martedì 2 dicembre 2008

Mistero puffo

La minuzia fisica della formichina deatomizzata Giovinco sussurra miniaturizzazione dei pasti. Il talento lievita le porzioni. Ranieri le sgonfia dispensando solo briciole. Gli irriducibili Del Piero e Nedved cannibalizzano gli spazi. L'infermeria sold out 'mangia' turnover e camaleonte solido. Il sogno ribelle accarezzato dai tifosi zebrati stenta a farsi carne.
L'integralismo tattico di 'Tinkerman', abbarbicato ad un abbottonato 4-4-2, depenna gli ibridi dalla cerchia di eletti. Stante l'attuale stato di cose, l'anello di congiunzione tra progetto elettrizzante e prodotto finito è la disambiguazione tattica del puffo bianconero. Utopia, tesser le fila del proprio destino col fondoschiena inchiodato alla panchina. Sulla capa pelata del ragazzo s'affacciano timidamente i nembi britannici dell''altrove'. Il pingue rinnovo è uno sparuto raggio di luce che squarcia il cielo plumbeo e addolcisce l'attesa di un posto al sole.
Sebastian ha investito i pochi spiccioli di gloria in assist e giocate effervescenti, disseminati in fisiologici silenzi celentaniani, riscuotendo le polveri sottili dell'anticamera. Il blitz dell'elefante palermitano nella cristalleria bianconera datato 10 ottobre ha infranto le ambizioni del nostro. Un'undici cucito su misura. Rari arcobaleni giust'appena abbozzati, mortificati dal grigiore generale e dal rosso sventolato a Sissoko. Una maglia da titolare che scivola inesorabilmente su spalle più nobili e solide. Paga anarchia, peso piuma e scarsa predisposizione al rinculo.
La settimana bianca tra Pietroburgo e Torino preannunciava slalom speciali sul versante sinistro per il genietto bonsai, pettorale numero venti, in pista sin dall'avvio. E poi ti svegli tutto sudato, raggomitolato su un seggiolino a bordo campo, bagnato dalla neve e baciato dal vento. Tre quarti d'ora di toccata e fuga, raffazzonati in due uscite, a referto, guarniti dalla conquista del penalty che incesella Del Piero nella leggenda. Briciole divorate nella tormenta, quando i pattini soppiantano gli scarpini bullonati quale calzatura consigliata.
Fugando orgiastici arrovellamenti neuronali, Ranieri ha dipinto Giovinco come vice-Nedved. Lo stakanoviska ceco ha marcato visita, di recente, solo a Verona, tana del 'ghiro' Chievo. Al suo posto, De Ceglie. L'altalena prestazionale di Pavel non ne ha intaccato minimamente l'indiscussa titolarità, nemmeno in coincidenza di bassi che più bassi non si può. Sabato sera, la certificazione dell'intoccabilità, corroborata da una prova, a sprazzi, d'antan. Il risultato in ghiacciaia, e perciò in equilibrio termico col clima polare che avvolgeva Torino, caldeggiava la doccia anticipata. 'Privilegio' accordato a Marchisio, avvicendato dall'amico Seba e rilevato in mediana dall'ubiquo biondino bionico. Il sentiero è tracciato. Il peso specifico dei senatori a vita, tangibile. La fascia mancina, ceca.
La storia insegna, la sorte quale antidoto principe alle gerarchie. Correva l'anno 1994. Tale Del Piero Alessando, classe (immensa) '74, scalpita alle spalle dell'idolo-totem Roby Baggio. A fine novembre, il ginocchio destro del Divin Codino va in frantumi. Il resto è leggenda. La salute in acciaio inox 18/10 che assiste il capitano e il ceco costringe il giovane allievo a mettersi in coda, taccuino munito, per carpirne aneliti e segreti. Il saggio consiglia, santa pazienza quale antidoto principe alla tristezza a palate. Oh, se è arrivata la democrazia in Cina dopo tre lustri di gestazione, roba che nemmeno gli elefanti, vuol dire il tempo tutto può.

lunedì 24 novembre 2008

I milanesi ammazzano al sabato

"Torino, abbiamo un problema". Si conclude così, con un atterraggio da brividi in zona San Siro, Milano, il tour spaziale della sonda Juventus, decollata un mese e uno sputo fa alla volta dell'infinito. Il distacco dalla volta celeste è stato brusco. Riacclimatarsi alla gravità terrestre richiederà lacrime e sudore. Le polluzioni post-settebello di successi sono acqua passata. Astenersi apocalittici catastrofisti.
Passo primo, l'elaborazione del 'lutto'. Inopportuno declinare responsabilità a terzi in tenuta limone, piangere gli infermi, o le carambole altrui. Il risicato passivo mortifica gli sforzi nerazzurri ed inganna i passeggeri distratti. Ko tecnico(-tattico) alla seconda ripresa. Inappellabile.
Il monologo interista affonda le proprie, solide, radici in panchina. Il professor Mou scende dal piedistallo-cattedra e va a ripetizioni di calcio italiano. Torchiato sull'argomento, si dimostra ferratissimo sul capitolo Juventus. Incredibile ma vero, lo stesso non-pirla impermeabile ad Erasmus calcistici, l'arcivescovo del 4-3-3, modella il proprio credo tattico su vizi e virtù degli avversari.
Materazzi restituito alla dignità professionale dopo il raccapricciante Europeo e al campo dopo il derby, centimetri e testosterone per inibire Amauri. Rombo a centrocampo, con i monolitici Cambiasso e Muntari e il tuttofare Zanetti a coprire le incursione del figliol prodigo, juventino mancato, Stankovic. Adriano strappato al dancefloor e accoppiato all'inamovibile Ibra. L'amata trivela deposta in panca. Balotelli e Mancini addirittura sbianchettati dalla distinta. Un propizio bagno d'umiltè per il brizzolato di Setubal, con sensibili echi di pragmatismo manciniano.
L'undici nerazzurro s'è fatto beffe della linea difensiva bianconera, 'alta' come il ranierismo impone, sfregiata dagli inserimenti senza palla dei mediani e scherzata dal lucido genio di Ibrahimovic, calamita-calamità per Legrottaglie, versione pecorella smarrita, e compagni, chirurgico nell'assist e stitico sotto porta, mai banale nei movimenti, sincronizzati con quelli del partner d'attacco, puntuale nel cercare la traccia esterna per eludere la guardia di un gladiatorio Chiellini. Il suo doppio strafalcione in zona gol prolunga l'agonia, al pari della penetrazione centrale del 5 serbo vanificata dall'imperfetto controllo dello stesso, poi rimontato da Molinaro e Re Giorgio. Un paio di sbandieramenti a cappella degli assistenti e un vantaggio inapplicato dal pur bravo Rizzoli, oltre a salvaguardare la 'verginità' della porta di Manninger, azzerano le rimostranze di sponda torinese sulla condotta della terna, nonostante un sospetto contatto tra Muntari e Marchionni nel primo tempo. Proprio il ghanese, piedi di ghisa e polmoni d'acciaio, al 73° infila di giustezza un'imbeccata (casuale?) di Ibra, sorprendendo l'esterefatto guardiano austriaco ed il presepe vivente bianconero, che lo abbandona solo soletto a centro area. Game over. L'incornata di Del Piero ai dieci dalla fine costringerà la lavenderia nerazzurra a sciacquare i guanti di Julio Cesar, non gli sceneggiatori a rivedere un copione monotono dal finale scontato.
Del fil-otto recente, la banda Mourinho è l'unica accreditata di uno spessore tecnico e tattico superiore a Madama e, puntuale come la sfiga, la sconfitta s'è fatta carne. Ohi ohi, la sfiga, compagna di viaggio fedele e bastarda. Citofonare Tiago Cardoso Mendes. Due minuti scarsi ed il Lazzaro portoghese inciampa, il ginocchio sinistro reclama cure, destino infame. Testimoni oculari giurano sia stato avvicendato da un giovine smunto e dimesso: si sospetta fosse la brutta copia di Marchisio. La vigorosa mediana avversaria, ad onor del vero, lasciava presagire una notte horror per il compassato lusitano, ma la (mala)sorte ha ucciso il beneficio del dubbio. Accerchiato dall'apatia, il prode Sissoko non si scompone e aspira modalità Vorwerk folletto palloni su palloni, salvo smarrirsi in impostazione. Un tocco di troppo, controlli 'elastici' e cucù, il pallone tra i piedi del maliano non c'è più. Il signor Cristiano Zanetti è pregato di cicatrizzare in fretta. Pur privo delle stimmate del fuoriclasse, è l'unico mediano bidimesionale a libro paga.
Lo sciopero degli 'assistenti di volo' Marchionni e Nedved (farlo rifiatare è reato?), nonchè il monopolio delle rotte aeree riservato al duo Materazzi - Samuel, blocca a terra l'air-one Amauri, costretto a librarsi a pelo d'erba, lontano anni luce dai sedici metri della pista d'atterraggio. Il collega Del Piero pare mediamente ispirato, ma, colpito anch'egli dalle contingenze, attende novanta minuti più recupero in rampa di lancio, placcato agli sgoccioli dal già citato volo di Cesar. La tardiva investitura di Camoranesi a commissario straordinario non sblocca lo stallo, ma concima le polemiche su Ranieri. Passi per l'undici iniziale, figlio legittimo della prudenza e schiavo del bollettino medico; i correttivi, intempestivi e poco audaci, si confermano il tallone d'Achille del condottiero romano. Il camaleonte solido? Una boutade estiva. Dal Vangelo secondo Ranieri, in riferimento all'amato 4-4-2: "non avrò altro modulo fuori che te".
Intendiamoci: scorrendo i petali della rosa nerazzurra,
al netto delle ragioni del cuore non v'era dubbio alcuno sulla superiorità dell'Inter. Leggerlo tra le righe della sfida più sentita, però, fa male. A meno sei, poi, fa freschino, la coperta è corta e per sconfiggere i rigori dell'inverno non basteranno le punizioni di Pinturicchio.
Lo step numero due, il riscatto, passa da casa, ospite la rinata Reggina di Orlandi. La storia insegna, le piccole sono crocevia di scudetti. Oh, che parolone. Crederci è sottilmente presuntuoso. Mollare la presa è astorico. Navigare a vista è la cicatrice dei tempi. Memorandum: disinserire la modalità 'sborone' sfoggiata settimana scorsa, con dichiarazioni d'intenti molto poco sabaude. Lunga vita al low profile dialettico. A morte gli interismi-isterismi. E ripartire, pervasi dal sacro fuoco dell'umiltè. Paga, fidatevi. Vero, Mou?

domenica 23 novembre 2008

La ricetta perfetta

Non c'è peggior sconfitta dell'impotenza. Rocco Siffredi? No, uno juventino lucidamente 'ncazzato.
L'Inter liquida la pratica Juve senza sudore versare, rosolando gli avversari a fuoco lento per settanta minuti abbondanti e lasciandoli bollire per i restanti venti. La ricetta dello chef Mourinho ha inebriato il volubile palato nerazzurro, viziato dai precotti manciniani, indigesti oltralpe ma trangugiabili in patria, complice il pasticcio di gobbi confezionato ad agosto 2006. Insaporite il tutto con il cigno di Malmoe, e la frittata è servita. Ai Ranieri boys è rimasta sul gozzo.
La spartana ricetta del cuoco pasticcione di Testaccio è resa ancor più insipida dalla rinuncia aprioristica al peperoncino Camoranesi e alla segregazione negli armadi nerazzurri Samuel e Materazzi di speziati condimenti quali Amauri e Del Piero. Nedved? Scaduto. Carta (d'identità) canta. L'ingrediente segre(ga)to, lo sfuggente camaleonte solido, è finito nella pentola sbagliata. Quella nerazzurra.
Dopo aver ripassato la ricetta avversaria, lo Special Uan ha riposto nella credenza la propria prediletta, quel 4-3-3 cucinato con successo in patria ed in Albione, pescando un gustoso rombo, così disposto in tavola: Cambiasso vertice basso, Stankovic trequartista, Zanetti e Muntari ai lati. Ripulito dalle lische, vedi il rinnegato GiovanniVerniaQuaresma, pronto per esser gustato. Tutti a tavola, responso inequivocabile. Portata pesantuccia, sgradita a Del Piero e soci. Urge, seduta stante, corso d'aggiornamento sull'arte culinaria per il cuoco Ranieri. Si faccia accompagnare da chi (gli) ha procurato gli ingredienti...

giovedì 20 novembre 2008

Lo chiamavano tronista

Lo chiamavano tronista. Dal De Filippi 2008, dicasi tronista "bello senz'arte né parte, pettorali munito, fedele ed inde-fesso cultore di San Lele [Mora]". Chi biascica il calcistichese annusa il pericolo. E' il ritratto sputato della fighetta, la cirrosi epatica del tifoso medio. Tenere fuori dalla portata degli juventini. L'appello cade nel vuoto. Questo matrimonio s'ha da fare, con tanto di sfarzosa cerimonia-fiume. La luna di miele cheta le acque del dubbio, l'alba della convivenza le evapora. L'etichetta di tronista si scolla. La patina d'indifferenza-insofferenza si scrosta, a suon di capocciate.
Amauri viaggia in ascensore, destinazione Paradiso. Il marcatore scende un piano sotto. Il portiere piomba all'Inferno, incenerito da una chirurgica zuccata.
Qualora gli avversari riescano a recidere il cordone ombelicale che lo lega ai compagni, subentra il 'fai-da-te-Ama', letale fiore all'occhiello della casa. Citofonare Di Loreto. Non declinerà il verbo segnare con la scioltezza del collega Trezeguet, ma sopperisce alle lacune grammaticali con un apprendimento agile e onnicomprensivo, nonché con una predisposizione naturale al gioco di squadra. Non avrà attecchito nel cuore di Dunga, stregato dalla professionalità svizzera di Adriano, ma il Destino ha steso la sceneggiatura perfetta, che, complice la sapiente regia di Lippi, regalerà al nostro eroe, burocrazia permettendo, il ruolo di principe azzurro nel classico immortale "Italia vs. Brasile", prossimamente di scena a Londra. Ora chiudete gli occhi. Immaginate Amauri leone di Wembley. Volgete fugacemente il pensiero all'attapiratissimo CT carioca. Sommessamente godrete.
I 'nazional-pur-isti' mugugneranno, al solo pensiero di ritinteggiar di tricolore un passaporto verdeoro, in assenza di consanguinei. Ce ne faremo una ragione. Fatto. In fondo, il Belpaese ha accolto e raffinato il diamante grezzo paulista, cresciuto a pane duro e polvere nella selettiva provincia calcistica nostrana. Il bozzolo, sballottato tra Padania e Regno delle Due Sicilie, ha infine liberato un'elegante, leggiadra ma coriacea, farfalla. Seguendone l'incessante svolazzare per il campo, c'è da chiedersi se un'equipe di biologi molecolari sabaudi sia riuscita ad isolare il gene dell'abnegazione nedvediana per poi clonarlo ed iniettarlo nelle vene dell'8 bianconero. No, non è ingegneria genetica. Solo, si fa per dire, dedizione e talento shakerati in un corpo da marine.
E pur l
o chiamavano tronista! L'unico trono cui aspira è quello riservato al re dei bomber. Ha imboccato la via giusta, quella dei gol pesanti. Se il buongiorno si vede dal mattino, la notte s'annuncia gaudente e lussuriosa.

lunedì 10 novembre 2008

I'm outta time

Non sarà "giovane, bello e abbronzato", ma è l'unico essere animato a poter vantare oggigiorno consensi più massicci di Barack Obama. Piede torrido, cervello fino, lingua simmonsiana. Alex Del Piero, e chi sennò? La presa del Bernabeu è compressa nel file 'StandingOvation.zip'. Centottantamila mani spellate dagli applausi, il pecoraro italiota medio prenda nota. Effetti collaterali: bulbi arrossati (ipersensibili a rubinetti spanati) tachicardia, pelle d'oca; travasi di bile per gli antidelpieristi ossessivo-compulsivi. Inchino ricambiato.
L'ispanico Casillas impallinato come un pivello, complice barriera dadaista. Doni e Sorrentino, meno accondiscendenti del pluridecorato collega eppur incapaci di sbaffare le pennellate chirurgiche del Pinturicchio, spazzano l'aria ma s'arrendono all'arte. Il fu Godot innaffia la cultura, coltiva speranze, concima record. La data di scadenza riportata sul retro della confezione è in costante procrastinamento, in barba alle trentaquattro-candeline-trentaquattro ancora fumanti. Il peso degli anni e non sentirlo. L'amore della gente e non tradirlo. Diecipiù.
Ha collezionato corone (di capocannoniere) e difeso il proprio trono dagli usurpatori. Domato cime tempestose e picchiate paurose. Nuotato nell'oceano di inchiostro sperso criticamente dalle penne più affilate. Debellato le virulente forme di virus 'C' (nell'ordine: Capello, calciopoli, cadetteria) che ne hanno attaccato-non-intaccato le difese immunitarie.
Assorbito con dignità e orgoglio un biennio di precariato. Zittito a linguacce avvoltoi e coccodrilli. Adornato il tutto con una ciliegina made in Berlino, squarcio d'azzurro in un'estate a tinte fosche. Si piega ma non si spezza, si fa sentire ma non sbraita, parla ma non straparla. Ecche è, un santo? No, semplicemente Alex Del Piero. Fuori dal tempo, dentro la leggenda. Altro giro, altra corsa, altro inchino.

martedì 4 novembre 2008

La rivincita dei nerd

Imperativo categorico assoluto: piedi cementati al suolo. No voli pindarici, nessun panegirico, solo una constatazione amichevole dopo virulente litanie vomitate, spesso a ragione, contro i malcapitati. Non sia mai che un repentino rientro negli scomodi ranghi della mediocrità neghi loro i giusti onori. (segue strizzatina scaramantica ai gioielli di famiglia)
La vendetta è un piatto da consumare freddo. Tiago l’ha lasciato congelare, assieme ai bollenti spiriti infiammati giust’appena sbarcato a Torino. Una lavatrice senza filtro, portoghese di nascita e di spirito. Testa bassa, sguardo vitreo, movenze non pervenute, encefalogramma calcisticamente piatto. Nelle rare sortite in campo, era solito installarsi su di una zolla, con la quale allacciava un rapporto quasi morboso, rotto solo da sparuti rinculi e puntuali avvicendamenti. In estate ha investito (parte del)le residue riserve di grinta in una partigiana azione di resistenza ai disperati tentativi di “sbolognamento coatto” azzardati da Secco. L’ha sfangata, forte di un contratto pachidermico capace di debellare le, poche, pretendenti stoicamente sopravvissute alla sua personalissima Waterloo a tinte bianconere. Il fattore infortuni, che ha intaccato i muscoli dei colleghi e le gerarchie dell’allenatore, non lo ha sfiorato, forse per pietà; l’ecatombe di mediani gli ha addirittura consegnato le chiavi del centrocampo. Il lusitano, pur essendo portavoce di un calcio scolastico, non ha risentito dei tagli all’istruzione, e pare, anzi, aver finalmente assorbito gli insegnamenti del maestro unico Ranieri. Basta giocare a nascondino durante le esercitazioni, celandosi dietro la sottana, pardon, pantaloncini di Zanetti, o chi per lui. Il ministro Brunetta indica la retta via, stop ai ‘fannulloni’. La grinta si fa istinto di sopravvivenza, e Tiago si fa lavatrice, ripulisce palloni e la propria fedina bianconera, trasforma l’indifferenza/insofferenza del pubblico, ispessisce i propri standard prestazionali un tempo ‘alla carta velina’.
Ancor più radicale la trasmutazione emozionale collettiva sul vituperato Molinaro. I fischi che ne hanno scortato le gesta al, vero, battesimo europeo sono stati rigettati con il vigore di una sgroppata sulla sinistra, puntellata da una pennellata per la capoccia di Amauri. Non è il copione di un’utopia, ma la trascrizione di un’impresa, visti i mezzi a disposizione. E giù applausi. La fiera delle buone intenzioni ha trovato finalmente sbocco in parabole destinate a centro area e non più a centro curva, il corollario d’improperi ricacciato in gola ai diffidenti, le divergenze con la sfera di cuoio appena appena smussate. Come può uno scoglio arginare il mare (di critiche)? Semplice, non può, ma le acque si son chetate, lo tsunami settimanale è stato soppiantato dalla calma piatta. Se sia o meno l’occhio del ciclone, lo scopriremo solo sbirciando, mercoledì sera, il Bernabeu.
Già che ci siete, quella sera buttate un occhio sul raffazzonato binario di destra. Scorgerete, a meno di sorprese last minute, la sagoma minuta e sgusciante di Marco Marchionni da Monterotondo, piedi educati e muscoli di seta, l'infermeria come seconda casa. Una volta sfrattato, ha ripreso possesso della fascia, lasciata incustodita da Camoranesi, nuovo affittuario del lettino che fu del collega. [Doverosa riflessione: quando hai in rosa petali ammaccati, il mercato 'immobiliare' non conosce la parola crisi] Il caro benzina ha affossato il verde (Giovinco), troppo lussuoso per l'economia di squadra, rilanciando così il diesel romano, che ha grattugiato le resistenze del malcapitato pel di carota vichingo Riise e recapitato un delizioso bijoux alle spalle di Doni. La fiamma che incendiò Parma arde ancora. Con lei, la fiammella della speranza. Speranza che non si tratti di un semplice fuoco fatuo, buono solo per bruciare la pazienza dei tifosi, bensì l'epicentro di un incendio prossimo ad infiammare i cuori degli juventini. Ranieri versione pompiere permettendo.

sabato 2 agosto 2008

La TIMpesta (quasi) perfetta

Che seccatura 'sto calcio estivo. Andrebbe assunto a piccole dose, onde evitare assuefazione e conseguente depressione o euforia, eppure, in barba alle avvertenze, finisce puntualmente per incarognire l'onnivoro di calcio, che depone secchiello e paletta preferendo costruire castelli in aria, popolati ora da novelli fenomeni, ora da infime entità, spesso facce della stessa medaglia.
Il trofeo TIM, abituale antipasto tra nobildonne, non fa eccezione, e conferma la tendenza alla suggestione. Tutti pazzi per Fausto Rossi, talento certificato dal marchio di qualità Maicon, apparso ad onor del vero un caterpillar dal motore ingolfato causa lavori in corso. Nulla da eccepire sulle potenzialità dello sgusciante 17enne, ma da qui a farne un CR7 in provetta ce ne passa. E che dire dell'albino Ekdal, faccino da fotoromanzo, personalità da veterano e piedi educati, capace di estirpare, a tempo di record, i fantasmi di Xabi e Aquilani dall'orizzonte juventino. Per i due ragazzini si profila un'annata a bagnomaria tra prima squadra e Primavera, consentendo così loro di progredire al riparo da pressioni potenzialmente destabilizzanti. In attesa degli olimpionici De Ceglie, Giovinco e Marchisio, la meglio gioventù bianconera sprizza classe da tutti i pori.
Le buone novelle non si esauriscono però al teen spirit dei baby novizi. Marchionni, ad esempio. Dalla corsia destra del rettangolo verde a quelle d'ospedale e ritorno, dopo un biennio di latitanza. Ne piange la rinascita lo stordito Jankulovski. Durerà? Ai fisioterapisti l'ardua sentenza. Nel frattempo, muscoli di seta permettendo, ha piazzato, in vista del preliminare, un'ipoteca pesante sulla casella di ala sinistra lasciata incustodita dallo squalificato Nedved, tornato iradiddio per una sera di fronte al fischiatissimo ed arrancante Zambrotta.
Ancelotti avrà il suo bel daffare a registrare una retroguardia orfano di Nesta e retto, si fa per dire, dal mummifico Kaladze, giubilato in avvio da Trezeguet, rapace dall'umore ombroso e dal fiuto sempiterno. Se solo il killer instict fosse trasmissibile per osmosi, saremo a cavallo. Invece, il colpo di c...apo by Marchionni è vanificato dalla doppia saetta scagliata alle spalle di Buffon da Seedorf, al solito intollerante allo zebrato, con il beneplacito di un pacchetto arretrato allegro in occasione del bis nonchè ritratto sputato del panorama politico nazionale, ossia solido a destra e traballante sul versante opposto, presidiato dall'imballato Chiellini supportato sull'esterno dal volenteroso Molinaro. Il (fisio)logico rimescolamento delle carte avuto nel secondo minimatch ha rivelato la bontà delle, attuali, seconde linee difensive, guidate da un Legrottaglie capace di dissipare i dubbi sulla sua castità emersi dopo le incertezze nord europee. Il vituperatissimo Knezevic, strappato, dopo una vibrata singolar tenzone, nientepopodimenoche ai cugini granata, ha fatto la sua porca figura al cospetto di Adriano, purificato nel corpo e nella mente dalla cura paulista.
Morale della favola: meglio le presunte riserve dei titolari designati. Trend, questo, confermato in avanti, laddove il più in palla pare Iaquinta, habitué dei tabellini estivi e affatto rassegnato a far tappezzeria a chicchesia. Lo segue a ruota Amauri, collezionista suo malgrado di capocciate, messo ko al TIM da Vieira e irato dalla prudenza di Ranieri, 'colpevole' di averlo rimpiazzato con il poi decisivo Vincenzone. Detto dell''orso' Trezeguet uscito dal letargo, capitan Del Piero è tuttora impegnato a scrollarsi di dosso le scorie vacanziere, che inebetiscono le gambe ma risparmiano i piedi, capaci sempre e comunque di far sobbalzare la platea, pali permettendo. La gemma incastonatasi beffardamente su ambo i pali a Julio Cesar battuto resterà negli annali della competizione.
Nella sezione 'curiosità' rintracceremo senz'altro il riscaldamento di bojinoviana memoria dell'attesissimo Poulsen, figlio di un recente infortunio e padre del piccolo tour de force al quale è stato costretto la piovra arpiona-palloni Sissoko. L'esiguo minutaggio non consente di approfondire il giudizio sul biondino, che comunque aveva già provveduto a metter fiori nei cannoni puntatigli contro dalla critica più oltranzista con un assist al bacio per Iaquinta in quel di Dortmund. Chi urlava al 'bidone' è servito, il dietrofront emozionale è tangibile.
La galleria degli orrori pullula invece di sinistri replay del penalty di Tiago, impietosa fotografia del soggiorno sabaudo del portoghese: indolente, moscio, triste. Coerente sino in fondo. E dire che l'accoglienza, giusto un annetto fa, fu trionfale, salvo passare tempo pochi mesi da un Tozzi (Umberto, la cui hit 'Ti amo' fu riadattata per l'occasione) all'altro (Federigo, autore de 'Tre croci', titolo che sinistramente rievoca le geste dei fratelli di sventura Almiron, Andrade e, per l'appunto, Tiago). Oggi, citando un altro successone del cantautore torinese, coadiuvato dai colleghi Morandi e Ruggeri, "
si può dare di più / perché e' dentro di noi / si può osare di più / senza essere eroi / come fare non so / non lo sai neanche tu / ma di certo si può /dare di più". Peccato solo sia troppo tardi.

lunedì 28 luglio 2008

E' solo Spagna

Ipotizzare, alle idi di luglio, un CSC in giallo a Parigi era quantomai legittimo, alla luce della scintillante classe di Andy Schleck, coadiuvato dal fratellone Frank e dallo stagionato Sastre. Appariva altresì pretestuoso immaginare quest'ultimo, al culmine di una vita da gregario, sfoggiare sugli Champs-Elysées il simbolo del primato. La cotta patita baby lussemburghese al battesimo pirenaico, unitamente alla sagacia tattica mostrata dallo stesso lungo i ventuno-tornanti-ventuno dell'Alpe d'Huez, hanno contribuito ad incoronare il 33enne di Madrid leader maximo della corsa, forte di una condizione spumeggiante che gli ha consentito di domare in solitaria la mitica ascesa alpina. L'ultima crono, conclusasi a Saint-Amand-Motrond, pareva però il beffardo epitaffio dei sogni di gloria coltivati dal grimpeur spagnolo, incalzato dallo specialista Evans. In barba alle previsioni, si è trasformata nella scenografia di un successo insperato, epilogo ideale d'una guerra di cervelli, muscoli e nervi che lo ha visto prevalere con pieno merito.
Al termine di tre settimane avide di spettacolo 'pulito' (precisazione doverosa, come è doveroso rivedere gli sperticati elogi profusi dai più verso Riccò e i suoi compagni), ha vinto l'unico ardito, a corollario di un anno fin qui propizio ai sudditi di Juan Carlos, protagonisti ad ogni latitudine nei più disparati campi dello scibile sportivo. Il ciclismo, per l'appunto, non fa eccezione: sul fronte grandi giri, in attesa di giocare in casa, i due vessilli più preziosi sono finiti a Madrid (il rosa a casa Contador, già in giallo a Parigi dodici mesi fa); nelle classiche del nord hanno furoreggiato Oscarito Freire, vincitore a Wegelvem, e Alejandro Valverde, che ha piazzato il bis alla Liegi. Il primo esce
dalla Grand Boucle col sorriso sulle labbra e la maglia verde addosso, il secondo ha dilapidato minuti a cronometro, al pari del maggiore degli Schleck, e pagato dazio sull'ascesa di Hautacam, dovendosi così accontentare di un mesto piazzamento nei 10. La prima scalata ha mietuto altre vittime illustri, da quell'Andy Schleck poi riciclatosi in formidabile apripista per le stoccate dei capitani al nostro Damiano Cunego, impresentabile, ahimè, a certi livelli. I passi in avanti nelle corse contro il tempo sono stati vanificati da continue difficoltà in salita, dovute forse ad un eccessivo potenzialmente muscolare teso a limare secondi nelle crono. Incoraggianti gli squarci nel buio della spedizione azzurra offerti dal coraggioso Nibali, giovane punta di diamante del movimento nostrano e prossimo, si spera, al definitivo salto di qualità, magari favorito dallo stimolante confronto con il baby ceco Kreuziger e dai consigli degli esperti Basso e Di Luca, in Liquigas dal 2009.
Le sorprese, in un senso come nell'altro, non sono certo mancate. Forse nemmeno i familiari di Bernard Kohl, maglia a pois e clamoroso bronzo finale, avrebbero scommesso sul piccolo spazzacamino viennese, specializzato in arrampicate ma autore di un'eroica difesa nella crono finale, vinta, al pari della precedente, da uno stratosferico Schumacher. Senza cadute ed ingenuità, il terzo gradino del podio se lo sarebbero giocato il russo Menchov, ingenua vittima di un classico 'ventaglio' nell'interlocutoria tappa di Nantes e caduto in discesa nella frazione di Prato Nevoso, e l'ex 'postino' di Armstrong Vandevelde, finito anch'egli a terra sulle Alpi. Nella top ten, da segnalare la presenza dei tignosissimi Samuel Sanchez (7°), Kirchen (8°) e Valjavec (10°).
Un capitolo a parte lo meriterebbe Cadel Evans, l'eterno piazzato, sinonimo di sconfitto, delle due ruote. Dopo aver preso la paga, per una questione di secondi, da Contador un annetto fa, stavolta è riuscito a rosicchiare mezzo minuto scarso ad uno scalatore puro come Sastre in 53 km pianeggianti, roba da esaurimento nervoso. La sua velatamente triste storia da controcopertina fa passare in secondo piano capitoli importanti, come i quattro scritti da Mark Cavendish, presente e futuro delle volate e avanguardia dell'emergente movimento inglese; oppure la rivincita di Chavanel, finalmente vincente dopo tanti tentativi a vuoto. La copertina, però, se la spartiscono Sastre e l'agenzia antidoping francese, capace di sgamare i furbetti 'armati' di eritropietina di nuova generazione. In corsa, di furbi, ce ne sono. E forse anche in ammiraglia. Semplice constatazione, sia chiaro, dettata, tra le altre, dall'Operation Puerto, che ha costretto a giusto stop i vari Basso, Scarponi, Ullrich e pochi altri, risparmiando il gotha del ciclismo spagnolo che, pare, fosse invischiato nell'affare. Non Sastre, magari nemmeno Contador, sfiorato dalle indagini preliminari ma ben presto uscitone senza macchia, ma quel 'Valv-piti' qualche sospettuccio lo addensa sul capo di Valv-erde. A mero titolo informativo, Piti è il nome del suo cane, esattamente come Birillo, nomignolo utilizzato per identificare il già citato Basso, è il quattrozampe dell'ex CSC.
A proposito di CSC: il team danese, diretto dal 'reo confesso del doping' Bjarne Riis, ha annichilito la concorrenza, grazie a gregari poderosi, su tutti Cancellara, Gustov e Voigt, ai quali si è poi aggiunto Schleck jr., al servizio dei capitani. A differenza del Giro, dal percorso più tortuoso ma storicamente ignorato da molti pesi massimi (quest'anno l'eccezione), in terra di Francia le difficoltà derivano dall'approccio assai più aggressivo impostato dalle squadre meglio attrezzate, capaci di inasprire il più anonimo dei cavalcavia. Al resto, stavolta, c'ha pensato Sastre, con la sua 'gamba' supportata da un'invidiabile calma olimpica. E da un pensiero, rivolto al cielo, rivolto al cognato Josè Maria Jimenez, eccezionale scalatore morto suicida nel 2001, divorato dalla depressione. Questo successo, il 6° in undici anni di professionismo, è tutto per lui.

domenica 27 luglio 2008

I (presunti) turbamenti del 'vecchio' David

Puntuale come le repliche de 'La signora in giallo', ogni estate rispunta sotto l'ombrellone il tormentone Trezeguet, croce dei tifosi, delizia dei giornalisti sportivi. La nuova onta da lavare sarebbe la concorrenza di Amauri, seria minaccia alla sua titolarità indiscussa. A spezzare l'idillio tra Madama ed il suo principe del gol può provvedere il solito Barcellona, suo spasimante incallito incapace però di prodursi in avances convincenti.
I blaugrana, sbolognato Ronaldinho ed in attesa di fare altrettanto con Eto'o, sono alla spasmodica ricerca di un nuovo ariete. La Juventus, forte di un contratto in essere sino al 2011, chiede 25 milioni sull'unghia, ingolosita dall'ipotetico incasso ma al contempo dubbiosa sulla valenza tecnica dell'operazione. A far pendere la bilancia in direzione Catalogna provvederebbe il malcontento del ragazzo, non nuovo a propositi d'addio. Fresco è il ricordo della plateale sceneggiata adesca-consensi a mo' di congedo da cadetteria e squadra e, a corredo, le pepate dichiarazioni rilasciate nel post Juve - Spezia, roba di un annetto fa. Dalla frattura insanabile all'amore eterno il passo è breve, giusto il tempo per la società di ritoccare la proposta e per il campione di apporre la firma sul nuovo contratto e di snocciolare il clichè del perfetto innamorato.
Citando una celebre pellicola di Verdone, 'l'amore è eterno finchè dura', dunque mai dire mai. Nel dubbio, i media ci sguazzano, e fu così che la celata insofferenza divenne trattativa in corso. Difficile, però, che Laporta sganci i quattrini richiesti, cosicchè, salvo improbabili inserimenti last minute, il giustiziere azzurro ad Euro 2000 potrà rimpinguare sensibilmente il proprio bottino di gol all'ombra della Mole, Amauri e umore permettendo. I primi test probanti hanno difatti evidenziato una preoccupante, ma rimediabile, contiguità tra i due centravanti, inclini a battere le stesse piste alla ricerca del gol, trovato con una certa facilità dalle punte, teoricamente, di scorta. Essì, perchè pure Iaquinta è partito di slancio, depositando due bijoux alle spalle di Weidenfeller
in quel di Dortmund.
La coppia d'oro è avvertita. Se Del Piero c'ha fatto il callo, tra concorrenti più (Ibrahimovic) o meno (Miccoli) accreditati, e delega le risposte del caso, storicamente positive, al campo, il bomber francese ha goduto a lungo dello status d'intoccabile grazie a peculiarità non rintracciabili nei compagni, eccetto in quell'Inzaghi che lo costrinse a mesi d'anticamera prima d'infortunarsi e cambiar casacca. Il mercato ha servito su un piatto d'argento la sfida più affascinante: saggiare la consistenza dell'ex idolo del Barbera, potenziale campione in irresistibile ascesa. Lungi dall'esser un classico finalizzatore, l'epigono di Ibra coniuga classe, potenza e killer instict, alla faccia di chi, scorrendo a ritroso i suoi numeri, lo etichetta come 'stitico' in zona gol, ignorando ad esempio i quindici sigilli dell'ultima annata in rosanero. La sua presenza non esclude quella del 17, ma la pone quantomai 'sub-judice', ed il giudice in questione è ovviamente Ranieri. D'altronde, fossilizzarsi su un tandem con questo popò d'attacco sarebbe delittuoso, con buona pace di chi in coppia ha scritto gloriose pagine di storia del club.
Il ventilato malumore di Re David, pur umanamente comprensibile, farebbe a pugni con il buon senso, che impone di digerire il turnover, dogma inattaccabile quando lotti su tre fronti, dividi il reparto con fior di calciatori e hai abituato il pubblico a pause 'celentaniane' (puntualmente spezzate dal ritorno al gol). Buttare un occhio fuori dal proprio orticello aiutarebbe a schiarire le idee: nessun club d'alto lignaggio è disposto a garantirgli una maglia da titolare accompagnata da un congruo ingaggio. Hai voluto la bicicletta? Ora pedala, di buona lena e in compagnia, altrimenti, bando al palmares, i novizi non perdonano.

sabato 26 luglio 2008

CALENDARIO JUVENTUS SERIE A 2008/2009

1° Fiorentina - JUVENTUS
2° JUVENTUS - Udinese
3° Cagliari - JUVENTUS
4° JUVENTUS - Catania
5° Sampdoria - JUVENTUS
6° JUVENTUS - Palermo
7° Napoli - JUVENTUS
8° JUVENTUS - Torino
9° Bologna - JUVENTUS
10° JUVENTUS - Roma
11° Chievo - JUVENTUS
12° JUVENTUS - Genoa
13° Inter - JUVENTUS
14° JUVENTUS - Reggina
15° Lecce - JUVENTUS
16° JUVENTUS - Milan
17° Atalanta - JUVENTUS
18° JUVENTUS - Siena
19° Lazio - JUVENTUS

Inizio: 31 agosto
Fine: 31 maggio

venerdì 25 luglio 2008

A.A.A. cercasi qualità

Gli assenti, veri o presunti che siano, spesso fanno più notizia dei presenti. Non fa eccezione la qualità, il cui allontanamento dal cuore del centrocampo bianconero grida vendetta. Dalla verità supposta Xabi alla supposta vera e propria Poulsen, il passo è breve e doloroso.
Armati di orgoglio e pregiudizio, di pazienza e Prozac, i tifosi juventini assistono impotenti alla riedizione, seppur meno cruda e comprensiva di eccezioni, del teatro degli orrori già in onda un annetto fa, i cui primattori sono tuttora in gruppo. O in infermeria, vedi Andrade, habitué dei bollettini medici fresco di ricaduta, tanto da scongiurare velleità di recupero o rottamazione. Obiettivo, quest'ultimo, perseguibile per il duo angoscia Almiron&Tiago, 'piallato' dal peso della maglia e da avversari incarogniti e motivatissimi a vender cara la pelle. Il credito di cui gode il portoghese tra compagni e, parte dei, supporters è uno dei misteri del Vangelo secondo Cobolli, prossimo allo scioglimento a fronte dell'addio del fu 'Ti-ago ti amo', destinazione Madrid sponda Atletico. Deo agimus gratias. Il suo emulo pelato può aspirare ad una sistemazione provvisoria in provincia (Fiorentina o Sampdoria) o in periferia (Grecia). Comunque vada, sarà un'insuccesso, che tradotto in gergo fiscale vuol dire minusvalenza.
Rinfoderato il fioretto, è il momento di brandire la spada, se non la clava. In tal senso, l'ingaggio di Poulsen è un manifesto alle intenzioni, con annesso processo alle stesse da parte delle vedove di Alonso, e non solo. Il garante Ranieri rigetta piccato i ricorsi, consapevole di giocarsi una fetta considerevole di credibilità, già intaccata dai poco incoraggianti precedenti, e sbandiera la superiorità, figlia dell'esperienza, del neo-acquisto rispetto all'idolo delle folle Sissoko, altra (pardon, unica) scommessa vinta tra lo scetticismo, presto evoluto in amore, generale.
Chi, suo malgrado, ha convissuto con gli scettici sin da bambino è Seba Giovinco, fantasista bonsai, giovane 'piromane' capace d'infiammare il pubblico con un elementare, per lui, cambio di passo. L'ambiente alterna acqua e benzina onde evitare bruciature pericolose, nella piena consapevolezza di poter sfoggiare un gioiellino anomalo e assai prezioso. Dopo la vetrina toscana, ecco quella olimpica, in attesa di esporlo, bardato di bianconero, all'Olimpico di Torino, con sommo gaudio del pubblico di casa. Constatata la ruggine del declinante Nedved, è la Formica Atomica la chiave d'innesco ideale per le punte, indipercui si raccomanda di attenersi alle seguenti avvertenze d'uso: costringerlo a fare avanti e indietro lungo l'out di sinistra è un crimine contro lo spettacolo; è altresì opportuno lasciarlo libero come una libellula sul prato, per il bene di tutti, avversari esclusi.
A fargli da scudiero, in quel di Pechino, ci sarà Claudio Marchisio, compagno di mille avventure cresciuto a pane e Juve. Fiore sbocciato nel letame della cadetteria e poi testato con successo, in provincia, assieme al fantasista mignon, si appresta a reindossare la propria seconda pelle a strisce bianconere. Seppur incarni il prototipo del centrocampista moderno, è stato spesso omesso dai vaticini juventini in luogo di ipotetiche stelle mai apparse nel cielo di Torino. Destino infausto, il suo, condiviso dal sottostimato Zanetti, collante fondamentale tra difesa e attacco nella stagione passata con motivati propositi di bis. Come da copione abusato, ci si innamora della strafiga insipida, si dilegga l'Ugly Betty tutta sostanza ed, infine, si torna tra le braccia della vecchia fiamma. Morale della favola? La bellezza c'è, non necessariamente in superficie, ma c'è, tutto sta nel saperla trovare e valorizzare. A buon intenditor...

domenica 20 luglio 2008

Chiuso per sdegno

Non c'è pace per la Grand Boucle. Una provetta, e il nuovo che avanza diventa male da estirpare. Riccardo Riccò, giovane grimpeur di Formigine, è stato pizzicato dall'inflessibile Agenzia antidoping francese grazie ad un controllo effettuato l'8 luglio, subito dopo la crono individuale di Cholet, che lo ha visto chiudere in ritardo siderale rispetto agli altri big. Pur professandosi innocente e meditando battaglia, la Saunier Duval gli ha dato il benservito, al pari del fido gregario Piepoli, quest'ultimo colpevole di risposte elusive sullo scottante argomento. Voci non confermate parlano di altre due positività in seno al team franco-spagnolo, e i sospetti vertono sul 'trullo volante' e su Cobo, la coppia d'arrampicatori capace di domare l'Hautacam.
L'effetto domino sarà presumibilmente sconquassante: come se non bastasse l'immediato ritiro dalla corsa, è lecito ipotizzare un ritiro della sponsorizzazione, fresca di rinnovo sino al 2013 (ossigeno puro di questi tempi), a fine stagione. Venissero confermati i due casi di cui sopra, poi, l'ombra del doping di squadra s'allungherebbe su Gianetti e soci, e al danno s'aggiungerebbe la beffa di una sacrosanta citazione in giudizio per gli incalcolabili danni d'immagine arrecati al main sponsor. In attesa di effettuare le controanalisi, Riccò è stato rilasciato dalle autorità francesi dopo una notte in gattabuia e un interrogatorio-fiume. L'inesorabile legge francese in materia punisce la detenzione di sostanze dopanti con il carcere, ma nella camera d'albergo del campioncino modenese sarebbero state rinvenute solo flebo e siringhe.
Aveva toccato il cielo con un dito, il Riccò, ma come Icaro ha osato troppo e c'ha rimesso non le penne, ma senz'altro la faccia. Carattere fumantino e lingua biforcuta gli hanno attirato l'inimicizia del gruppo, e, unitamente ad una classe innata ed istintiva, la simpatia di un pubblico disilluso dalla caduta degli Dei travolti da Operation Puerto e affini. La scintilla era scoccata sulle strade del Giro, dove i suoi scatti hanno incendiato corsa e cuori, salvo doversi accontentare di complimenti e seconda piazza, alle spalle del conquistadores Alberto Contador da Madrid.
E' scivolato sulla Cera, il Riccò. Eritropoietina di nuova generazione, avente un effetto prolungato nel tempo. Due iniezioni, et voilà, per un mese buono sei a posto. Almeno finchè non incroci l'efficientissima macchina 'stronca-furbetti' messa a punto dai cugini d'Oltralpe. A quel punto, sei sistemato per le feste. Addio sogni di gloria, le porte del baratro ti si spalancano davanti, il Paradiso può attendere, forse per sempre.
E dire che il ragazzo aveva avuto il suo bel daffare, sin da dilettante, con l'antidoping, causa livello di ematocrito alto per natura. Una sorta d'invito alla prudenza, rimasto a quanto pare inascoltato, al pari di illustri precedenti, del pugno di ferro minacciato e applicato dagli organizzatori dei grandi giri e del tanto vituperato codice etico. Inutile interrogarsi sui perchè di cotanta disonestà, su cosa possa spingere, ad esempio, un 37enne in disarmo come Manuel Beltran, ex 'postino' di Armstrong, un contratto, quasi, al minimo sindacale, prolungato a mo' di premio-carriera, tutto da perdere (stima consolidata in anni di onesto gregariato) e nulla da guadagnare (suvvia, nemmeno campasse a pane ed Epo potrebbe insidiare i big), a ricorrere a pratiche illecite.
Alla fin fine, forse, è meglio così. E' facile pensare come nelle maglie della rete, una volta catturato il pesce più pregiato, resteranno impigliati svariati pesciolini, dando così il via all'atteso repulisti generale. Riccò è uno dei tanti, i panni dell'unico diavolo in un oceano di verginelle non gli si addice. E' arrivato il momento di dare un volto e un nome a quei tanti, altrimenti il cartello 'lavori in corso' andrà sostituito con un più calzante 'chiuso per sdegno', perchè ormai il vaso è colmo, e l'amore è cieco, non scemo.

sabato 19 luglio 2008

Camaleonte solido e solidi dubbi

Quanti indizi costituiscano una prova è materia opinabile, ma ormai non v'è dubbio che questa Juve ha sufficienti scorte di fantasia, almeno in cabina di comando. Dopo il 'quadridente' di Cobolli Gigli, ecco a voi il 'camaleonte solido' di Ranieri, fugace affresco d'una Juve dai contorni incerti, stante la spasmodica ricerca di un mediano dal profilo ambiguo, individuato infine nel sirenetto danese Poulsen.
Ad esser camaleontico è senza dubbio il progetto (?) tecnico-tattico di Tinkerman, la cui genesi è stata tormentata assai sin dal suo insediamento. La doppia iniezione di qualità operata un anno or sono con gli innesti di Almiron e Tiago ha avuto lo spiacevole effetto di un anestetico, cosicchè si è tornati ben presto all'abitudinario 'viva il parroco' di capelliana memoria. Memore di codesto fallimento, Claudione nostro ha privilegiato la continuità (leggasi: quantità) cooptando l'alter ego ariano, meno fisico e più celebrale, di Sissoko, alla faccia di Xabi, sedotto e abbandonato ad un passo dall'altare. Tale scelta affonda le proprie radici nel terreno riarso della mediana bianconera, laddove i salici piangenti importati da Empoli e Lione non hanno attecchito. Onde evitare pericolosi tentativi d'imitazione, la qualità è stata bandita dal cerchio di centrocampo e costretta a cercar rifugio lungo le corsie laterali, con buona pace delle vedove di Alonso.
Verrebbe da chiedersi ordunque perchè quest'ultimo sia stato a lungo corteggiato, ma tale quesito è destinato a rimanere inevaso. Le riserve su passo e funzionalità sono legittime: il basco è una chiave importante, ma apre solo determinate porte. La sua capacità di verticalizzare mal si concilia con l'assenza di giocatori, eccetto la riserva Iaquinta, abili nell'aggredire la profondità. Poulsen, invece, è una forcina per capelli, buona per tutte le serrature/occasioni, pur privilegiando talvolta vie oblique (fallo sistematico e/o provocazioni) per conseguire l'obiettivo. La strada maestra per spalancare portoni blindati e al contempo serrare le fila a difesa del proprio fortino, rappresentata da uno sfizioso passe partout
come Veloso, anima dello Sporting Lisbona, è stata battuta con scarsa convinzione e presto abbandonata, come se abbinare le due fasi di gioco fosse un peccato anzichè un pregio al cospetto di geometri e taglialegna. Salva(guarda)te gli Zanetti, specie in via d'estinzione.
Il cocktail di sentimenti servito a Pinzolo prevede fisiologico entusiasmo shakerato con malessere e preoccupazione, lascito inevitabile di un progetto orientato dal mercato quando il manuale del buon manager sportivo recita l'esatto contrario. Sulla scia di cotanta delusione, l'ex Siviglia è stato ingenerosamente definito un 'bidone'. Attenzione. Siamo di fronte ad un bel mastino, discretamente abile nel breve, meno nel pezzo forte di casa Xabi, ovvero il cambio di gioco. Non se ne sentiva al bisogno, ma alla fin fine non ci si sputa, al contrario di Totti, che con quell'eccesso di salivazione gli appiccicò l'ingenerosa etichetta di provocatore, alimentata da successivi screzi con Gattuso e, udite udite, il pacato Kakà. Le previsioni del tempo prevedono piogge di fischi all'indirizzo del biondino in quel di Roma e Milano. Poco male, ciò che non uccide fortifica.
I processi alle intenzioni lasciamoli agli sputasentenze-tiratori-scelti di professione. La miglior cura al tafazzismo imperante è il campo, terreno privilegiato per convertire il popolo juventino al verbo randellare, sulla scia di Momo Sissoko.
Che lo spirito del camaleonte solido sia con te, guerriero Christian.

venerdì 4 luglio 2008

Il Grande Tranello

Orfani di 'The Militos', nostalgici di 'Amauriful', calma e gesso, la Coboll&Gigli SpA sta lavorando per voi. Dopo una gestazione durata mesi e scandita da ballottaggi, dietrofront, liti e provini più o meno fruttuosi, siamo ormai prossimi al parto. L'incoronazione del vincitore, inizialmente prevista entro il 4 luglio, è stata procrastinata a data da destinarsi, ma secondo i bene informati non scivolerà oltre metà mese.
Primo obiettivo: riscattare il flop della prima edizione. I trionfatori Almiron e Tiago, una volta sbaragliata la concorrenza, capeggiata dal teutonico Frings, hanno familiarizzato con la signorina Gloria Effimera e sono già al passo d'addio. Farli rimpiangere, oggettivamente, travalica i limiti dello scibile umano.
L'occhio vigile del Grande Fratello monitore vita, morte (tiè!) e miracoli dei 'sopravvissuti' alle scremature che hanno progressivamente assottigliato i petali della rosa di candidati al ruolo di mediano.
Le epurazioni eccellenti sono state inaugurate ad inizio anno, e rispondono ai nomi di Diego e Van der Vaart, animatori della Bundesliga con le maglie, rispettivamente, di Werder Brema e Amburgo.
Troppo trequartista il primo, troppo seconda punta il secondo, troppo costosi entrambi. Il primo caso certificato di corna è rappresentato dal tradimento di Ever Banega, promesso sposo di Madama, salvo preferirle l'instabile Valencia e... il sesso virtuale. Il meccanismo dei ripescaggi lo ha privilegiato, ma il gap che lo separa dal duo di testa è difficilmente colmabile.
La palma di favorito è affare (quasi) esclusivo tra Xabi e Aquilani. La singolar tenzone, ad oggi, non conosce nè vincitori, nè vinti, e anzi la preferenza popolare adotta le targhe alterne. Il trionfo europeo ha rilanciato in grande stile le quotazioni del basco, non abbastanza da risparmiargli l'implacabile mannaia delle nomination, decise, al contrario del format originale, direttamente dalla casa di produzione. L'appunto mosso al regista dal piede telecomandato è relativo al suo lavorare con lentezza: ecco spiegati i frequenti rinvii subiti dall'ultimo atto, roba da far impallidire Axl Rose e l'ormai leggendario 'Chinese Democracy'.
Se lo spagnolo non ride, gli avversari piangono. Il 23enne architetto romano ha dato inequivocabili segnali di continuità sui generis in terra austro-svizzera. Spettatore non pagante nella fase a gironi, ad eccezione della passerella-test contro una Francia in disarmo, idem con patate, bollenti, al cospetto della Spagna ai quarti. Unica, sostanziale, differenza: a Vienna, sotto gli occhi del rivale, era, si dice, in campo. Pur potendo vantare la sponsorizzazione del finanziatore dello show John Elkann, il feeling con fisioterapisti, infermieri e corsie d'ospedale e la ritrosia di sora Rossella a lasciarlo partire ne indeboliscono la posizione.
Seppur decaduta, per bocca di uno degli organizzatori, Blanc, l'ipotesi della doppia investitura, c'è spazio per gli outsider. Il falegname danese Poulsen, il cui profilo non collima con l'identikit tracciato dai tifosi, e l'indossatore (di scudetti altrui) Stankovic, osteggiato dal pubblico causa presente e passato a strisce nerazzurre, guidano l'esercito di alternative, che annovera, tra gli altri, i defilati, sulla sinistra, Drenthe e Schwainsteiger. E' notizia di giornata la possibile dipartita del geometra Cigarini verso altri lidi. Ne danno il gaudente (ma prematuro?) annuncio i vertici della Dea bergamasca. Non fiori, ma soldi possibilmente per Alonso. Altro eliminato, il generale del Sottomarino Giallo Senna, fresco di rinnovo. La selezione naturale, insomma, agevola le scelte.
Da definire il peso da assegnare al volere popolare, foriero di scelte opinabili sin dai tempi di Gesù e Barabba. Nel dubbio, l'onere della scelta potrebbe ricadere tutto sulle spalle ammaccate di Secco, uno che di decisioni discutibili se ne intende, vedi i tristemente noti vincitori della precedente edizione.
Serpeggiano malcontento, preoccupazione e paura, ora che la resa dei conti s'avvicina a grandi falcate. Ne resterà solo uno, sperando sia quello giusto. Occhio al Grande Tranello.

giovedì 3 luglio 2008

La Corrida (dilettanti allo sbaraglio)

Tifosi vs società 1 a 1, palla al centro. A Bergamo, nemmeno immondizia (recapitata al domicilio sbagliato...), slogan e volantini hanno compromesso il ritorno del figliol prodigo Vieri; al contrario, all'ombra della Mole è bastata l'offensiva degli internauti bianconeri per annichilire le certezze della dirigenza su Stankovic, tacciato d'infamia e mercenarismo causa firma facile e lingua biforcuta con cervello in modalità off. La figura dei peracottai è ad esclusivo appannaggio dei potentati di Corso Galfer, nessuno come loro nel concedere potestà decisionale al popolo bue. Sempre che l'unico moto contrario al cocco di Mancini sia rappresentato dal malcontento di piazza.
Dopo la protesta, a montare sono le perplessità.
Le linee guida del mercato sembrano tracciate con l'inchiostro simpatico, in ossequio all'imprinting del nuovo corso. A guardar bene, le affinità tra i candidati alla mediana esulano dalla specializzazione, esaurendosi alla professione, sintomo questo di strategia fallace. Le idee chiare sono prerogativa della tifoseria, che, armata di mouse e tastiera, spinge compatta in direzione Xabi Alonso, finito sotto il fuoco incrociato delle petizioni promosse dai forum juventini e reds. L'Europeo ha smosso le coscienze e orientato le preferenze verso il metronomo spagnolo dalle geometrie ammalianti, in stridente contrasto con il timidissimo scolaretto Aquilani, potenziale personaggio ancora in cerca d'autore. Se pensate che la forbice tra le specifiche tecniche dei due sia troppo ampia per giustificare un ballottaggio, sobbalzerete sulla sedia a leggere il nome del cagnaccio danese Poulsen, laureato ad honorem in provocazione, tra i papabili ad un posto in mediana.
Un basco, un romano e uno scandinavo: sembra, o forse è, l'anticamera di una barzelletta, dal retrogusto amarognolo. Secco tiene saggiamente il piede in più scarpe, peccato passi con disinvoltura dal sandalo allo stivale rischiando seriamente di presentarsi scalzo al raduno di domani.
A proposito di calzature, come non citare 'infradito' Legrottaglie, che, una volta appeso il gingillo al metaforico chiodo ed imboccato il tunnel della redenzione, ha riconquistato la platea atterrita dalle gaffes dello zarro mechato che fu. Onde evitare ricadute pericolose, un nuovo ministro della difesa sarebbe cosa assai gradita. In assenza di (improbabili) 'rimpasti di governo', Ranieri sarà chiamato a fare le nozze con i fichi secchi Andrade, Knezevic e Mellberg, pregando che la salute assista la triade di santi protettori delle coronarie bianconere, Gigi, Giorgio e Nicola.
In attesa di risfoderare rosari e santini, bando alle tante, troppe, ciance l'ora X s'avvicina, il raduno, senza i reduci dall'europeo, è alle porte. I baby De Ceglie, Marchisio e, rullo di tamburi, Giovinco, precettati da Casiraghi per un sogno chiamato Pechino, faranno giusto una toccata e fuga, viceversa Iaquinta e Trezeguet, ricusate le sirene napoletane e catalane, inizieranno ad affilare le armi per contenere l'ascesa di Amauri ed il ritorno di 'Achille' Del Piero.
E se mai in seno alla dirigenza optassero per il, ventilato, sacrificio del cicognone calabrese, non disperate: una raccolta firme e passa la paura.

lunedì 30 giugno 2008

Arriba Espana!

"Il calcio è un gioco molto semplice: 22 uomini rincorrono un pallone per 90 minuti e, alla fine, vincono i tedeschi". Così parlo Sir Gary Lineker, che evidentemente aveva fatto i conti senza l'oste (Torres) e l'usciere (Lahm).
Una delle leggi non scritte dello statuto calcistico è il puntuale afflosciarsi della baldanzosa Spagna ogni qual volta la disputa s'inasprisce ed entra nel vivo. Chi si esalta nella battaglia è la quadrata, ma che dico quadrata, cubica Germania, esercito di mufloni avvezzi al randello ma terribilmente pratici. A sorpresa, ma nemmeno tanto, stavolta ha trionfato l'istrionismo anarchico iberico sul raziocinio teutonico.
Aragones ha saputo trasformare un talentuosissimo ma lunatico melting pot di solisti in un coro d'usignoli. Ha individuato nel 32enne Senna il contrappunto ideale per ovviare alla sperequata distribuzione di qualità tra difesa e centrocampo-attacco. Non pago dell'epurazione di Raul, ha costretto Fabregas e Xabi Alonso, mica due pincopallini qualsiasi, alla panchina, litigato con il viveur Ramos e avvicendato senza pietà la stella Torres con Guiza, il Borriello andaluso, da tronista mancato a Pichici tempo un anno. A differenza dell'azzurro, che ha assaggiato l'erba austrosvizzera solo in allenamento, "l'arciere" del Maiorca è riuscito ad infilare due frecce alle spalle di Nikopolidis e Akinfeev. Chi non risica non rosica, caro Donadoni.
L'atto finale, però, non è terreno per carneadi. E' El Nino la stella più splendente della magica notte viennese. Sua la firma in calce su un successo atteso 44 anni. Su imbeccata col contagiri del monumentale Xavi, ha sverniciato Lahm, recapitando il gentile invito in fondo al sacco e la coppa tra le mani sicure di capitan Casillas. Uscito dal cono d'ombra dello scatenato Villa, infortunato, si è reimpossessato della ribalta e ha esorcizzato il fantasma del flop, collettivo ed individuale. Proprio il ko del cannoniere asturiano ha costretto Don Luis (emulo di Lippi, vittoria e addio) a rimodellare l'undici su un elastico 4-1-4-1, illuminato dalla sontuosa regia di Xavi ma parzialmente tradito da un Fabregas limitatosi al compitino.
Poco male, al cospetto di una Germania ingolfata basta e avanza.
Il killer instict di Torres è convolato a giuste nozze con l'esasperante lentezza dei centrali tedeschi e la lacunosa fase difensiva di Lahm, per la gioia di Re Juan Carlos e signora grondanti entusiasmo in tribuna d'onore. Il simbolo del ko è, però, Michael Ballack, perdente di successo, latitante sul più bello.
Il novero degli assenti ingiustificati annovera in prima fila i leoncini Podolski e Schweinsteiger, tramutatisi in spauriti agnellini nelle grinfie degli assatanati avversari. L'ingresso delle pallottole spuntate Kuranyi e Gomez ha solo certificato la voragine qualitativa che separa le finaliste.
Il successo spagnolo darà presumibilmente il via alle riabilitazioni post-mortem (in ottica azzurra, of course) di Donadoni, la cui Italia è stata la sola nazionale capace di rintuzzare la verve delle Furie Rosse, salvo soccombere dal dischetto. Un alibi di ferro, se solo ad inquinare la scena del crimine non concorressero svariati indizi di colpevolezza, dal mancato impiego dal primo minuto di Camoranesi e Del Piero al tardivo ingresso di quest'ultimo, passando per l'ostinato ricorso agli sfibrati Perrotta e Toni. Spiacente, ritenti, sarà più fortunato. Anzi no. Il privilegio della caccia al bis mondiale spetterà a Lippi, che due anni fa regalò un sogno ai calciofili depressi causa Farsopoli. A dispetto della stella cucita sulla maglia azzurra, la palma di favoriti per Sudafrica 2010 spetta però ai neocampioni europei, forti di una nuova consapevolezza di sé e di una generazione di fenomeni che non ha eguali in Europa. Urgono facce nuove a Coverciano, altrimenti al prossimo incrocio basteranno 90 minuti per lasciarci le penne.

X(abi) Factor

Di quali ingredienti necessita un film di successo? Una sceneggiatura fluida ed ispirata, un manipolo d'attori talentuosi e funzionali, uno staff affiatato e capace, ma, soprattuto e sopra tutti, un regista che sovrintenda la produzione e 'animi' pensieri e parole. Le scelte preliminari spettano al produttore, da esse dipenderanno le fortune del prodotto. I quattrini in ballo scoraggiano gli improvvisatori di professioni e consigliano accurate e meditate elucubrazioni. Per intenderci, nessuno sano di mente delegherebbe a Dario Argento l'onere della trasposizione cinematografica dell'ultimo successo (sic!) di Federico Moccia.
I medesimi principi regolano l'allestimento di un team sportivo. A tal proposito, la casa di produzione Ranieri&Secco avrebbe deciso, stante le difficoltà d'agganciare Aquilani, di affidare le chiavi della squadra allo spagnolo Xabi Alonso, 27enne metronomo del Liverpool. Lo scotto dell'operazione Tiago è tale da suscitare improbabili parallelismi tra i due, accumunabili solo per il sangue latino. La 'lavatrice' portoghese darà saggio di abilità nel riciclo di palloni sporchi
alla corte di Aguirre, condottiero dell'Atletico Madrid. A Torino, ahimè, dell'elettrodomestico ha sfoggiato solo la mobilità.
Il volante di Tolosa non è un fulmine di guerra, ma sopperisce al passo da mezzofondista con uno spiccato senso della posizione, unitamente a geometrie ficcanti che ne fanno un playmaker coi fiocchi nonchè complemento ideale di Sissoko. Gode di un ampio parco estimatori, capeggiato paradossalmente dall'ex mentore Benitez, sentitosi tradito dal suo pupillo desideroso di assistere la moglie prossima al parto in vista del retour-match di San Siro contro l'Inter. Fisiologico logoramento dei rapporti ed esigenze tattiche e di bilancio hanno decretato il divorzio. Nessuno parli di bocciatura, please. Annovera, invece, tr
a i propri detrattori il procuratore di Senna, mediano del Villareal sedotto e abbandonato da Madama, che, ferito nell'orgoglio e nel portafoglio, ha teorizzato la superiorità del proprio assistito rispetto al basco. Ce ne faremo una ragione, a maggior ragione vista l'ovvia parzialità del soggetto e le differenti peculiarità dei due nazionali spagnoli.
Sgombrato l'orizzonte dai dubbi sul valore assoluto del calciatore, ne andrà testata l'affinità con la nuova creatura di Ranieri. Il principale merito da ascrivere alla sua gestione è
l'organizzazione della fase difensiva, fondata sul doppio mediano a protezione del pacchetto arretrato. Gli uomini deputati a far girar palla, Camoranesi, Del Piero e, in seconda battuta, Zanetti hanno assolto egregiamente al compito. Le loro mansioni andranno parzialmente riviste alla luce del nuovo innesto, che potrebbe addirittura costringere l'interno toscano alla panchina. Difficile ipotizzarli in coppia, con ai lati Mauro German e Nedved o Giovinco, a meno di una condizione scintillante: il conseguente sbilanciamento intaccherebbe i delicati equilibri dell'undici. Rischia di divenire imprescindibile l'erculeo Sissoko, assatanato procacciatore di palloni e caviglie. L'alternativa più plausibile è il ricorso al rombo, già abbozzato quest'anno nel vano tentativo di agevolare l'inserimento di Tiago.
Si va dunque verso un centrocampo di palleggiatori (Camoranesi, Xabi, forse il piccolo grande Sebastian), in controtendenza rispetto al recente passato. Attenzione, però: venuto meno il tradizionale 'muro' costituito dal doppio rubapalloni, come in occasione della presa di Roma sponda biancoceleste, sono emersi prepotentemente gli imbarazzi dei singoli. Ha ragione Caparezza, quando canta "il secondo album è sempre più difficile nella carriera di un'artista". Traduzione in gergo calcistico: rivelarsi è un conto, ripetersi un altro. Lo sa bene Legrottaglie, ormai aduso ai saliscendi professionali e chiamato, alla luce dell'uscita di un muratore per un geometra in mezzo al campo, quantomeno a confermarsi. Di investimenti nel settore neanche l'ombra, non ci resta che piangere. O pregare.
Funzionalità e qualità, tanto per cambiare, viaggiano su binari differenti. Spetterà al capotreno Ranieri farli congiungere. Non come Almiron e Tiago, avviatisi assieme lungo le rotaie della mediocrità. A meno di una settimana dal ritiro, però, la trattativa per Xabi staziona ancora su un binario morto e rischia addirittura di deragliare tra burocrazia ed incerto tergiversare. L'Inter-city Stankovic è in avaria a pochi chilometri da Torino: spunta l'ipotesi del sabotaggio ad opera di tifosi bianconeri memori di vecchie ruggini e scottati dal dietrofront del gennaio 2004. Per la serie, certi treni passano una sola volta nella vita. L'eurostar Aquilani, al contrario, non si è mai schiodato dalla stazione Termini, e difficilmente lo vedremo far capolinea a Porta Nuova, dove in molti agognano pure un ficcante pendolino per la corsia sinistra. A bocce ferme, con il ritiro alle porte, tempo qualche giorno ed il freschissimo campione europeo dovrebbe sbarcare all'ombra della Mole. Guai a perdere la coincidenza o a salire sul convoglio sbagliato. Ulteriori deviazioni e/o ritardi non saranno tollerati.

venerdì 27 giugno 2008

El bandolero Stanko

"...Bianco che abbraccia il nero...". Parole, tratte dall'inno ufficiale della Juventus, evocanti splendide immagini, in stridente contrasto con una realtà di tifo polarizzato tra moggiani e cobolliani, triste eco dell'uragano calciopoli.
Il tempo, anzichè sanare la rottura, ha ampliato la frattura tra i due poli, ancorati a posizioni inconciliabili e talvolta tranchant ma uniti dall'odio sportivo verso la seconda squadra di Milano.
A tal proposito, un senatore interista potrebbe, suo malgrado, di sancire la clamorosa tregua armata. Dejan Stankovic, cocco di Mancini inviso allo Special One, è pronto a convolare a nozze con la Vecchia Signora, dopo averla mollata sull'altare nel gennaio 2004 per sposare la causa nerazzurra. Memori di quel dietrofront e dei successivi strali polemici, i supporters bianconeri fanno fronte comune in opposizione a quest'iniezione 'd'onestà'.
Le perplessità degli juventini sono in primis di natura 'partigiana'. La massa aborrisce un signorotto marchiato d'interismo e promotore dell'integrità incarnata dal presidentissimo Moratti (sic!). Parimenti la sua ultima annata non è esattamente un inno alla gioia. Tormentato dai malanni fisici, il serbo ha recitato il ruolo di comparsa nella rincorsa allo scudetto, confermandosi allergico alle grandi sfide. Per farlo passare da scotto a bollito, però, ci vuole ben altro. Dodici mesi balordi non cancellano certo quanto di buono fatto in passato.
Nello scacchiere bianconero il serbo andrebbe ad occupare la mattonella presidiata per anni da Nedved, del quale fu avventurosamente designato erede in gioventù, colmando così il gap generazionale tra il nonno ceco e baby Giovinco senza adombrare il genietto bonsai. Non ha i tempi del metronomo, indipercui prosegue la caccia a Xabi Alonso, pur senza accantonare il sogno Aquilani. Il romanista scatta in pole position, incalzato dal basco, ma al momento i due procedono a rilento scortati dalla safety car causa "lavori in corso": rinnovo con la Maggica per il primo, europei per il secondo. Così parlò il CDA, che non ha intaccato la sensazione di un mercato random, viste le discrepanze tra i due candidati alla regia.

In attesa di sciogliere il ballottaggio, i potentati di Corso Galfer tenteranno di agganciare Dejan, forti di una serie di congiunture favorevoli post-Mancini. La volontà della mezzala di non espatriare, un ingaggio off limits per molti, passato (laziale) e presente (nerazzurro) a scongiurare salti della barricata: tutto fa brodo, tutti gli indizi conducono a Torino sponda Juve, per esclusione unica società possibilitata a versargli oltre 3 milioni annui. La forbice tra domanda e offerta resta ampia, ma i suddetti fattori inducono all'ottimismo. O al pessimismo, questione di punti di vista.
Quello della tifoseria, come detto, è lapalissiano. Difficilmente l'acredine riversata sulle pagine dei forum, in ebollizione, sfocerà in rivolta, ma intanto la protesta non violenta degli atalantini, armati solo di manifesti e slogan, contro il ritorno del figliol prodigo Vieri minaccia di fare proseliti. Il convalescente Secco dovrà travestirsi da Clark Gable/Rhett Butler ed infischiarsene dell'ostruzionismo della piazza. I tifosi facciano i tifosi, i dirigenti facciano i dirigenti. A sentenziare sarà il campo.
No ad operazioni col nemico, sì ad affari con chiunque. Cooptare 'Stanko' per 8 milioncini rientrebbe nel secondo novero. Il centrocampista appartiene al popolatissimo girone dei mercenari, banderuole opportuniste accecate dal vil denaro e complici di procuratori senza scrupoli. Tradotto: professionisti. Certe frasi infelici sono frutto di un carattere spigoloso che l'aria sabauda dovrà smorzare o almeno occultare. Se saprà canalizzare gli attributi all'interno del rettangolo verde, ne vedremo delle belle. Alla (brutta) faccia di Moratti. Alla faccia di Mourinho. Alla faccia dei franchi tiratori.

mercoledì 25 giugno 2008

Game Over

Missione fallita.
Il tabù Europeo, ormai quarantennale, non s'ha da sfatare, e l'eliminazione è di rigore, made in Spain.

Il CT
-
Un esercito di dita punta con fare accusatore Donadoni, incallito collezionista di topiche, vedi lo sconclusionato undici spremuto dall'Arancia Meccanica dell'amico Van Basten. L'inizio della fine, il canto del cigno intonato al cospetto del Cigno di Utrecht.
Le credenziali - esonerato da Spinelli e sponsorizzato dall'ex compagno d'avventura Albertini - gli son valse l'etichetta di 'raccomandato', o, nella migliore delle ipotesi, 'miracolato'. Altro punto a suo sfavore, l'inesperienza. Medesimo appunto mosso, tra gli altri, a Bilic, Klinsmann, Van Basten, poi osannati per risultati e/o impianto di gioco. C'est la vie. L'ex ala rossonera, dopo aver assaporato fugacemente il calice della vendetta e schivato la mannaia della critica oltranzista, ha pagato gli errori dal dischetto di De Rossi, inopinatamente relegato a tappezzeria all'esordio, e del pupillo Di Natale. Ah, il destino e le sue oblique vie...
Prima dell'estrema unzione sportiva impartita da Don Luis, il tecnico bergamasco era comunque riuscito a dissipare in tempi record il credito accumulato con la (sofferta) qualificazione. Le esclusioni di Sereni e Inzaghi, il drammatico esordio, la bacchetata a Buffon per le scuse post-disfatta alla nazione, l'intempestività di certi cambi in corso d'opera, la gestione globale delle risorse hanno lasciato interdetti i più. La sconfessione delle proprie scelte iniziali è indice di onestà intellettuale, ma anche, molto più semplicemente, d'errore. Chi è causa del suo mal pianga se stesso.

La fase difensiva - Anacronistico parlare solo di difesa, e di attacco, nel post-sacchismo: l'Arrighe inculcò nelle menti dell'Italia catenacciara il seme del calcio totale di cryffiana memoria. Dopo il doveroso cappello, s'impone una riflessione sul modus operandi del suo allievo Donadoni.
La scelta del centrocampo titolare al primo giro di valzer, per esempio. La fiducia riposta nel terzetto milanista, se estirpata dal contesto, avrebbe un suo perchè, vale a dire conoscenza reciproca e del sistema di gioco. Per inciso, però, il contesto recita involuzione e Coppa Uefa. Prevedibili conseguenze, mediana-telepass e ko secco. Ripescato De Rossi, strappato Pirlo dalle braccia di Morfeo, la qualificazione è cosa fatta, con il sigillo di San Buffon. Squalificato il regista rossonero, tutti a casa.
L'impenetrabile muro di Berlino è solo un dolce ricordo, soppiantato da un cartonato 'retto' all'esordio dal duo comico Barzagli&Materazzi. La svolta l'ha impartita un ex terzino, il gladiatorio Chiellini, spalleggiato dall'affidabile Panucci. Con la strana coppia nei paraggi, il solo Mutu, per gentile concessione di Zambrotta, ha impallinato Buffon.
La scelta di Perrotta trequartista si colloca proprio nell'ottica di salvaguardare i delicatissimi ed improvvisati equilibri azzurri. A farne le spese, ovviamente, la qualità, e Toni.


La fase offensiva - Zero. Sono i sigilli del panzer bavarese, e della squadra tutta su azione, con il beneplacito dello sbadato fischietto Ovrebo. Appesantito, goffo ed isolato, ha fatto indigestione di gol sbagliati. Unico sussulto, il magnifico aggancio volante su imbeccata di Pirlo che ha causato rigore ed espulsione di Abidal, annichilito la Francia e spianato la strada verso i quarti.
La sfilata di piedi buoni alternati alle sue dipendenze non ha mutato l'inerzia dell'Europeo di 'Tori'.
La pochezza del neofita Di Natale e le stecche di Camoranesi, tardivamente attestatosi su standard a lui consoni, e Del Piero hanno convinto Donadoni a calare l'asso Cassano. Il talento normalizzato ha smarrito in un sol colpo genio e sregolatezza, e le sue eleganti serpentine a distanza siderale dalla porta contro Francia e Spagna sono state regolarmente stroncate dal sistematico ricorso al fallo. Citando l'Avvocato, "più divertente che utile".
Il miglior suggeritore è risultato così, anche alla luce dell'altalena di Pirlo, Fabio Grosso, i cui cross sarebbero stati il grimaldello ideale per il miglior Toni. Surreale il percorso dell'italiano di Francia, bocciato al doppio esame da big con Inter e Lione, ma posseduto dallo spirito di Roberto Carlos in azzurro.
I compagni non ne hanno assecondato gli slanci, scompaginando un mosaico già disomogeneo di suo, tra centrocampisti intermittenti, penuria d'ali, sovrabbondanza di numeri 10 e punte spuntate. In un simile contesto, solo il fattore C può salvare dal rimpatrio anticipato.

Fattore C - 5 giugno 2008, -4 all'esordio. Prima seduta d'allenamento nel ritiro austriaco di Baden. E' in corso la classica partitella. Chiellini va a contrasto con Cannavaro, la cui caviglia sinistra, nella ricaduta, subisce una torsione innaturale. Lesione ai legamenti, addio Europei. La fortuna è cieca, la sfiga ci vede benissimo.
Puoi trionfare con un portiere qualsiasi o con un attacco anemico, ma senza il fattore C fai poca strada. Ne sa qualcosa l'Italia mondiale di Lippi, come candidamente ammesso dalla 'bocca della verità' Ringhio Gattuso. Superata piuttosto agevolmente la prima fase, imboccata la corsia privilegiata verso Dortmund (estromesse Australia, con un penalty regalato in odore di supplementari, e la modesta Ucraina) e fatti fuori gli idoli locali privi del perno Frings con un magnifico uno-due siglato a tempo, supplementare, quasi scaduto, la coppa ha preso la via di Roma grazie alla testata di Zidane prima e dagli undici metri poi. La stessa distanza fatale a Donadoni e che, ancora una volta, arride al Marcello, ormai prossimo al bis in azzurro.

P.S.: breve, ma doverosa, divagazione.
Volgendo lo sguardo verso Parigi, si scorge un altro signore brizzolato sulla graticola. Magra, anoressica consolazione. Il burbero Raymond Domenech, pregiudicato sfidante del buon senso, ha costretto gli 'italiani' Mexes e Trezeguet alle vacanze anticipate (ed il viola Frey alla panca), come volesse sanare i conti in sospeso con il Bel Paese, contratti sin dai tempi dell'Under 21 transalpina. Campione olimpico di lancio del sasso e arrampicata sugli specchi, in fin dei conti dovrebbe esser grato ai nostri, capaci di alimentare la sua sbandierata passione per l'astrologia: al nostro cospetto, ha visto le stelle, a Berlino prima e Zurigo poi. Non pago, ci ha lasciato con l'ultima perla di una ricca collana. Ai taccuini de 'L'Equipe', nell'immediato post-partita di Francia - Italia, anzichè analizzare il match, ha annunciato l'intenzione di impalmare l'amata Estelle. Spiazzante.
In fondo, ma parecchio, parecchio in fondo, ci mancherà, e noi a lui. Au revoir, Raymond.

sabato 14 giugno 2008

Riprendere Berlino

Da quel 9 luglio 2006 ne è passata di acqua sotto i ponti.
I tifosi juventini ne sanno qualcosa. L'onta del declassamento in cadetteria, la diaspora dei dissidenti, il Risorgimento, la caotica Restaurazione. Quella sera, a Berlino, dodici tracce di Juve in campo, tra passato, presente e futuro.
Due anni dopo, la colonia bianconera in nazionale si è assottigliata. Lippi ha salutato la compagnia, infastidito dall'improvvido affollamento di loschi figuri sul carro dei vincitori e assorbito da questioni familiari. Nesta e Totti hanno alzato bandiera bianca, altri sono stati riassorbiti nei ranghi di onesti mestieranti, o, vedi Gilardino, hanno conosciuto una precoce involuzione. Lo zoccolo duro del gruppo ha tirato dritto e lanciato il nuovo guanto di sfida, seppur usurati da acciacchi e sovrautilizzo. Lo ha raccolto Roberto Donadoni, fresco di cacciata dal Livorno di Spinelli ed ex compagno d'avventura dell'allora vice-commissario federale Albertini. Il prosieguo della storia è noto persino ai muri, il possibile, imminente, sipario rappresenterebbe il match point in mano ai suoi, numerosi, detrattori.
Lo sfilacciato undici presentato alla prima europea gli ha attirato le ire di un popolo di commissari tecnici. Un'Olanda libidinosa dalla cintola in su ha 'spremuto' due degli eroi di Berlino, Materazzi e Pirlo, perni rispettivamente di difesa e centrocampo. Annichiliti loro, è crollata la fragile impalcatura azzurra. La scelta della triade rossonera in mezzo al campo ha suscitato perplessità, sfociate poi in furiose polemiche nel post-partita. Il fu Ringhio Gattuso, riciclatosi attore in pubblicità di successo, è l'ombra del gladiatore di Berlino; il compare Ambrosini sbuffa e scalcia, ma gli dei del calcio sono stati avari con lui. Gli avanti azzurri, capeggiati dall'isolatissimo Toni, vengono ben presto risucchiati, loro malgrado, nel vortice della mediocrità. Le robuste ma tardive iniezioni di qualità, alias Cassano e Del Piero, non intaccano l'inerzia del match. La disfatta di Berna, se non altro, consegna ai sociologi il 'fenomeno Grosso', ibernato per undici mesi e scongelato a giugno, in antitesi rispetto a molti colleghi ormai in riserva.
Errare è umano, perseverare è diabolico. Donadoni, coautore (tra gli altri, il collega Van Basten) di pagine importanti della storia del Diavolo, vede e provvede. Pollice verso per i succitati Ambrosini, Gattuso e Materazzi, in aggiunta all'impresentabile Barzagli e al timido Di Natale, fiducia accordata agli juventini Chiellini e Del Piero, ai romanisti De Rossi e Perrotta e al terzino del Lione. L'arcaico 4-1-4-1 va in soffitta per far spazio ad un inedito 4-3-palla-a-Toni-e-preghiamo. Le quattro ante sfoggiate dai centrali-armadio rumeni fanno pan-dan con l'abilità nel fraseggio dei cervelli nostrani, non fosse per le reiterate sciabolate che vanificano le velleità delle mezzepunte azzurre. I nodi vengono al pettine. Camoranesi in 180 minuti ha sgambettato per il campo senza costrutto, insofferente come sempre agli inquadramenti tattici dell'allenatore ma impalpabile come non mai. Il capitano l'ha vista poco, e, quando Cassano ha fatto capolino tra le linee, è scomparso il panzer del Bayern. Inzaghi, la scaltrezza fatta calciatore, avrebbe fatto comodo, ma qualcuno gli ha preferito Borriello.
Il piatto piange. Quattro pere sul groppone, il doppio rispetto al Mondiale, quando i giustizieri di Buffon furono il compagno Zaccardo e Zidane dal dischetto. Un solo pallone schiaffato alle spalle del portiere avversario, ad opera del difensore Panucci. A fomentare la sterilità offensiva dei Donadoni boys ha contribuito l'arbitro norvegese Ovrebo (reo confesso), ovvero Byron Moreno sotto le mentite spoglie di Mastrolindo. Il suo fischio inconsulto in occasione della zuccata vincente di Toni ha impedito ai nostri di andare al riposo in vantaggio. Non pago, ha regalato un penalty ai rumeni, e solo l'istinto di Buffon ha vanificato cotanta incompetenza. Roba da far impallidire l'oscuro cavillo al quale si appiglia l'UEFA per giustificare il vantaggio di Van Nistelrooy della partita d'esordio.
Inutile piangere sul latte versato. La sfida da dentro o fuori andrà in scena martedì a Zurigo e ci vedrà contrapposti alla Francia di Graziello Domenech. L'Italia non è la sola artefice del proprio destino, e questa, per colei che sfoggia il titolo di campione del mondo, è una prima, bruciante, sconfitta. Lo spettro dell'inciucio incombe, le rassicurazioni di Van Basten sui buoni propositi dei suoi lasciano il tempo che trovano. Non è una questione d'integrità morale, ma d'opportunità. Il primo posto in cascina, il biglietto per i quarti in tasca, il pericoloso incrocio con la Spagna scongiurato, la possibilità di portarsi appresso la modesta Romania concreta. Ecco a voi il delitto perfetto, confezionato dall'ingegneria olandese e dall'inerzia franco-italiana. Nel paese dove la patentà d'onestà è stata assegnata, a tavolino, ai nerazzurri di Milano, ci sarà certamente qualcuno, megafono alla mano, pronto a gridare allo scandalo. L'unico, vero, scandalo, è doversi armare di calcolatrice e regolamento, sperando nella clemenza altrui.

Achille o Godot?

Potrebbe bastare un pareggio con gol. Una larga vittoria rischia di rappresentare un semplice zuccherino nella disputa tra grandi deluse. Il Bignami del destino azzurro è tutto qui, condensato in due righe figlie di un cammino accidentato, direzione baratro.
Memori del biscottone scandinavo, monta la paura per la possibile zingarata olandese.
Scongiurato l'effetto tsunami post-disfatta, il miserrimo 1-1 contro la Romania mette a nudo le carenze strutturali del gruppo di Donadoni. Il monocorde schema sciabolata-in-direzione-Toni-e-preghiamo ha esaltato gli armadi rumeni e mortificato Del Piero, croce azzurra e delizia bianconera come da tradizione.
Il bianco e il nero. Felice combinazione cromatica, infelice polarizzazione di giudizi e sentimenti. Due colori, una costante nella carriera di Pinturicchio.
Il capitano aveva predicato equilibrio alla vigilia. Nè salvatore della patria, nè capro espiatorio. Eppure i necrologi non tarderanno, salvo far spazio alle sviolinate in caso di, ennesima, rinascita. Ricordate? "Non salta più l'uomo", "non è decisivo ad alti livelli", "deve fare l'Altafini". 21 gol, corona di capocannoniere, i più feroci detrattori che perdono il dono della parola, gli altri che godono.
A Robert Louis Stevenson ha ispirato un classico immortale; ai più, oggi, ha richiamato il solito, immortale, refrain. E' la sindrome da sdoppiamento della personalità. Cosa scatta nella mente, cosa si blocca nei muscoli di Del Piero d'azzurro vestito a giugno? Mistero.
Ci sono ventisette buoni motivi per ritenere che la sua forza non sia solo nella divisa che indossa. La cifra non è buttata lì, sono i suoi acuti, inframezzate da sonore stecche, in nazionale. La verità dunque risiede altrove. Incompreso tatticamente, svilito dai dualismi, profeta solo in casa.
Nessuna arrampicata sugli specchi, semplice constatazione. Il mantra delpierista è 'testa bassa e pedalare', sempre e comunque. Lo ha rispettato, anche ieri. Le ostinate e sterili geometrie di Pirlo lo hanno tagliato fuori dal gioco, al pari del compagno di mille avventure Camoranesi. Pur non lesinando sforzi, la sua è stata una prestazione ad impatto zero. Occorreva essere più celeri nello smarcamento, per sfuggire all'asfissiante morsa rumena. Il solo Cassano ha convertito la teoria in pratica, invano, ma speranzoso di sfilare la maglia da titolare all'illustre collega.
Si profila l'ennesima staffetta, l'ennesimo dualismo, forse l'ennesima pastetta. Berlino è un puntino minuscolo nell'universo dei ricordi, così come Dortmund, teatro del guizzo mondiale di Alex. Lo crocefiggeranno, covando inconsciamente la speranza che risorga fra tre giorni, come accadde un paio di millenni fa ad un illustre coetaneo. In tal caso, tutti sul carro del vincitore, da buoni italiani. Io su quel carro non salirò, ma solo perchè non sono mai sceso.

Ieri pomeriggio è tornato Godot, mentre tutti aspettavamo Achille. Martedì sera sapremo se l'incantesimo verrà sciolto, oppure se il Pelide si smarrirà ancora nell'azzurro mare di giugno.

Il punto sul mercato I

Gli ultimi ragguagli dalla Catalogna riferiscono di un Barcellona orientato verso la carne fresca (Benzema? Gomez?) nonchè impegnato a decifrare il rebus Eto'o, meretrice calcistica offertasi a mezza Europa, milanesi in testa. Le voci su Trezeguet in blaugrana, accavallatesi per giorni, sono già scemate. Divorziare da Re David equivarrebbe ad un coito interrotto. Il timore diffuso, guarda caso, era il salto della quaglia(rella). Il killer instict del giovane ajacide Huntelaar, al contrario, stuzzica folte schiere di juventini, ma il pressing sul tulipano è storia morta e sepolta.
Un po' come l'idea di investire l'inconcludente Palladino della pesante eredità di Nedved. Il napoletano, aspirato nel tourbillon tattico di Ranieri, finirà all'ombra della Lanterna. Il suo diniego ha sgretolato le certezze di Preziosi, la beffa è dietro l'angolo. Marotta già pregusta il dolce sapore dello sgambetto ai cugini, Mazzarri gongola e progetta una coppia tutto pepe con Cassano. Resta da limare la distanza tra domanda e offerta, al fine di prevenire l'eventuale rilancio genoano.
Nell'affare potrebbe rientrare il 18enne Fiorillo, tentacolare estremo difensore della Primavera blucerchiata fresca di double. Difficilmente il baby Buffon occuperà la casella di dodicesimo, contesa da guardiani più scafati. In nomination troviamo Antonioli, Manninger e Sorrentino, ma gli outsider sono dietro l'angolo.
Altra possibile contropartita è l'arcigno Campagnaro, allevato a pane e caviglie in quel di Piacenza ed assurto ad idolo di Marassi tanto da guadagnarsi la nomea di novello Vierchowood. Senza nulla togliere all'ottimo Hugo, la retroguardia bianconera è satura di gregari e sprovvista di un big da affiancare a Chiellini. Nonostante le perplessità assortite aleggianti sui vari Andrade, Legrottaglie e Mellberg, il reperimento del nuovo ministro della difesa non spicca tra le priorità di Secco. Si punterà sull'organizzazione, fiore all'occhiello della gestione Ranieri, sperando che San Nicola bissi la miracolosa annata ormai alle spalle.
Le magagne se ne stanno defilate, a destra ma soprattutto a sinistra, dove prosegue l'idiosincrasia tra Molinaro e la sfera di cuoio. Il ritorno all'ovile di De Ceglie rischia di essere un palliativo inefficace al cospetto di pesi massimi come Cristiano Ronaldo.
Chi di fronte al portoghese ha fatto la sua porca figura è il soldatino Grygera, bravo ad inibirne gli slanci nella recente sfida europea di Ginevra. Il proverbiale freno a mano tirato in fase di spinta non cancella la puntualità delle chiusure; se solo rammentasse che oltrepassare la metà campo non è reato, sarebbe un signor terzino. Zebina è avvisato. Su entrambi incombe la minaccia (fantasma?) di Branislav Ivanovic, corteggiato da Madama un semestre fa ma ammaliato dai petrodollari di Abramovich. Lo zero alla voce 'presenze' ha indotto il Chelsea a considerare l'ipotesi di un prestito annuale. Il segugio Secco, fiutato l'affare, punta a far suo il possente serbo, abile anche in marcatura, magari spuntando un diritto di riscatto a prezzo modico.
Al momento gli sforzi degli uomini mercato di Corso Galfer sono concentrati sulla mediana, croce (Almiron & Tiago) e delizia (Sissoko & Zanetti) di Ranieri. Dopo il rigetto del precedente trapianto di qualità, la risposta all'asetticità della manovra è Xabi Alonso, 27enne volante del Liverpool di Benitez. Il ballottaggio tra il geometra basco e l'architetto romano (Aquilani) ha premiato il primo, vuoi per una naturale predisposizione alla regia, vuoi per la telenovela da rinnovo contrattuale del secondo, con, sullo sfondo, la sagoma di Soros sempre più lontana. Parte dell'esborso, stimato sui 17 milioni, verrà coperto dalla cessione del fantasma di Tiago, destinazione Madrid sponda Atletico, of course. L'inevitabile minusvalenza rappresenta un monito alla prudenza in vista di futuri azzardi. Stesso discorso per Almiron, appetito dalla Lazio, non fosse che sullo Zanichelli alla voce 'tirchio' potrebbe tranquillamente starci una foto di Lotito. In bilico anche Marchionni, ala vecchio stampo più avvezza alle corsie d'ospedale che a quelle laterali del rettangolo verde. Prandelli lo aspetta, ma rischia di attendere invano.
I rientri, a furor di popolo, di Marchisio e Giovinco rappresentano una preziosissima iniezione di freschezza in un gruppo che necessita di giovani, affamate e valenti leve soprattutto laddove, in Europa, chi non corre è perduto. A tal proposito, le specifiche tecnico-tattiche di Amauri cascano a fagiolo.
Paradossalmente, fra color che son sospesi becchiamo pure l'unico acquisto a titolo (molto) oneroso risultato in linea con le aspettative, alias Iaquintone. Guai a parlare di bocciatura, è piuttosto una concomitanza di fattori ad allontanarlo da Torino. La considerazione di cui gode presso ambienti prestigiosi come Napoli e Roma, che a loro volta espongono in vetrina i gioielli di famiglia (Santacroce, Hamsik, Lavezzi da una parte, Aquilani dall'altra) graditi a Madama;
l'accresciuta concorrenza, leggasi Amauri; la necessità di far cassa a fronte di onerosi investimenti. Un'altra necessità, quella di disporre di quattro punte intercambiabili per sopperire alle consuete pause di celentaniana memoria del duo Del Piero & Trezeguet, potrebbe ancorarlo a Vinovo. In caso di separazione, ancora lui, Quagliarella, si candida a cambiar maglia ma non combinazione cromatica, ripercorrendo curiosamente le orme del cigno di Cutro. Sarebbe un peccato, le strisce verticali più strette non gli donano.

mercoledì 4 giugno 2008

Cambio della guardia?

Si scrive Del Piero - Trezeguet, si legge gol. Quattrocentouno in due, rispettivamente duecentoquarantuno e centosessanta. E non finisce qui. Forse.
Immuni alla celebre crisi del settimo anno, dall'alto di un'intesa sviluppata dentro e cementata fuori dal rettangolo verde, volevano spartirsi la corona di capocannoniere a suggello del ritorno in Paradiso. Quel trono, però, era troppo piccolo per tutti e due, e solo il capitano vi ha potuto poggiare le regali chiappe. Il francese medita 'vendetta'. Forse.
Alex emette gli assegni, David passa alla cassa e riscuote, e viceversa. Re David scompare e riappare all'improvviso, puntuale come le rinascite del compare, all'appuntamento con il gol. Stavolta, però, potrebbe ricomparire al Camp Nou, di blaugrana vestito, pronto a capitalizzare le magie di Bojan e Messi. M come magia? Niet, m come mercato.
L'input di Guardiola, subentrato a Rijkaard, è chiaro: alto, grosso, che la butti dentro. Basta coi fiorettisti ballerini e litigiosi, ci vuole un risoluto spadaccino. Si sussurra di una ricca offerta, nell'ordine dei 50 miliardi del vecchio conio, roba da preparare l'imballo ed ornarlo con un bel fiocchetto rosso. Forse.
Prossimo alle trentun primavere, forte di un gioco al risparmio, salvo aver recentemente allargato i propri orizzonti, la data di scadenza sul retro della confezione recita 30 giugno 2011. Plausibile prospettare un'ulteriore annata ad altissimi livelli, dopodichè stretta di mano, pacca sulla spalla (quella sana), grazie di tutto e arrivederci. Forse.
Partendo dall'incontrovertibile presupposto che niente è per sempre, se confermata la proposta dei catalani sarebbe la miglior, nonchè ultima, occasione per monetizzarne l'addio.
La storia insegna, i contratti son fatti per NON esser rispettati. Moggi insegna, in casi come questo ad un corposo assegno NON si dice no. Sarebbe però delittuoso rimpiazzare Mr. Centosessanta Gol con un pinco pallino qualsiasi. Il mercato internazionale, ricco dei suddetti pinco pallini, è altresì povero di bocche da fuoco a prezzi umani. Dopo aver perlustrato palmo a palmo ogni fazzoletto di terra conosciuta, poli compresi, è stato individuato, dalla parti di Amsterdam, un cicognone 25enne dai piedi buoni, killer (silenzioso delle aree di rigore) di professione, detto 'Il Cacciatore'. Ipotesi: imbarcarsi a Caselle destinazione El Prat con il francese e rilasciarlo dietro lauto pagamento; tornare indietro, fare scalo ad Amsterdam, caricare Huntelaar in cambio di venti milioni circa e planare a Torino con un centravanti nuovo di zecca. In un sol colpo, parco attaccanti ringiovanito senza contraccolpi economici e/o tecnici e preoccupazioni per il, prima o poi inevitabile, ricambio generazionale parzialmente dissipate da un ariete più consono al progetto a medio termine varato dal nuovo corso bianconero.
I vividi ricordi delle disastrose operazioni Almiron e Tiago riecheggiano nella stanza dei bottoni di Corso Galfer. Ne consegue un giustificato timore per le future mosse di Secco e soci, fomentato dalle voci su Quagliarella. Dopo aver scelto di battere la strada della continuità nel giugno scorso, fare retromarcia sarebbe sintomo di inefficienza programmatica. Consci del suo status di leader rafforzato dalla diaspora post-calciopoli, i dirigenti, travestiti da Ghostbusters, 'esorcizzano' lo spettro di una cessione che Trezeguet, in passato, volle, fortissimamente volle a più riprese. Solo il binomio "Gli farò un'offerta che non potrà rifiutare" (cit.) - sostituto in pugno potrebbe sparigliare le carte in tavola. Se da un lato con David se ne andrebbe un pezzo di cuore che ha traghettato Madama lungo le malsane acque dell'Inferno cadetto, dall'altro occorre una valutazione a 360 gradi (non a 90, quindi astenersi perditempo). Gestire una società orientata all'autofinanziamento implica una politica oculata, con un occhio al bilancio e l'altro al futuro. Nessuno misconosce le qualità del campione francese, il cui
status di bomber e trascinatore è inattaccabile. Piuttosto, in ottica mercato subentrano altri scenari, e riaffiorano persino dolci ricordi.
Flashback. Estate 1996, freschi di Champions, fanno le valigie Vialli e Ravanelli. Al loro posto, sbarcano all'ombra della Mole Boksic e i giovani Amoruso e Vieri. L'obiettivo di allora era vincere, senza se e senza ma; oggi prevale la consapevolezza di un gap incolmabile rispetto alla nuova Inter di Mourinho. Sarà infatti difficile tenere il passo dello Special One Team, con o senza Trezegol, tanto vale mettersi una mano sul cuore e un'altra sul portafogli, pronti ad accogliere i danari di Laporta e a coltivare il più bel tulipano del ricco giardino ajacide.
Si apra pure la caccia... al Cacciatore. Occhio, però, a puntare la preda giusta. Mica ci si può accontentare di una Quaglia.