossessato della ribalta e ha esorcizzato il fantasma del flop, collettivo ed individuale. Proprio il ko del cannoniere asturiano ha costretto Don Luis (emulo di Lippi, vittoria e addio) a rimodellare l'undici su un elastico 4-1-4-1, illuminato dalla sontuosa regia di Xavi ma parzialmente tradito da un Fabregas limitatosi al compitino.
Poco male, al cospetto di una Germania ingolfata basta e avanza.
Il killer instict di Torres è convolato a giuste nozze con l'esasperante lentezza dei centrali tedeschi e la lacunosa fase difensiva di Lahm, per la gioia di Re Juan Carlos e signora grondanti entusiasmo in tribuna d'onore. Il simbolo del ko è, però, Michael Ballack, perdente di successo, latitante sul più bello.
Il novero degli assenti ingiustificati annovera in prima fila i leoncini Podolski e Schweinsteiger, tramutatisi in spauriti agnellini nelle grinfie degli assatanati avversari. L'ingresso delle pallottole spuntate Kuranyi e Gomez ha solo certificato la voragine qualitativa che separa le finaliste.
Il successo spagnolo darà presumibilmente il via alle riabilitazioni post-mortem (in ottica azzurra, of course) di Donadoni, la cui Italia è stata la sola nazionale capace di rintuzzare la verve delle Furie Rosse, salvo soccombere dal dischetto. Un alibi di ferro, se solo ad inquinare la scena del crimine non concorressero svariati indizi di colpevolezza, dal mancato impiego dal primo minuto di Camoranesi e Del Piero al tardivo ingresso di quest'ultimo, passando per l'ostinato ricorso agli sfibrati Perrotta e Toni. Spiacente, ritenti, sarà più fortunato. Anzi no. Il privilegio della caccia al bis mondiale spetterà a Lippi, che due anni fa regalò un sogno ai calciofili depressi causa Farsopoli. A dispetto della stella cucita sulla maglia azzurra, la palma di favoriti per Sudafrica 2010 spetta però ai neocampioni europei, forti di una nuova consapevolezza di sé e di una generazione di fenomeni che non ha eguali in Europa. Urgono facce nuove a Coverciano, altrimenti al prossimo incrocio basteranno 90 minuti per lasciarci le penne.

X(abi) Factor

Di quali ingredienti necessita un film di successo? Una sceneggiatura fluida ed ispirata, un manipolo d'attori talentuosi e funzionali, uno staff affiatato e capace, ma, soprattuto e sopra tutti, un regista che sovrintenda la produzione e 'animi' pensieri e parole. Le scelte preliminari spettano al produttore, da esse dipenderanno le fortune del prodotto. I quattrini in ballo scoraggiano gli improvvisatori di professioni e consigliano accurate e meditate elucubrazioni. Per intenderci, nessuno sano di mente delegherebbe a Dario Argento l'onere della trasposizione cinematografica dell'ultimo successo (sic!) di Federico Moccia.
I medesimi principi regolano l'allestimento di un team sportivo. A tal proposito, la casa di produzione Ranieri&Secco avrebbe deciso, stante le difficoltà d'agganciare Aquilani, di affidare le chiavi della squadra allo spagnolo Xabi Alonso, 27enne metronomo del Liverpool. Lo scotto dell'operazione Tiago è tale da suscitare improbabili parallelismi tra i due, accumunabili solo per il sangue latino. La 'lavatrice' portoghese darà saggio di abilità nel riciclo di palloni sporchi
alla corte di Aguirre, condottiero dell'Atletico Madrid. A Torino, ahimè, dell'elettrodomestico ha sfoggiato solo la mobilità.
Il volante di Tolosa non è un fulmine di guerra, ma sopperisce al passo da mezzofondista con uno spiccato senso della posizione, unitamente a geometrie ficcanti che ne fanno un playmaker coi fiocchi nonchè complemento ideale di Sissoko. Gode di un ampio parco estimatori, capeggiato paradossalmente dall'ex mentore Benitez, sentitosi tradito dal suo pupillo desideroso di assistere la moglie prossima al parto in vista del retour-match di San Siro contro l'Inter. Fisiologico logoramento dei rapporti ed esigenze tattiche e di bilancio hanno decretato il divorzio. Nessuno parli di bocciatura, please. Annovera, invece, tr
a i propri detrattori il procuratore di Senna, mediano del Villareal sedotto e abbandonato da Madama, che, ferito nell'orgoglio e nel portafoglio, ha teorizzato la superiorità del proprio assistito rispetto al basco. Ce ne faremo una ragione, a maggior ragione vista l'ovvia parzialità del soggetto e le differenti peculiarità dei due nazionali spagnoli.
Sgombrato l'orizzonte dai dubbi sul valore assoluto del calciatore, ne andrà testata l'affinità con la nuova creatura di Ranieri. Il principale merito da ascrivere alla sua gestione è
l'organizzazione della fase difensiva, fondata sul doppio mediano a protezione del pacchetto arretrato. Gli uomini deputati a far girar palla, Camoranesi, Del Piero e, in seconda battuta, Zanetti hanno assolto egregiamente al compito. Le loro mansioni andranno parzialmente riviste alla luce del nuovo innesto, che potrebbe addirittura costringere l'interno toscano alla panchina. Difficile ipotizzarli in coppia, con ai lati Mauro German e Nedved o Giovinco, a meno di una condizione scintillante: il conseguente sbilanciamento intaccherebbe i delicati equilibri dell'undici. Rischia di divenire imprescindibile l'erculeo Sissoko, assatanato procacciatore di palloni e caviglie. L'alternativa più plausibile è il ricorso al rombo, già abbozzato quest'anno nel vano tentativo di agevolare l'inserimento di Tiago.
Si va dunque verso un centrocampo di palleggiatori (Camoranesi, Xabi, forse il piccolo grande Sebastian), in controtendenza rispetto al recente passato. Attenzione, però: venuto meno il tradizionale 'muro' costituito dal doppio rubapalloni, come in occasione della presa di Roma sponda biancoceleste, sono emersi prepotentemente gli imbarazzi dei singoli. Ha ragione Caparezza, quando canta "il secondo album è sempre più difficile nella carriera di un'artista". Traduzione in gergo calcistico: rivelarsi è un conto, ripetersi un altro. Lo sa bene Legrottaglie, ormai aduso ai saliscendi professionali e chiamato, alla luce dell'uscita di un muratore per un geometra in mezzo al campo, quantomeno a confermarsi. Di investimenti nel settore neanche l'ombra, non ci resta che piangere. O pregare.
Funzionalità e qualità, tanto per cambiare, viaggiano su binari differenti. Spetterà al capotreno Ranieri farli congiungere. Non come Almiron e Tiago, avviatisi assieme lungo le rotaie della mediocrità. A meno di una settimana dal ritiro, però, la trattativa per Xabi staziona ancora su un binario morto e rischia addirittura di deragliare tra burocrazia ed incerto tergiversare. L'Inter-city Stankovic è in avaria a pochi chilometri da Torino: spunta l'ipotesi del sabotaggio ad opera di tifosi bianconeri memori di vecchie ruggini e scottati dal dietrofront del gennaio 2004. Per la serie, certi treni passano una sola volta nella vita. L'eurostar Aquilani, al contrario, non si è mai schiodato dalla stazione Termini, e difficilmente lo vedremo far capolinea a Porta Nuova, dove in molti agognano pure un ficcante pendolino per la corsia sinistra. A bocce ferme, con il ritiro alle porte, tempo qualche giorno ed il freschissimo campione europeo dovrebbe sbarcare all'ombra della Mole. Guai a perdere la coincidenza o a salire sul convoglio sbagliato. Ulteriori deviazioni e/o ritardi non saranno tollerati.

venerdì 27 giugno 2008

El bandolero Stanko

"...Bianco che abbraccia il nero...". Parole, tratte dall'inno ufficiale della Juventus, evocanti splendide immagini, in stridente contrasto con una realtà di tifo polarizzato tra moggiani e cobolliani, triste eco dell'uragano calciopoli.
Il tempo, anzichè sanare la rottura, ha ampliato la frattura tra i due poli, ancorati a posizioni inconciliabili e talvolta tranchant ma uniti dall'odio sportivo verso la seconda squadra di Milano.
A tal proposito, un senatore interista potrebbe, suo malgrado, di sancire la clamorosa tregua armata. Dejan Stankovic, cocco di Mancini inviso allo Special One, è pronto a convolare a nozze con la Vecchia Signora, dopo averla mollata sull'altare nel gennaio 2004 per sposare la causa nerazzurra. Memori di quel dietrofront e dei successivi strali polemici, i supporters bianconeri fanno fronte comune in opposizione a quest'iniezione 'd'onestà'.
Le perplessità degli juventini sono in primis di natura 'partigiana'. La massa aborrisce un signorotto marchiato d'interismo e promotore dell'integrità incarnata dal presidentissimo Moratti (sic!). Parimenti la sua ultima annata non è esattamente un inno alla gioia. Tormentato dai malanni fisici, il serbo ha recitato il ruolo di comparsa nella rincorsa allo scudetto, confermandosi allergico alle grandi sfide. Per farlo passare da scotto a bollito, però, ci vuole ben altro. Dodici mesi balordi non cancellano certo quanto di buono fatto in passato.
Nello scacchiere bianconero il serbo andrebbe ad occupare la mattonella presidiata per anni da Nedved, del quale fu avventurosamente designato erede in gioventù, colmando così il gap generazionale tra il nonno ceco e baby Giovinco senza adombrare il genietto bonsai. Non ha i tempi del metronomo, indipercui prosegue la caccia a Xabi Alonso, pur senza accantonare il sogno Aquilani. Il romanista scatta in pole position, incalzato dal basco, ma al momento i due procedono a rilento scortati dalla safety car causa "lavori in corso": rinnovo con la Maggica per il primo, europei per il secondo. Così parlò il CDA, che non ha intaccato la sensazione di un mercato random, viste le discrepanze tra i due candidati alla regia.

In attesa di sciogliere il ballottaggio, i potentati di Corso Galfer tenteranno di agganciare Dejan, forti di una serie di congiunture favorevoli post-Mancini. La volontà della mezzala di non espatriare, un ingaggio off limits per molti, passato (laziale) e presente (nerazzurro) a scongiurare salti della barricata: tutto fa brodo, tutti gli indizi conducono a Torino sponda Juve, per esclusione unica società possibilitata a versargli oltre 3 milioni annui. La forbice tra domanda e offerta resta ampia, ma i suddetti fattori inducono all'ottimismo. O al pessimismo, questione di punti di vista.
Quello della tifoseria, come detto, è lapalissiano. Difficilmente l'acredine riversata sulle pagine dei forum, in ebollizione, sfocerà in rivolta, ma intanto la protesta non violenta degli atalantini, armati solo di manifesti e slogan, contro il ritorno del figliol prodigo Vieri minaccia di fare proseliti. Il convalescente Secco dovrà travestirsi da Clark Gable/Rhett Butler ed infischiarsene dell'ostruzionismo della piazza. I tifosi facciano i tifosi, i dirigenti facciano i dirigenti. A sentenziare sarà il campo.
No ad operazioni col nemico, sì ad affari con chiunque. Cooptare 'Stanko' per 8 milioncini rientrebbe nel secondo novero. Il centrocampista appartiene al popolatissimo girone dei mercenari, banderuole opportuniste accecate dal vil denaro e complici di procuratori senza scrupoli. Tradotto: professionisti. Certe frasi infelici sono frutto di un carattere spigoloso che l'aria sabauda dovrà smorzare o almeno occultare. Se saprà canalizzare gli attributi all'interno del rettangolo verde, ne vedremo delle belle. Alla (brutta) faccia di Moratti. Alla faccia di Mourinho. Alla faccia dei franchi tiratori.

mercoledì 25 giugno 2008

Game Over

Missione fallita.
Il tabù Europeo, ormai quarantennale, non s'ha da sfatare, e l'eliminazione è di rigore, made in Spain.

Il CT
-
Un esercito di dita punta con fare accusatore Donadoni, incallito collezionista di topiche, vedi lo sconclusionato undici spremuto dall'Arancia Meccanica dell'amico Van Basten. L'inizio della fine, il canto del cigno intonato al cospetto del Cigno di Utrecht.
Le credenziali - esonerato da Spinelli e sponsorizzato dall'ex compagno d'avventura Albertini - gli son valse l'etichetta di 'raccomandato', o, nella migliore delle ipotesi, 'miracolato'. Altro punto a suo sfavore, l'inesperienza. Medesimo appunto mosso, tra gli altri, a Bilic, Klinsmann, Van Basten, poi osannati per risultati e/o impianto di gioco. C'est la vie. L'ex ala rossonera, dopo aver assaporato fugacemente il calice della vendetta e schivato la mannaia della critica oltranzista, ha pagato gli errori dal dischetto di De Rossi, inopinatamente relegato a tappezzeria all'esordio, e del pupillo Di Natale. Ah, il destino e le sue oblique vie...
Prima dell'estrema unzione sportiva impartita da Don Luis, il tecnico bergamasco era comunque riuscito a dissipare in tempi record il credito accumulato con la (sofferta) qualificazione. Le esclusioni di Sereni e Inzaghi, il drammatico esordio, la bacchetata a Buffon per le scuse post-disfatta alla nazione, l'intempestività di certi cambi in corso d'opera, la gestione globale delle risorse hanno lasciato interdetti i più. La sconfessione delle proprie scelte iniziali è indice di onestà intellettuale, ma anche, molto più semplicemente, d'errore. Chi è causa del suo mal pianga se stesso.

La fase difensiva - Anacronistico parlare solo di difesa, e di attacco, nel post-sacchismo: l'Arrighe inculcò nelle menti dell'Italia catenacciara il seme del calcio totale di cryffiana memoria. Dopo il doveroso cappello, s'impone una riflessione sul modus operandi del suo allievo Donadoni.
La scelta del centrocampo titolare al primo giro di valzer, per esempio. La fiducia riposta nel terzetto milanista, se estirpata dal contesto, avrebbe un suo perchè, vale a dire conoscenza reciproca e del sistema di gioco. Per inciso, però, il contesto recita involuzione e Coppa Uefa. Prevedibili conseguenze, mediana-telepass e ko secco. Ripescato De Rossi, strappato Pirlo dalle braccia di Morfeo, la qualificazione è cosa fatta, con il sigillo di San Buffon. Squalificato il regista rossonero, tutti a casa.
L'impenetrabile muro di Berlino è solo un dolce ricordo, soppiantato da un cartonato 'retto' all'esordio dal duo comico Barzagli&Materazzi. La svolta l'ha impartita un ex terzino, il gladiatorio Chiellini, spalleggiato dall'affidabile Panucci. Con la strana coppia nei paraggi, il solo Mutu, per gentile concessione di Zambrotta, ha impallinato Buffon.
La scelta di Perrotta trequartista si colloca proprio nell'ottica di salvaguardare i delicatissimi ed improvvisati equilibri azzurri. A farne le spese, ovviamente, la qualità, e Toni.


La fase offensiva - Zero. Sono i sigilli del panzer bavarese, e della squadra tutta su azione, con il beneplacito dello sbadato fischietto Ovrebo. Appesantito, goffo ed isolato, ha fatto indigestione di gol sbagliati. Unico sussulto, il magnifico aggancio volante su imbeccata di Pirlo che ha causato rigore ed espulsione di Abidal, annichilito la Francia e spianato la strada verso i quarti.
La sfilata di piedi buoni alternati alle sue dipendenze non ha mutato l'inerzia dell'Europeo di 'Tori'.
La pochezza del neofita Di Natale e le stecche di Camoranesi, tardivamente attestatosi su standard a lui consoni, e Del Piero hanno convinto Donadoni a calare l'asso Cassano. Il talento normalizzato ha smarrito in un sol colpo genio e sregolatezza, e le sue eleganti serpentine a distanza siderale dalla porta contro Francia e Spagna sono state regolarmente stroncate dal sistematico ricorso al fallo. Citando l'Avvocato, "più divertente che utile".
Il miglior suggeritore è risultato così, anche alla luce dell'altalena di Pirlo, Fabio Grosso, i cui cross sarebbero stati il grimaldello ideale per il miglior Toni. Surreale il percorso dell'italiano di Francia, bocciato al doppio esame da big con Inter e Lione, ma posseduto dallo spirito di Roberto Carlos in azzurro.
I compagni non ne hanno assecondato gli slanci, scompaginando un mosaico già disomogeneo di suo, tra centrocampisti intermittenti, penuria d'ali, sovrabbondanza di numeri 10 e punte spuntate. In un simile contesto, solo il fattore C può salvare dal rimpatrio anticipato.

Fattore C - 5 giugno 2008, -4 all'esordio. Prima seduta d'allenamento nel ritiro austriaco di Baden. E' in corso la classica partitella. Chiellini va a contrasto con Cannavaro, la cui caviglia sinistra, nella ricaduta, subisce una torsione innaturale. Lesione ai legamenti, addio Europei. La fortuna è cieca, la sfiga ci vede benissimo.
Puoi trionfare con un portiere qualsiasi o con un attacco anemico, ma senza il fattore C fai poca strada. Ne sa qualcosa l'Italia mondiale di Lippi, come candidamente ammesso dalla 'bocca della verità' Ringhio Gattuso. Superata piuttosto agevolmente la prima fase, imboccata la corsia privilegiata verso Dortmund (estromesse Australia, con un penalty regalato in odore di supplementari, e la modesta Ucraina) e fatti fuori gli idoli locali privi del perno Frings con un magnifico uno-due siglato a tempo, supplementare, quasi scaduto, la coppa ha preso la via di Roma grazie alla testata di Zidane prima e dagli undici metri poi. La stessa distanza fatale a Donadoni e che, ancora una volta, arride al Marcello, ormai prossimo al bis in azzurro.

P.S.: breve, ma doverosa, divagazione.
Volgendo lo sguardo verso Parigi, si scorge un altro signore brizzolato sulla graticola. Magra, anoressica consolazione. Il burbero Raymond Domenech, pregiudicato sfidante del buon senso, ha costretto gli 'italiani' Mexes e Trezeguet alle vacanze anticipate (ed il viola Frey alla panca), come volesse sanare i conti in sospeso con il Bel Paese, contratti sin dai tempi dell'Under 21 transalpina. Campione olimpico di lancio del sasso e arrampicata sugli specchi, in fin dei conti dovrebbe esser grato ai nostri, capaci di alimentare la sua sbandierata passione per l'astrologia: al nostro cospetto, ha visto le stelle, a Berlino prima e Zurigo poi. Non pago, ci ha lasciato con l'ultima perla di una ricca collana. Ai taccuini de 'L'Equipe', nell'immediato post-partita di Francia - Italia, anzichè analizzare il match, ha annunciato l'intenzione di impalmare l'amata Estelle. Spiazzante.
In fondo, ma parecchio, parecchio in fondo, ci mancherà, e noi a lui. Au revoir, Raymond.

sabato 14 giugno 2008

Riprendere Berlino

Da quel 9 luglio 2006 ne è passata di acqua sotto i ponti.
I tifosi juventini ne sanno qualcosa. L'onta del declassamento in cadetteria, la diaspora dei dissidenti, il Risorgimento, la caotica Restaurazione. Quella sera, a Berlino, dodici tracce di Juve in campo, tra passato, presente e futuro.
Due anni dopo, la colonia bianconera in nazionale si è assottigliata. Lippi ha salutato la compagnia, infastidito dall'improvvido affollamento di loschi figuri sul carro dei vincitori e assorbito da questioni familiari. Nesta e Totti hanno alzato bandiera bianca, altri sono stati riassorbiti nei ranghi di onesti mestieranti, o, vedi Gilardino, hanno conosciuto una precoce involuzione. Lo zoccolo duro del gruppo ha tirato dritto e lanciato il nuovo guanto di sfida, seppur usurati da acciacchi e sovrautilizzo. Lo ha raccolto Roberto Donadoni, fresco di cacciata dal Livorno di Spinelli ed ex compagno d'avventura dell'allora vice-commissario federale Albertini. Il prosieguo della storia è noto persino ai muri, il possibile, imminente, sipario rappresenterebbe il match point in mano ai suoi, numerosi, detrattori.
Lo sfilacciato undici presentato alla prima europea gli ha attirato le ire di un popolo di commissari tecnici. Un'Olanda libidinosa dalla cintola in su ha 'spremuto' due degli eroi di Berlino, Materazzi e Pirlo, perni rispettivamente di difesa e centrocampo. Annichiliti loro, è crollata la fragile impalcatura azzurra. La scelta della triade rossonera in mezzo al campo ha suscitato perplessità, sfociate poi in furiose polemiche nel post-partita. Il fu Ringhio Gattuso, riciclatosi attore in pubblicità di successo, è l'ombra del gladiatore di Berlino; il compare Ambrosini sbuffa e scalcia, ma gli dei del calcio sono stati avari con lui. Gli avanti azzurri, capeggiati dall'isolatissimo Toni, vengono ben presto risucchiati, loro malgrado, nel vortice della mediocrità. Le robuste ma tardive iniezioni di qualità, alias Cassano e Del Piero, non intaccano l'inerzia del match. La disfatta di Berna, se non altro, consegna ai sociologi il 'fenomeno Grosso', ibernato per undici mesi e scongelato a giugno, in antitesi rispetto a molti colleghi ormai in riserva.
Errare è umano, perseverare è diabolico. Donadoni, coautore (tra gli altri, il collega Van Basten) di pagine importanti della storia del Diavolo, vede e provvede. Pollice verso per i succitati Ambrosini, Gattuso e Materazzi, in aggiunta all'impresentabile Barzagli e al timido Di Natale, fiducia accordata agli juventini Chiellini e Del Piero, ai romanisti De Rossi e Perrotta e al terzino del Lione. L'arcaico 4-1-4-1 va in soffitta per far spazio ad un inedito 4-3-palla-a-Toni-e-preghiamo. Le quattro ante sfoggiate dai centrali-armadio rumeni fanno pan-dan con l'abilità nel fraseggio dei cervelli nostrani, non fosse per le reiterate sciabolate che vanificano le velleità delle mezzepunte azzurre. I nodi vengono al pettine. Camoranesi in 180 minuti ha sgambettato per il campo senza costrutto, insofferente come sempre agli inquadramenti tattici dell'allenatore ma impalpabile come non mai. Il capitano l'ha vista poco, e, quando Cassano ha fatto capolino tra le linee, è scomparso il panzer del Bayern. Inzaghi, la scaltrezza fatta calciatore, avrebbe fatto comodo, ma qualcuno gli ha preferito Borriello.
Il piatto piange. Quattro pere sul groppone, il doppio rispetto al Mondiale, quando i giustizieri di Buffon furono il compagno Zaccardo e Zidane dal dischetto. Un solo pallone schiaffato alle spalle del portiere avversario, ad opera del difensore Panucci. A fomentare la sterilità offensiva dei Donadoni boys ha contribuito l'arbitro norvegese Ovrebo (reo confesso), ovvero Byron Moreno sotto le mentite spoglie di Mastrolindo. Il suo fischio inconsulto in occasione della zuccata vincente di Toni ha impedito ai nostri di andare al riposo in vantaggio. Non pago, ha regalato un penalty ai rumeni, e solo l'istinto di Buffon ha vanificato cotanta incompetenza. Roba da far impallidire l'oscuro cavillo al quale si appiglia l'UEFA per giustificare il vantaggio di Van Nistelrooy della partita d'esordio.
Inutile piangere sul latte versato. La sfida da dentro o fuori andrà in scena martedì a Zurigo e ci vedrà contrapposti alla Francia di Graziello Domenech. L'Italia non è la sola artefice del proprio destino, e questa, per colei che sfoggia il titolo di campione del mondo, è una prima, bruciante, sconfitta. Lo spettro dell'inciucio incombe, le rassicurazioni di Van Basten sui buoni propositi dei suoi lasciano il tempo che trovano. Non è una questione d'integrità morale, ma d'opportunità. Il primo posto in cascina, il biglietto per i quarti in tasca, il pericoloso incrocio con la Spagna scongiurato, la possibilità di portarsi appresso la modesta Romania concreta. Ecco a voi il delitto perfetto, confezionato dall'ingegneria olandese e dall'inerzia franco-italiana. Nel paese dove la patentà d'onestà è stata assegnata, a tavolino, ai nerazzurri di Milano, ci sarà certamente qualcuno, megafono alla mano, pronto a gridare allo scandalo. L'unico, vero, scandalo, è doversi armare di calcolatrice e regolamento, sperando nella clemenza altrui.

Achille o Godot?

Potrebbe bastare un pareggio con gol. Una larga vittoria rischia di rappresentare un semplice zuccherino nella disputa tra grandi deluse. Il Bignami del destino azzurro è tutto qui, condensato in due righe figlie di un cammino accidentato, direzione baratro.
Memori del biscottone scandinavo, monta la paura per la possibile zingarata olandese.
Scongiurato l'effetto tsunami post-disfatta, il miserrimo 1-1 contro la Romania mette a nudo le carenze strutturali del gruppo di Donadoni. Il monocorde schema sciabolata-in-direzione-Toni-e-preghiamo ha esaltato gli armadi rumeni e mortificato Del Piero, croce azzurra e delizia bianconera come da tradizione.
Il bianco e il nero. Felice combinazione cromatica, infelice polarizzazione di giudizi e sentimenti. Due colori, una costante nella carriera di Pinturicchio.
Il capitano aveva predicato equilibrio alla vigilia. Nè salvatore della patria, nè capro espiatorio. Eppure i necrologi non tarderanno, salvo far spazio alle sviolinate in caso di, ennesima, rinascita. Ricordate? "Non salta più l'uomo", "non è decisivo ad alti livelli", "deve fare l'Altafini". 21 gol, corona di capocannoniere, i più feroci detrattori che perdono il dono della parola, gli altri che godono.
A Robert Louis Stevenson ha ispirato un classico immortale; ai più, oggi, ha richiamato il solito, immortale, refrain. E' la sindrome da sdoppiamento della personalità. Cosa scatta nella mente, cosa si blocca nei muscoli di Del Piero d'azzurro vestito a giugno? Mistero.
Ci sono ventisette buoni motivi per ritenere che la sua forza non sia solo nella divisa che indossa. La cifra non è buttata lì, sono i suoi acuti, inframezzate da sonore stecche, in nazionale. La verità dunque risiede altrove. Incompreso tatticamente, svilito dai dualismi, profeta solo in casa.
Nessuna arrampicata sugli specchi, semplice constatazione. Il mantra delpierista è 'testa bassa e pedalare', sempre e comunque. Lo ha rispettato, anche ieri. Le ostinate e sterili geometrie di Pirlo lo hanno tagliato fuori dal gioco, al pari del compagno di mille avventure Camoranesi. Pur non lesinando sforzi, la sua è stata una prestazione ad impatto zero. Occorreva essere più celeri nello smarcamento, per sfuggire all'asfissiante morsa rumena. Il solo Cassano ha convertito la teoria in pratica, invano, ma speranzoso di sfilare la maglia da titolare all'illustre collega.
Si profila l'ennesima staffetta, l'ennesimo dualismo, forse l'ennesima pastetta. Berlino è un puntino minuscolo nell'universo dei ricordi, così come Dortmund, teatro del guizzo mondiale di Alex. Lo crocefiggeranno, covando inconsciamente la speranza che risorga fra tre giorni, come accadde un paio di millenni fa ad un illustre coetaneo. In tal caso, tutti sul carro del vincitore, da buoni italiani. Io su quel carro non salirò, ma solo perchè non sono mai sceso.

Ieri pomeriggio è tornato Godot, mentre tutti aspettavamo Achille. Martedì sera sapremo se l'incantesimo verrà sciolto, oppure se il Pelide si smarrirà ancora nell'azzurro mare di giugno.

Il punto sul mercato I

Gli ultimi ragguagli dalla Catalogna riferiscono di un Barcellona orientato verso la carne fresca (Benzema? Gomez?) nonchè impegnato a decifrare il rebus Eto'o, meretrice calcistica offertasi a mezza Europa, milanesi in testa. Le voci su Trezeguet in blaugrana, accavallatesi per giorni, sono già scemate. Divorziare da Re David equivarrebbe ad un coito interrotto. Il timore diffuso, guarda caso, era il salto della quaglia(rella). Il killer instict del giovane ajacide Huntelaar, al contrario, stuzzica folte schiere di juventini, ma il pressing sul tulipano è storia morta e sepolta.
Un po' come l'idea di investire l'inconcludente Palladino della pesante eredità di Nedved. Il napoletano, aspirato nel tourbillon tattico di Ranieri, finirà all'ombra della Lanterna. Il suo diniego ha sgretolato le certezze di Preziosi, la beffa è dietro l'angolo. Marotta già pregusta il dolce sapore dello sgambetto ai cugini, Mazzarri gongola e progetta una coppia tutto pepe con Cassano. Resta da limare la distanza tra domanda e offerta, al fine di prevenire l'eventuale rilancio genoano.
Nell'affare potrebbe rientrare il 18enne Fiorillo, tentacolare estremo difensore della Primavera blucerchiata fresca di double. Difficilmente il baby Buffon occuperà la casella di dodicesimo, contesa da guardiani più scafati. In nomination troviamo Antonioli, Manninger e Sorrentino, ma gli outsider sono dietro l'angolo.
Altra possibile contropartita è l'arcigno Campagnaro, allevato a pane e caviglie in quel di Piacenza ed assurto ad idolo di Marassi tanto da guadagnarsi la nomea di novello Vierchowood. Senza nulla togliere all'ottimo Hugo, la retroguardia bianconera è satura di gregari e sprovvista di un big da affiancare a Chiellini. Nonostante le perplessità assortite aleggianti sui vari Andrade, Legrottaglie e Mellberg, il reperimento del nuovo ministro della difesa non spicca tra le priorità di Secco. Si punterà sull'organizzazione, fiore all'occhiello della gestione Ranieri, sperando che San Nicola bissi la miracolosa annata ormai alle spalle.
Le magagne se ne stanno defilate, a destra ma soprattutto a sinistra, dove prosegue l'idiosincrasia tra Molinaro e la sfera di cuoio. Il ritorno all'ovile di De Ceglie rischia di essere un palliativo inefficace al cospetto di pesi massimi come Cristiano Ronaldo.
Chi di fronte al portoghese ha fatto la sua porca figura è il soldatino Grygera, bravo ad inibirne gli slanci nella recente sfida europea di Ginevra. Il proverbiale freno a mano tirato in fase di spinta non cancella la puntualità delle chiusure; se solo rammentasse che oltrepassare la metà campo non è reato, sarebbe un signor terzino. Zebina è avvisato. Su entrambi incombe la minaccia (fantasma?) di Branislav Ivanovic, corteggiato da Madama un semestre fa ma ammaliato dai petrodollari di Abramovich. Lo zero alla voce 'presenze' ha indotto il Chelsea a considerare l'ipotesi di un prestito annuale. Il segugio Secco, fiutato l'affare, punta a far suo il possente serbo, abile anche in marcatura, magari spuntando un diritto di riscatto a prezzo modico.
Al momento gli sforzi degli uomini mercato di Corso Galfer sono concentrati sulla mediana, croce (Almiron & Tiago) e delizia (Sissoko & Zanetti) di Ranieri. Dopo il rigetto del precedente trapianto di qualità, la risposta all'asetticità della manovra è Xabi Alonso, 27enne volante del Liverpool di Benitez. Il ballottaggio tra il geometra basco e l'architetto romano (Aquilani) ha premiato il primo, vuoi per una naturale predisposizione alla regia, vuoi per la telenovela da rinnovo contrattuale del secondo, con, sullo sfondo, la sagoma di Soros sempre più lontana. Parte dell'esborso, stimato sui 17 milioni, verrà coperto dalla cessione del fantasma di Tiago, destinazione Madrid sponda Atletico, of course. L'inevitabile minusvalenza rappresenta un monito alla prudenza in vista di futuri azzardi. Stesso discorso per Almiron, appetito dalla Lazio, non fosse che sullo Zanichelli alla voce 'tirchio' potrebbe tranquillamente starci una foto di Lotito. In bilico anche Marchionni, ala vecchio stampo più avvezza alle corsie d'ospedale che a quelle laterali del rettangolo verde. Prandelli lo aspetta, ma rischia di attendere invano.
I rientri, a furor di popolo, di Marchisio e Giovinco rappresentano una preziosissima iniezione di freschezza in un gruppo che necessita di giovani, affamate e valenti leve soprattutto laddove, in Europa, chi non corre è perduto. A tal proposito, le specifiche tecnico-tattiche di Amauri cascano a fagiolo.
Paradossalmente, fra color che son sospesi becchiamo pure l'unico acquisto a titolo (molto) oneroso risultato in linea con le aspettative, alias Iaquintone. Guai a parlare di bocciatura, è piuttosto una concomitanza di fattori ad allontanarlo da Torino. La considerazione di cui gode presso ambienti prestigiosi come Napoli e Roma, che a loro volta espongono in vetrina i gioielli di famiglia (Santacroce, Hamsik, Lavezzi da una parte, Aquilani dall'altra) graditi a Madama;
l'accresciuta concorrenza, leggasi Amauri; la necessità di far cassa a fronte di onerosi investimenti. Un'altra necessità, quella di disporre di quattro punte intercambiabili per sopperire alle consuete pause di celentaniana memoria del duo Del Piero & Trezeguet, potrebbe ancorarlo a Vinovo. In caso di separazione, ancora lui, Quagliarella, si candida a cambiar maglia ma non combinazione cromatica, ripercorrendo curiosamente le orme del cigno di Cutro. Sarebbe un peccato, le strisce verticali più strette non gli donano.

mercoledì 4 giugno 2008

Cambio della guardia?

Si scrive Del Piero - Trezeguet, si legge gol. Quattrocentouno in due, rispettivamente duecentoquarantuno e centosessanta. E non finisce qui. Forse.
Immuni alla celebre crisi del settimo anno, dall'alto di un'intesa sviluppata dentro e cementata fuori dal rettangolo verde, volevano spartirsi la corona di capocannoniere a suggello del ritorno in Paradiso. Quel trono, però, era troppo piccolo per tutti e due, e solo il capitano vi ha potuto poggiare le regali chiappe. Il francese medita 'vendetta'. Forse.
Alex emette gli assegni, David passa alla cassa e riscuote, e viceversa. Re David scompare e riappare all'improvviso, puntuale come le rinascite del compare, all'appuntamento con il gol. Stavolta, però, potrebbe ricomparire al Camp Nou, di blaugrana vestito, pronto a capitalizzare le magie di Bojan e Messi. M come magia? Niet, m come mercato.
L'input di Guardiola, subentrato a Rijkaard, è chiaro: alto, grosso, che la butti dentro. Basta coi fiorettisti ballerini e litigiosi, ci vuole un risoluto spadaccino. Si sussurra di una ricca offerta, nell'ordine dei 50 miliardi del vecchio conio, roba da preparare l'imballo ed ornarlo con un bel fiocchetto rosso. Forse.
Prossimo alle trentun primavere, forte di un gioco al risparmio, salvo aver recentemente allargato i propri orizzonti, la data di scadenza sul retro della confezione recita 30 giugno 2011. Plausibile prospettare un'ulteriore annata ad altissimi livelli, dopodichè stretta di mano, pacca sulla spalla (quella sana), grazie di tutto e arrivederci. Forse.
Partendo dall'incontrovertibile presupposto che niente è per sempre, se confermata la proposta dei catalani sarebbe la miglior, nonchè ultima, occasione per monetizzarne l'addio.
La storia insegna, i contratti son fatti per NON esser rispettati. Moggi insegna, in casi come questo ad un corposo assegno NON si dice no. Sarebbe però delittuoso rimpiazzare Mr. Centosessanta Gol con un pinco pallino qualsiasi. Il mercato internazionale, ricco dei suddetti pinco pallini, è altresì povero di bocche da fuoco a prezzi umani. Dopo aver perlustrato palmo a palmo ogni fazzoletto di terra conosciuta, poli compresi, è stato individuato, dalla parti di Amsterdam, un cicognone 25enne dai piedi buoni, killer (silenzioso delle aree di rigore) di professione, detto 'Il Cacciatore'. Ipotesi: imbarcarsi a Caselle destinazione El Prat con il francese e rilasciarlo dietro lauto pagamento; tornare indietro, fare scalo ad Amsterdam, caricare Huntelaar in cambio di venti milioni circa e planare a Torino con un centravanti nuovo di zecca. In un sol colpo, parco attaccanti ringiovanito senza contraccolpi economici e/o tecnici e preoccupazioni per il, prima o poi inevitabile, ricambio generazionale parzialmente dissipate da un ariete più consono al progetto a medio termine varato dal nuovo corso bianconero.
I vividi ricordi delle disastrose operazioni Almiron e Tiago riecheggiano nella stanza dei bottoni di Corso Galfer. Ne consegue un giustificato timore per le future mosse di Secco e soci, fomentato dalle voci su Quagliarella. Dopo aver scelto di battere la strada della continuità nel giugno scorso, fare retromarcia sarebbe sintomo di inefficienza programmatica. Consci del suo status di leader rafforzato dalla diaspora post-calciopoli, i dirigenti, travestiti da Ghostbusters, 'esorcizzano' lo spettro di una cessione che Trezeguet, in passato, volle, fortissimamente volle a più riprese. Solo il binomio "Gli farò un'offerta che non potrà rifiutare" (cit.) - sostituto in pugno potrebbe sparigliare le carte in tavola. Se da un lato con David se ne andrebbe un pezzo di cuore che ha traghettato Madama lungo le malsane acque dell'Inferno cadetto, dall'altro occorre una valutazione a 360 gradi (non a 90, quindi astenersi perditempo). Gestire una società orientata all'autofinanziamento implica una politica oculata, con un occhio al bilancio e l'altro al futuro. Nessuno misconosce le qualità del campione francese, il cui
status di bomber e trascinatore è inattaccabile. Piuttosto, in ottica mercato subentrano altri scenari, e riaffiorano persino dolci ricordi.
Flashback. Estate 1996, freschi di Champions, fanno le valigie Vialli e Ravanelli. Al loro posto, sbarcano all'ombra della Mole Boksic e i giovani Amoruso e Vieri. L'obiettivo di allora era vincere, senza se e senza ma; oggi prevale la consapevolezza di un gap incolmabile rispetto alla nuova Inter di Mourinho. Sarà infatti difficile tenere il passo dello Special One Team, con o senza Trezegol, tanto vale mettersi una mano sul cuore e un'altra sul portafogli, pronti ad accogliere i danari di Laporta e a coltivare il più bel tulipano del ricco giardino ajacide.
Si apra pure la caccia... al Cacciatore. Occhio, però, a puntare la preda giusta. Mica ci si può accontentare di una Quaglia.

lunedì 2 giugno 2008

THE SPECIAL ONE

Via L'uomo-che-vince-sempre, dentro lo Special One.
Mai banale negli avvicendamenti, il Moratti. Mai banale negli atteggiamenti, il Mou.
Accentratore, altezzoso, borioso, spavaldo, spocchioso, vanesio, e chi più ne ha, più ne metta, possiede tutte le declinazioni dell'antipatia, distillate in un audace incrocio tra George Clooney e Humphrey Bogart.
Effetti collaterali: è un vincente. Alla Pinetina non basta. Rivolgersi a Lippi Marcello per ulteriori dettagli.
José, però, non è 'un'. Lui è 'IL'. Verbo. Imperativo, mai imperfetto. Ma pure sostantivo e aggettivo. Superlativo assoluto, si capisce. I discepoli ne esaltano la maniacale cura nella preparazione dei match. Pretende il coinvolgimento dell'undici tutto nel gioco. Ibra, do you understand?
Secondo solo a Dio. Special One. Chuck Norris? No, José Mário dos Santos Mourinho Félix. Vuoi mettere?

Guadagnerà 9 milioni di euro l'anno per tre stagioni. Essì, si aggiunga: mai banale negli emulamenti, il Moratti. Stesso dicasi per le buonuscite. Avvertenza: omettere la parolina magica in presenza di Roberto Mancini da Jesi. Potrebbe inalberarsi e vomitarti addosso risentimenti covati per mesi.
Povero Mancio, che mondo ingrato.
Vada come vada, l'ormai ex condottiero interista ha già vinto. Come sempre.
Mourinho non potrà far meglio di lui. Ben che gli vada, alzerà al cielo la coppa dalle grandi orecchie. Mai, ribadisco, mai, riuscirà a bissare l'impresa di Roberto. Appuntarsi sulle maglie la patacca dello scudetto dopo aver chiuso alle spalle di Juventus e Milan, a -15 dalla vetta. Questo è troppo. Anche per lo Special One.

domenica 1 giugno 2008

Contador campeòn

Dodici anni dopo Pavel Tonkov, soprattutto tre lustri dopo l'ultimo acuto del connazionale Miguel Indurain. Il nuovo padrone del Giro d'Italia parla spagnolo. Il suo nome è Alberto Contador.
La cronometro conclusiva ha incoronato il portacolori dell'Astana, capace di infliggere al rivale Riccò 1'53'' nello spazio di 28 chilometri. Si issa sin sul terzo gradino del podio il ruspante Bruseghin, capitano dopo una vita da gregario, bravo a rintuzzare l'attacco finale del volitivo Pellizotti. Scala la classifica il russo Menchov, che scavalca il folletto veneto Sella, assai a disagio nelle corse contro il tempo, al pari del campione uscente Di Luca, inabissatosi sino all'ottava tacca dopo la terribile due giorni conclusiva.
L'incoronazione del formidabile madrileno restituisce alla corsa rosa una dignità internazionale annacquata da anni di monologo tricolore. A memoria di giovane uomo, mai cast fu più ricco di star forestiere.
L'improvvisazione ha battuto la pianificazione. Il campione spagnolo si è presentato al via a digiuno di corse da un mesetto, senza conoscere un solo metro di strada, e leggenda vuole fosse a trastullarsi in spiaggia con fidanzata al seguito. Ai -7 dalla partenza, la svolta: fuori l'Acqua&Sapone, dentro la sua Astana. Lui richiude l'ombrellone, inforca la bici e sbarca a Palermo nella curiosità generale. Con lui, tra gli altri, Kloden e Leipheimer, habituè della Grand Boucle, eterni piazzati alla disperata ricerca dell'acuto vincente. Contador no. Lui è già un vincente. Ha sfilato in giallo a Parigi giusto un anno fa, ma l'embargo imposto al suo team dagli organizzatori ne ha stroncato le velleità di bis. Chiamato a confermarsi sulle aspre ascese italiane, ha risposto presente.
La regolarità ha battuto l'esuberanza. Gli è bastato difendersi in salita, suo habitat naturale, e confermare i progressi a cronometro per mettere in fila tutti gli altri. Ha passato un brutto quarto d'ora sul Monte Pora, piegato dalla brillantezza di Riccò e salvato da un acume tattico non comune e dalle trenate di Pozzovivo e Sella. Al contrario, a Milano ha surclassato lo scalatore di Formigine delegittimandone gli slanci dialettici.
Contador ha battuto gli scettici. Tour e Giro, la doppietta, seppur in anni diversi, è servita. Le umili origini, la tragedia del fratello costretto alla sedia a rotelle, l'aneurisma celebrale del 2004 lo hanno fortificato, il coinvolgimento, poi smentito, nell'Operation Puerto non lo ha intaccato. Touché.
Golia ha battuto Davide. La potentissima compagine kazava, di emanazione governativa, forte di un tridente invidiabile e di gregari affidabili, minaccia di monopolizzare la corsa. Pur parzialmente ridimensionata strada facendo, si è dimostrata una spanna sopra le debole Saunier Douval, messa ko dal ritiro di Piepoli, unica spalla di capitan Riccò quando la strada s'inerpica.

Il Cobra di Formigine ha sfoggiato una parlantina fin troppo sciolta e un passo spedito in salita, dove ha sovente staccato il rivale iberico. E' mancato sul Gavia, messo sotto scacco dal tatticismo dell'Astana (il battistrada Colom, scudiero di Contador, scoraggiava qualsiasi attacco), e da una gamba non all'altezza. La scoppola rimediata oggi ricorda al mondo il tallone d'Achille del piccolo Pantani, le crono.
L'uomo-copertina, però, è stato Emanuele Sella, autore di tre-imprese-tre, di cui una, l'acuto sulla Marmolada, ai limiti delle possibilità umane. La triplice caduta, e conseguente quarto d'ora perso, in quel di Cesena, dove si era rivelato nel 2004, è stata la sua benedizione. E anche quella del pubblico, conquistato dalla sua grinta e dal suo coraggio.
Proprio quel coraggio mancato a più illustri colleghi. Contador, appesantito da una condizione in divenire, andava attaccato nella prima settimana, invece nisba, occasioni propizie sono passate in cavalleria, il risultato è il podio di Milano.
Il percorso vallonato ha usurato il 37enne Simoni, un diesel che ai proverbiali acuti ha sostituito la clamorosa stecca sulla Presolana, dopo l'incolore due giorni dolomitica e l'ingannevole arrampicata a Plan de Corones e prima del tardivo risveglio sull'Aprica.
A proposito di cotte, Di Luca ha formalizzato il passaggio di consegne sul terribile Mortirolo, dove ha raccolto con gli interessi i 'frutti' dell'impresa compiuta, in collaborazione con un monumentale Savoldelli, sulla discesa del Vivione e coronata in cima al Pora. Prima del black out di sabato, aveva sopperito ad una forma non eccelsa con la solita grinta, salvo incassare sonore sconfitte nelle cronometro. Il Killer di Spoltore può vantare il poco gratificante scettro di primo corridore inquisito perchè... 'troppo pulito', come risultato dall'esame antidoping effettuato dopo la terribile Lienz - Zoncolan del maggio scorso. Il successivo accanimento patito ne ha minato la preparazione, costringendolo a saltare le amate classiche primaverili.
Il nuovo leader della Liquigas, Pellizotti, ex delfino dello stesso Danilo, dopo aver indossato il simbolo del primato per quattro giorni, ha dovuto desistere dalla rincorsa alla stessa a causa di un rendimento altalente. Il Giro 2008 gli ha regalato una nuova consapevolezza, quella di saper reggere e la pressione, e le tre settimane, nonchè la prestigiosissima vittoria nella cronoscalata di Plan de Corones. Ha lottato sino all'ultimo metro con Bruseghin per il podio, si è dovuto arrendere per due, miseri, secondi.
Ha deluso le attese il suo giovane compagno di squadra, il siculo Nibali, arrancante in salita a dispetto della fama di corridore completo. Niente panico, ha l'età, e la classe, dalla sua, avrà tempo e modo di rifarsi. Resta il miglior prospetto italiano per le grandi corse a tappe, dove ha già dato un saggio di eccellenti doti da cronomen.
Capitolo stranieri: pollice verso per gli Astana Kloden e Leipheimer. In progressivo calo il primo, fresco vincitore del Romandia, ectoplasimico il secondo. Bravino il russo Menchov, persino sorprendente, a tratti, in salita. Sorprendente il giovane belga Van der Broeck, onorevolissimo ottavo. Per lo spettacolo, però, rivolgersi a casa Italia. Bussate
ai Reverberi, capaci di fare le nozze coi fichi secchi, leggasi allestire una squadra combattiva e altamente competitiva con un budget insignificante rispetto ai colossi del settore.
Ad animare la corsa, hanno contribuito anche gli innumerevoli cacciatori di tappe, il campione nazionale Visconti, il solito, encomiabile, Bettini e l'altro toscanaccio Bennati, che ha rivaleggiato sui traguardi veloci con l'emergente inglesino Cavendish conquistando la maglia ciclamino e confermandosi miglior velocista italiano di nuova generazione.
Se però volessimo individuare il miglior spot possibile per uno sport martoriato da scandali veri o presunti, delittuoso non citare Marzio Bruseghin. Svestiti i panni di gregario, si è ritrovato capitano e ha onorato l'investitura con un fantastico terzo posto. Inno alla professionalità, l'uomo che sussurra agli asini ha dato sfoggio di grande grinta e regolarità, ma si dichiara pronto a scortare Cunego al Tour. Encomiabile.
Encomiabile è anche l'attaccamento (solo talvolta sfociato nell'eccesso) della gente, segno che il ciclismo, nonostante tutto e tutti, occupa un posto speciale nel cuore di molti. Poco male se diverse fughe da lontano sono andate in porto, sintomo dell'incapacità delle squadre di gestire la corsa, e il livellamento tra i big ha ridotto lo spettacolo. Le medie umane confermano la bontà del lavoro di pulizia compiuto dalle autorità competenti. La strada per l'espiazione è ancora lunga, e tutta in salita. L'auspicio è che ai vertici di questo amatissimo sport ci siano tanti Contador, Ricco e Sella, capaci di domare le ascese più impervie.