domenica 14 giugno 2009

Senatori... a vita

Secco compraci Tizio. Tizio comprato. Tizio è una pippa. Tutte varianti sul tema "Aridatece Moggi". I dubbi di Nedved. Le bizze di Trezeguet. Tutte varianti sul tema "M'ama, non m'ama". Tutti ingredienti basici della tipica estate juventina.
Alt. Si profilano novità all'orizzonte: il biondino ceco ha ufficialmente appeso la casacca bianconera al chiodo. Tormentone sigillato e consegnato ai ricordi? Nient'affatto. L'ex Pallone d'Oro paventa di sgaloppare altrove, gettando nello sconforto più buio pletore di indefessi ammiratori. Il popolo bue ha così deliberato: Pavel vittima, Raiola e potentati juventini carnefici. A prescindere. Poco male se il primo ha l'umoralità di una donna gravida. Lascia per dedicarsi alla famiglia. Lascia... la Juve. Prosegue altrove. Forse. Sì, ma la famiglia? Chi lo capisce è bravo, chi non si sforza di capirlo è semplicemente furbo. Grazie di tutto, sotto col prossimo.
Chiosa riciclabile - forse - per il collega (?) Trezeguet, sfrattato a settembre dai sedici metri avversari causa inadempienze fisiche - ginocchia ballerine e conseguente doppia operazione - lingua biforcuta - vedi l'inopportuna polemica a mezzo stampa con Ranieri - e condizione approssimativa. Dismettere IL killer d'area di rigore e arruolare un giovane erede di Del Piero: eccovi servito l'incastro perfetto tra mugugni franco-argentini e nuove esigenze bianconere. Tutto molto bello, non fosse che l'esercito di pretendenti millantato dal procuratore è battuto in ritirata di fronte all'ingaggio monstre del bomber. Nessun club pare disposto a/in grado di assecondarne i pruriti economici e tecnici, indipercui si prospetta l'ennesima riconciliazione a denti stretti. E tutti vissero relativamente felici e contenti. Vada come vada, l'intoccabilità è solo un dolce ricordo.
Chiosa, questa, senz'altro riciclabile per il compagno d'attacco Del Piero, 34 primavere abbondanti ed iniziare a sentirle. La sua fisiologica altalena prestazionale caldeggia una celere caccia al sostituto. Beppe Rossi? "Giovanesperto", italiano, ma costoso. Pandev? Maturo al punto giusto, da trattare con l'uomo sbagliato, l'ineffabile Lotito. E se fosse 4-2-3-1? Come dire, seconda punta del futuro depennata dalla lista della spesa. Effetti collaterali: spazi più angusti e defilati per quella del presente. Effetti collaterali al quadrato: lanci di giacche a vento, sguardi incuputi, insoddisfazione latente, ma anche rigurgiti di classe e orgoglio. Un film già visto, per la regia di Fabio Capello e Claudio Ranieri. Alex storcerà il naso, ma il turnover è l'unica via per procrastinare il malinconico ingresso in Sunset Boulevard. Si prega astenersi da "effetti collaterali al quadrato" et similia.
L'invito è esteso al sig. Camoranesi da Tandil, piè veloce dal fisico consunto e dall'umore mestruato. L'uno e trino: il Mau-rotto, habitué dell'infermeria a costante rischio ricaduta; il Mauro scazzato, l'Indolenza che calza scarpini bullonati; il Mauro ispirato, una preziosa rarità. L'ambiguo: ama presidiare la fascia destra pur sprovvisto di passo ed indole da ala. La riforma tattica ferrariana lo costringerà, presumibilmente, ad agire da mezzala, un po' bodyguard di D'Agostino - o chi per lui - un po' fionda per Diego: idea tanto sfiziosa quanto rischiosa per gli equilibri di squadra, nonchè innaturale per un regista camuffato come l'italo-argentino. Riserva di lusso? Via maestra per l'autofinanziamento? Più la prima della seconda. Età, stipendio e storia clinico diradano le spasimanti. No offerte (serie), no(n) part...i.
Scenario in fotocopia per Buffon, il fu numero-1-dei-numeri-1, oggi secondo (almeno) all'interista Julio Cesar. "Nessun club pare disposto a/in grado di assecondarne i pruriti economici e tecnici" (autocit. necessaria). Stop.
Morale della favola: senatori spendibili sul mercato a cifre florentinopereziane non ce ne sono. Ciò non toglie che gli addii di Camoranesi e Trezeguet, campioni ultratrentenni, pluriacciaccati e lamentosi, gioverebbero al bilancio juventino, alleggerito dei munifici ingaggi dei due e rimpinguato dai milioni incassati. Tesoretto da destinare a talenti affamati di gloria, unica strada praticabile per un futuro degno del passato del club. E poi ti svegli tutto sudato, disquisendo di senatori a vita, ministri della difesa e semplici portaborse (Poulsen), consapevole che un rimpasto - con annesso ringiovanimento - di "governo" gioverebbe non poco alla causa bianconera.

giovedì 11 giugno 2009

Povero Diavolo

Uno dei sogni bagnati del presidentissimo madridista Perez prende vita. Ha le sembianze di Kakà e sfila in camiseta blanca. Colore che ingrassa. Cosa? Le casse milaniste: sessantotto-milioni-e-mezzo-di-euro sull'unghia. E l'incazzatura tifosa: le bandiere non hanno prezzo. Crolla così, dopo aver - suo malgrado - retto all'offensiva invernale emiro-mancuniana, il dogma berlusconiano dell'intoccabilità dei campioni rossoneri. Chi sbandiera il precedente Shevchenko dimentica che a) l'ucraino era prossimo a scollinare i trenta, al contrario del 27enne brasiliano, b) fu la moglie - non la società - a spingerlo fuori Milano.
Crisi mondiale canaglia. Ecco a voi il Berlusca bifronte: stigmatizza la questione nell'agone politico, salvo sbandierarla a giustificazione della dipartita calcistica del fu 22 rossonero, che, dal suo nuovo pulpito, sottoscrive motivazione/scusa e conclusione. Coordinato da chirurghi della comunicazione lo scaricabarile, assai più arduo sarà, per Galliani&co., implementare lo "scarica-bidoni" - ogni riferimento agli strapagati Dida e Kalac è puramente voluto. Non foss'altro, per i vari Mattioni, Senderos e Sheva-II-la-vendetta(di-Abramovich) sarà sufficiente imballare e rispedire al mittente.
Destino canaglia. Il neo Chelsea's coach Ancelotti ritroverà - suo malgrado, e salvo sorprese - il declinante ucraino in Albione, dopo averlo panchinato già quest'anno in rossonero. L'aziendalista di Reggiolo ha fallito la laurea in restauro: non se ne crucci, rivitalizzare la figurina-non-figurinO Ronaldinho era impresa disperata. Piuttosto, non ha saputo coltivare il talento acerbo ma cristallino di Gourcuff, germogliato nella fertile Gironda, dove ha messo radici dietro lauto - ma motivato - versamento nelle casse del club milanese.
Bordeaux canaglia. 15 milioni e cucù, il più credibile - ed economico - erede di Kakà non c'è più. L'onore/onere finisce così, per inerzia, sulle spalle cadenti del succitato Ronaldinho. La patata bollente rischia di scottare il neofita Leonardo, chiamato al capezzale di un gruppo ormai all'ammazzacaffè. L'esperienza maturata in Via Turati e la composizione dello staff a sua disposizione fanno pensare ad un ruolo più gestionale che tecnico: nessuna rifondazione - tecnica, non comunista - all'orizzonte, solo qualche ritocchino qua e là. A partire dall'attacco, per ovviare all'ormai atavica mancanza di un pivot alla Bierhoff. O alla Borriello, reduce da un'annata mutilata da infortuni e ricadute. Chiaro il profilo tecnico, meno quello anagrafico ed economico: la rosa di candidati annovera difatti petali multiformi, dall'emergente Dzeko all'onnipresente Adebayor, passando per la nuova sensazione verdeoro Keirrison, senza trascurare il "ripescato" Toni. Procedendo a ritroso, il centrocampo dovrebbe conservare il cast storico, mentre la difesa, perso il totem Maldini, conta sul recupero del sempirotto Nesta e sul mastino Thiago Silva, a libro paga da gennaio ma stoppato causa slot per extracomunitari già occupati. Da Sheva e Viudez: minuto di silenzio.
Petro-dollari canaglia. Le sirene del Chelsea rischiano di ammaliare Pirlo e Seedorf - per Pato non c'è n'è - sensibili tanto al quattrino quanto ai richiami ancelottiani. Pericolo o sollievo? Ultratrentenni, pancia piena, passo e stipendio pachidermici: o adesso, o mai più. La progettualità caldeggia la prima opzione. Il Barcellona insegna, non avendo esitato un nanosecondo a giubilare gli imbolsiti Deco e Ronaldinho - già... e qua il cerchio si chiude - per consegnare all'esordiente Guardiola una rosa spogliata di petali sfioriti e spine. La prima, significativa, svolta ha investito un settore giovanile spolpato da anni di incuria, lontano anni luce dal proprio, luccicante, passato - tre nomi a caso: Baresi, Maldini, Tassotti - e dal fertile presente altrui - dicono niente Balotelli, Santon e Giovinco? Per esorcizzare anni a venire di vacche magre occorreranno robuste iniezioni di gioventù famelica e talentuosa. Tutti maschi maggiorenni, eh. Di questi tempi, meglio specificare.

sabato 6 giugno 2009

Habemus Ciro

E fumata bianc(oner)a fu. Roba che più bianconera di così si muore: dopo un precariato-lampo di due settimane, Ciro Ferrara sarà il nuovo titolare della panchina juventina. Negli ultimi giorni, la rosa di candidati era progressivamente sfiorita, disseminando petali tra Bari (Conte) e Roma (Spalletti), inducendo così i potentati di Corso Galfer a battere la strada della continuità.
Continuità che, però, fa rima con perplessità. L'en plein centrato contro Siena e Lazio versione sbracata tratteggia un curriculum tanto benaugurante quanto trascurabile, al contrario del (recente) passato da ministro della difesa bianconera, che si presta ad un'ambigua doppia lettura: se da un lato dovrebbe preservarlo dal fuoco amico - tifosi - dall'altro rischia di esporlo a quello nemico - stampa - puntato sui rapporti con gli infiammabili senatori, compagni di mille battaglie. Il suo profilo tattico è giocoforza nebbioso, da rinvio a giudizio per insufficienza di prove, nonostante l'indizio Diego basti e avanzi per pensionare il vetusto 4-4-2 ranierano.
Il futuro di Ferrara, dunque, si scolora d'azzurro. Si godrà la Confederation Cup in panciolle dalla poltrona di casa, con la benedizione del maestro Lippi. E chissà che un giorno i destini professionali dei due non tornino ad intrecciarsi. Magari tra un anno e spiccioli, a Mondiale sudafricano concluso. La "focacciata" di Recco con Blanc, il Cannavaro-bis e l'investitura bianconera del pupillo Ciro rinfocolano l'ipotesi. La sempiterna passione per il deus ex machina blucerchiato Marotta rischia, però, di sparigliare le carte in tavola: qualora l'a.d. sampdoriano cedesse alle lusinghe di Madama, accettando la poltrona di direttore generale in luogo di Blanc, il ruolo di direttore tecnico, cucito su misura al CT azzurro, diverrebbe obsoleto. Ma questa è un'altra storia. Confusa, frastagliata, ipotetica. Se ne riparlerà a stretto giro d'orologio. Nel frattempo, luci su Ciro, grazie. E che Dio ce (glie)la mandi buona.

martedì 2 giugno 2009

Una poltrone per cinque

Dal vangelo secondo Giovanni (Cobolli Gigli), l'identikit del futuro tecnico juventino: giovane di testa, italiano, con la voglia e la capacità di caricare la squadra. Tralasciando il vacuo ed opinabile requisito finale, età mentale e nazionalità sorridono ad Allegri, Ballardini, Conte, Ferrara e Spalletti. Cinque papabili, come anticipato da Blanc. La fumata bianc(oner)a è attesa per la prossima settimana: nel frattempo, non resta che rastrellare indizi per azzardarsi a districare l'annosa matassa.
Il Cannavaro-bis, ad esempio, dipinto come Cavallo di Troia del ventilato Lippi-tris - nelle vesti di direttore tecnico - in decorrenza dal luglio 2010. Noncuranti delle (rituali?) smentite delle parti, i media, cavalcando l'onda dolce dell'amarcord, hanno probabilmente mitizzato la celeberrima merenda di Recco tra il CT e l'a.d. bianconero Blanc, cadendo nella facilonesca conclusione di cui sopra. Certo è che il tecnico viareggino gradisca l'operazione, che (ri)veste di bianconero l'anello mancante della catena centrale azzurra, completata da Buffon e Chiellini; non di meno, il suo futuro ritorno stroncherebbe sul nascere l'ipotesi-Spalletti, causa ingaggio e personalità "pesanti" e perciò inconciliabili.
Assai più significativa l'operazione-Diego, preludio al distacco dal 4-4-2 tanto caro a Conte, maldisposto a sacrificare il proprio credo tattico sull'altare di chicchesia. Al contrario, il brasiliano di Germania andrebbe a nozze col calcio spallettiano, e ben s'inserirebbe nelle alchimie tattiche di Allegri e Ballardini. Ferrara? Rinviato a giudizio per insufficienza di prove, nonostante i primi indizi di camaleontismo solido intravisti contro la Lazio inducano un cauto ottimismo. Per i motivi di cui sopra, qualora la corte serrata al cervello dell'Udinese D'Agostino dovesse sfociare in fiori d'arancio, difficilmente l'ex capitano juventino sarà presente alla cerimonia.
Un consiglio ai numerosi contiani: mettetevi il cuore in pace, questo matrimonio non s'ha da fare. Prova ulteriore e forse definitiva ne sia il ritorno del preparatore atletico Massimo Neri - già responsabile dei delicatissimi muscoli bianconeri nell'era Capello - primo tassello del nuovo staff tecnico preconfezionato dalla società. Segno che il nuovo mister dovrà prescindere dai propri collaboratori abituali, e Conte, da quell'orecchio, proprio non ci sente. Difficile, ma non impossibile, che Spalletti acconsenta a tale rinuncia; più facile, in teoria, "piegare" gli altri pretendenti, Ferrara in testa.
Quest'ultimo, in caso d'investitura, dovrà presumibilmente rimettere l'incarico di collaboratore tecnico azzurro sin dall'imminente Confederation Cup. Non che gli altri abbiano l'agenda vuota, tutt'altro. Per un Conte che gioca a "m'ama non m'ama" coi Matarrese, abbiamo i tre rivali sotto contratto con Palermo (Ballardini), Roma (Spalletti) e Cagliari (Allegri). Radiomercato, però, da i primi due al passo d'addio, tra conferme (Zamparini) e smentite (Sensi) presidenziali: in ambo i casi, tempo pochi giorni e tutto sarà chiarito. Giusto in tempo, nel caso, per raccogliere l'eredità di Ranieri. E di Ferrara.
Il Caronte bianconero, sin dal suo insediamento, non ha fatto mistero di puntare alla conferma. In due settimane scarse ha fatto bottino pieno, facendo breccia nei cuori di giocatori - depurati dalle scorie ranierane e traghettati al secondo posto - dirigenza - sensibile al suo fido aziendalismo, indizio di parche pretese - e tifosi - che intravedono in lui la risposta sabaudo-napoletana a Guardiola. Le possibilità di centrare l'obiettivo sono in lenta ma inesorabile ascesa - Spalletti permettendo - con i tre outsiders pronti a sfruttare il benchè minimo spiraglio di gloria. Perchè la volata è ormai lanciata, ma non è detto che scattare dalle retrovie pregiudichi le chance di successo. Un lustro fa, regale fu lo sprint di Capello, che sbucò dal nulla bruciando al fotofinish Deschamps. Ciro è avvertito.

domenica 31 maggio 2009

Bye bye Tinkerman

Esorcizzato lo spettro del quarto posto, con annessi preliminari di Champions, l'attenzione del popolo juventino è ora monopolizzata dal nodo allenatore, imbrigliato dall'astorico - non accadeva da 40 anni - quanto annunciato esonero di Ranieri, datato 18 maggio. L'inqualificabile 2-2 interno con l'appagata Atalanta ha piegato l'endemico tafazzismo dei dirigenti bianconeri all'evidenza dei fatti: troppo alto il rischio, partorito dall'ultimo, miserrimo, bimestre, di veder sfumare, dopo la Coppa Italia, anche la zona Champions per trascinare a fine stagione un rapporto ormai logoro.
Guai, però, a spacciare la cacciata del brizzolato di Testaccio quale panacea di tutti i mali. Il pesce puzza sempre dalla testa, ed i corridoi di Corso Galfer sono pregni di improvvisazione e logorrea. Cervellotica la scelta di investire Blanc, scafato "commercialista" a digiuno di pallone, della carica di direttore generale, così come inopportune sono le sabbie mobili burocratiche che risucchiano i margini d'azione del giovane Secco, co-responsabile di un mercato senza capo nè coda. Se ragioni di portafoglio hanno viziato l'abbandono della via maestra verso il successo, costellata di capi firmati, le nebbie progettuali hanno condotto verso us(ur)ato sicuro - Andrade, Poulsen - costosi tarocchi - Almiron&Tiago - e campioni, pardon, gregari omaggio - Grygera, Salihamidzic. Le eccezioni Amauri e Sissoko confermano la regola di un progetto che non c'è, e se c'è non lo da a vedere.
Claudio Ranieri altro non è(ra) che la proiezione di cotanta vacuità: un uomo fatto transizione, profeta del "primo, non prenderle" nonchè cultore di un rassicurante/rinunciatario 4-4-2 maschera-vizi più che esalta-virtù, professato in assenza di ali di ruolo. Il sinistro filotto di ben 7 partite senza successi inanellato da aprile in poi ha progressivamente disintegrato le, poche, certezze di, e su, Tinkerman, fase difensiva in testa. Il fuorigioco alto? Un'arma a doppio taglio, affilata dal ko di Sissoko e affondata nel burro della difesa bianconera, spalmato e gustato dal primo Pellissier di passaggio. Poulsen? Encefalogramma calcisticamente piatto. Il gioco? Non pervenuto. Accusato di fondamentalismo tattico e difensivismo esasperato, ha "risposto" con ciechi eccessi d'audacia, denunciando preoccupanti lacune sia nello scegliere e disporre l'undici iniziale che nell'apporre correttivi, spesso tardivi, in corso d'opera. E come tacere dei scusatehopersoilconto infortuni, imputabili a sfiga e muscoli di seta, certo, ma non del tutto scindibili dalla preparazione impostata di concerto con Capanna. La celerissima rinascita post-Ranieri, d'altronde, fa riflettere: il grintoso entusiasmo di Ferrara avrà senz'altro contribuito a risvegliare i dormienti, ma, se è vero che due indizi - le polemiche a mezzo stampa con Trezeguet e la (presunta) lite con Camoranesi - fanno una prova, è lecito asserire che il feeling dell'ex mister con il gruppo, capeggiato dai senatori, era ormai azzerato.
A proposito di senatori, l'annata ci ha consegnato il paradosso di una Juve iper-incerottata - orfana, tra gli altri, di Buffon e Camoranesi, rimpiazzati dagli "onesti" Manninger e Marchionni - superiore, numeri alla mano, a quella'tipo' (o quasi, vedi la prolungata assenza di Momo Sissoko). Il portierone azzurro ha così smarrito l'aura di superuomo per assumere le umane sembianze del vulnerabile eroe tormentato in crisi d'identità, incarnando perfettamente il malessere del popolo juventino. Popolo che non perde occasione di assestare frecciatine agli obiettivi sensibili - società, (ex) allenatore o Poulsen che sia - mentre si mostra mediamente clemente, sin troppo, con i reduci dalla cadetteria. Piange il cuore - ma allevia la coscienza - a sottolineare l'indisponenza di Camo, il rendimento altalenante di Nedved e capitan Del Piero, e l'appannamento di Trezeguet. Urgono nuovi eroi, da affiancare/sostituire ai vecchi, per addolcire distacco e futuro.
Il primo è già in lista di sbarco: Diego Ribas da Cunha, brasiliano di Germania, costoso prodromo del ritorno al potere della fantasia, prevaricata nel post-Zidane da una fisicità tanto redditizia in patria quanto infruttuosa fuori. Fantasia che rima con trequartista, e tanti saluti al 4-4-2. Prima di perdersi nelle tradizionali elucubrazioni tattico-calciomercatistiche da ombrellone, sarà però utile attendere l'investitura del nuovo mister. L'effetto-Guardiola - requisiti: pedigree autoctono ed umili pretese economiche - sospinge le candidatura di Conte e Ferrara; più sfumate le candidature dei "forestieri" - tutti sotto contratto - via via associati alla Vecchia Signora: decaduti Gasperini e Prandelli, resistono a giorni alterni l'emergente Allegri, la new entry (Laurent) Blanc e l'onnipresente Spalletti, smaliziato timoniere dal credo tattico a misura di Diego, ma dallo stipendio a prova di (Jean Claude) Blanc. Gli ultimi exit poll danno favorito il leccese più amato da baresi e juventini, forte di un'impennata professionale seconda solo a quella del suo cuoio capelluto. Dopo l'aperitivo senese come secondo di De Canio e l'antipasto aretino, inopportunamente Spezia-to proprio dalla 'sua' Juve, il piatto forte - leggasi capolavoro - barese: tornite una robusta dose di offensivismo con un paio d'ali tutto pepe, spruzzatevi della sana sagacia tattica di stampo lippiano e otterrete una ricetta da Gambero Rosso. Desta perplessità, piuttosto, la traslabilità della stessa in terra sabauda, laddove le dispense offrono ingredienti difformi dal ricettario contiano, a partite dal già citato Diego. O forse è solo un fastidioso retaggio del ranierismo, come se un allenatore non potesse/sapesse/volesse prescindere dal modulo prediletto. Gioite, camaleonti solidi: i tempi bui - forse - son finiti.

martedì 2 dicembre 2008

Mistero puffo

La minuzia fisica della formichina deatomizzata Giovinco sussurra miniaturizzazione dei pasti. Il talento lievita le porzioni. Ranieri le sgonfia dispensando solo briciole. Gli irriducibili Del Piero e Nedved cannibalizzano gli spazi. L'infermeria sold out 'mangia' turnover e camaleonte solido. Il sogno ribelle accarezzato dai tifosi zebrati stenta a farsi carne.
L'integralismo tattico di 'Tinkerman', abbarbicato ad un abbottonato 4-4-2, depenna gli ibridi dalla cerchia di eletti. Stante l'attuale stato di cose, l'anello di congiunzione tra progetto elettrizzante e prodotto finito è la disambiguazione tattica del puffo bianconero. Utopia, tesser le fila del proprio destino col fondoschiena inchiodato alla panchina. Sulla capa pelata del ragazzo s'affacciano timidamente i nembi britannici dell''altrove'. Il pingue rinnovo è uno sparuto raggio di luce che squarcia il cielo plumbeo e addolcisce l'attesa di un posto al sole.
Sebastian ha investito i pochi spiccioli di gloria in assist e giocate effervescenti, disseminati in fisiologici silenzi celentaniani, riscuotendo le polveri sottili dell'anticamera. Il blitz dell'elefante palermitano nella cristalleria bianconera datato 10 ottobre ha infranto le ambizioni del nostro. Un'undici cucito su misura. Rari arcobaleni giust'appena abbozzati, mortificati dal grigiore generale e dal rosso sventolato a Sissoko. Una maglia da titolare che scivola inesorabilmente su spalle più nobili e solide. Paga anarchia, peso piuma e scarsa predisposizione al rinculo.
La settimana bianca tra Pietroburgo e Torino preannunciava slalom speciali sul versante sinistro per il genietto bonsai, pettorale numero venti, in pista sin dall'avvio. E poi ti svegli tutto sudato, raggomitolato su un seggiolino a bordo campo, bagnato dalla neve e baciato dal vento. Tre quarti d'ora di toccata e fuga, raffazzonati in due uscite, a referto, guarniti dalla conquista del penalty che incesella Del Piero nella leggenda. Briciole divorate nella tormenta, quando i pattini soppiantano gli scarpini bullonati quale calzatura consigliata.
Fugando orgiastici arrovellamenti neuronali, Ranieri ha dipinto Giovinco come vice-Nedved. Lo stakanoviska ceco ha marcato visita, di recente, solo a Verona, tana del 'ghiro' Chievo. Al suo posto, De Ceglie. L'altalena prestazionale di Pavel non ne ha intaccato minimamente l'indiscussa titolarità, nemmeno in coincidenza di bassi che più bassi non si può. Sabato sera, la certificazione dell'intoccabilità, corroborata da una prova, a sprazzi, d'antan. Il risultato in ghiacciaia, e perciò in equilibrio termico col clima polare che avvolgeva Torino, caldeggiava la doccia anticipata. 'Privilegio' accordato a Marchisio, avvicendato dall'amico Seba e rilevato in mediana dall'ubiquo biondino bionico. Il sentiero è tracciato. Il peso specifico dei senatori a vita, tangibile. La fascia mancina, ceca.
La storia insegna, la sorte quale antidoto principe alle gerarchie. Correva l'anno 1994. Tale Del Piero Alessando, classe (immensa) '74, scalpita alle spalle dell'idolo-totem Roby Baggio. A fine novembre, il ginocchio destro del Divin Codino va in frantumi. Il resto è leggenda. La salute in acciaio inox 18/10 che assiste il capitano e il ceco costringe il giovane allievo a mettersi in coda, taccuino munito, per carpirne aneliti e segreti. Il saggio consiglia, santa pazienza quale antidoto principe alla tristezza a palate. Oh, se è arrivata la democrazia in Cina dopo tre lustri di gestazione, roba che nemmeno gli elefanti, vuol dire il tempo tutto può.

lunedì 24 novembre 2008

I milanesi ammazzano al sabato

"Torino, abbiamo un problema". Si conclude così, con un atterraggio da brividi in zona San Siro, Milano, il tour spaziale della sonda Juventus, decollata un mese e uno sputo fa alla volta dell'infinito. Il distacco dalla volta celeste è stato brusco. Riacclimatarsi alla gravità terrestre richiederà lacrime e sudore. Le polluzioni post-settebello di successi sono acqua passata. Astenersi apocalittici catastrofisti.
Passo primo, l'elaborazione del 'lutto'. Inopportuno declinare responsabilità a terzi in tenuta limone, piangere gli infermi, o le carambole altrui. Il risicato passivo mortifica gli sforzi nerazzurri ed inganna i passeggeri distratti. Ko tecnico(-tattico) alla seconda ripresa. Inappellabile.
Il monologo interista affonda le proprie, solide, radici in panchina. Il professor Mou scende dal piedistallo-cattedra e va a ripetizioni di calcio italiano. Torchiato sull'argomento, si dimostra ferratissimo sul capitolo Juventus. Incredibile ma vero, lo stesso non-pirla impermeabile ad Erasmus calcistici, l'arcivescovo del 4-3-3, modella il proprio credo tattico su vizi e virtù degli avversari.
Materazzi restituito alla dignità professionale dopo il raccapricciante Europeo e al campo dopo il derby, centimetri e testosterone per inibire Amauri. Rombo a centrocampo, con i monolitici Cambiasso e Muntari e il tuttofare Zanetti a coprire le incursione del figliol prodigo, juventino mancato, Stankovic. Adriano strappato al dancefloor e accoppiato all'inamovibile Ibra. L'amata trivela deposta in panca. Balotelli e Mancini addirittura sbianchettati dalla distinta. Un propizio bagno d'umiltè per il brizzolato di Setubal, con sensibili echi di pragmatismo manciniano.
L'undici nerazzurro s'è fatto beffe della linea difensiva bianconera, 'alta' come il ranierismo impone, sfregiata dagli inserimenti senza palla dei mediani e scherzata dal lucido genio di Ibrahimovic, calamita-calamità per Legrottaglie, versione pecorella smarrita, e compagni, chirurgico nell'assist e stitico sotto porta, mai banale nei movimenti, sincronizzati con quelli del partner d'attacco, puntuale nel cercare la traccia esterna per eludere la guardia di un gladiatorio Chiellini. Il suo doppio strafalcione in zona gol prolunga l'agonia, al pari della penetrazione centrale del 5 serbo vanificata dall'imperfetto controllo dello stesso, poi rimontato da Molinaro e Re Giorgio. Un paio di sbandieramenti a cappella degli assistenti e un vantaggio inapplicato dal pur bravo Rizzoli, oltre a salvaguardare la 'verginità' della porta di Manninger, azzerano le rimostranze di sponda torinese sulla condotta della terna, nonostante un sospetto contatto tra Muntari e Marchionni nel primo tempo. Proprio il ghanese, piedi di ghisa e polmoni d'acciaio, al 73° infila di giustezza un'imbeccata (casuale?) di Ibra, sorprendendo l'esterefatto guardiano austriaco ed il presepe vivente bianconero, che lo abbandona solo soletto a centro area. Game over. L'incornata di Del Piero ai dieci dalla fine costringerà la lavenderia nerazzurra a sciacquare i guanti di Julio Cesar, non gli sceneggiatori a rivedere un copione monotono dal finale scontato.
Del fil-otto recente, la banda Mourinho è l'unica accreditata di uno spessore tecnico e tattico superiore a Madama e, puntuale come la sfiga, la sconfitta s'è fatta carne. Ohi ohi, la sfiga, compagna di viaggio fedele e bastarda. Citofonare Tiago Cardoso Mendes. Due minuti scarsi ed il Lazzaro portoghese inciampa, il ginocchio sinistro reclama cure, destino infame. Testimoni oculari giurano sia stato avvicendato da un giovine smunto e dimesso: si sospetta fosse la brutta copia di Marchisio. La vigorosa mediana avversaria, ad onor del vero, lasciava presagire una notte horror per il compassato lusitano, ma la (mala)sorte ha ucciso il beneficio del dubbio. Accerchiato dall'apatia, il prode Sissoko non si scompone e aspira modalità Vorwerk folletto palloni su palloni, salvo smarrirsi in impostazione. Un tocco di troppo, controlli 'elastici' e cucù, il pallone tra i piedi del maliano non c'è più. Il signor Cristiano Zanetti è pregato di cicatrizzare in fretta. Pur privo delle stimmate del fuoriclasse, è l'unico mediano bidimesionale a libro paga.
Lo sciopero degli 'assistenti di volo' Marchionni e Nedved (farlo rifiatare è reato?), nonchè il monopolio delle rotte aeree riservato al duo Materazzi - Samuel, blocca a terra l'air-one Amauri, costretto a librarsi a pelo d'erba, lontano anni luce dai sedici metri della pista d'atterraggio. Il collega Del Piero pare mediamente ispirato, ma, colpito anch'egli dalle contingenze, attende novanta minuti più recupero in rampa di lancio, placcato agli sgoccioli dal già citato volo di Cesar. La tardiva investitura di Camoranesi a commissario straordinario non sblocca lo stallo, ma concima le polemiche su Ranieri. Passi per l'undici iniziale, figlio legittimo della prudenza e schiavo del bollettino medico; i correttivi, intempestivi e poco audaci, si confermano il tallone d'Achille del condottiero romano. Il camaleonte solido? Una boutade estiva. Dal Vangelo secondo Ranieri, in riferimento all'amato 4-4-2: "non avrò altro modulo fuori che te".
Intendiamoci: scorrendo i petali della rosa nerazzurra,
al netto delle ragioni del cuore non v'era dubbio alcuno sulla superiorità dell'Inter. Leggerlo tra le righe della sfida più sentita, però, fa male. A meno sei, poi, fa freschino, la coperta è corta e per sconfiggere i rigori dell'inverno non basteranno le punizioni di Pinturicchio.
Lo step numero due, il riscatto, passa da casa, ospite la rinata Reggina di Orlandi. La storia insegna, le piccole sono crocevia di scudetti. Oh, che parolone. Crederci è sottilmente presuntuoso. Mollare la presa è astorico. Navigare a vista è la cicatrice dei tempi. Memorandum: disinserire la modalità 'sborone' sfoggiata settimana scorsa, con dichiarazioni d'intenti molto poco sabaude. Lunga vita al low profile dialettico. A morte gli interismi-isterismi. E ripartire, pervasi dal sacro fuoco dell'umiltè. Paga, fidatevi. Vero, Mou?

domenica 23 novembre 2008

La ricetta perfetta

Non c'è peggior sconfitta dell'impotenza. Rocco Siffredi? No, uno juventino lucidamente 'ncazzato.
L'Inter liquida la pratica Juve senza sudore versare, rosolando gli avversari a fuoco lento per settanta minuti abbondanti e lasciandoli bollire per i restanti venti. La ricetta dello chef Mourinho ha inebriato il volubile palato nerazzurro, viziato dai precotti manciniani, indigesti oltralpe ma trangugiabili in patria, complice il pasticcio di gobbi confezionato ad agosto 2006. Insaporite il tutto con il cigno di Malmoe, e la frittata è servita. Ai Ranieri boys è rimasta sul gozzo.
La spartana ricetta del cuoco pasticcione di Testaccio è resa ancor più insipida dalla rinuncia aprioristica al peperoncino Camoranesi e alla segregazione negli armadi nerazzurri Samuel e Materazzi di speziati condimenti quali Amauri e Del Piero. Nedved? Scaduto. Carta (d'identità) canta. L'ingrediente segre(ga)to, lo sfuggente camaleonte solido, è finito nella pentola sbagliata. Quella nerazzurra.
Dopo aver ripassato la ricetta avversaria, lo Special Uan ha riposto nella credenza la propria prediletta, quel 4-3-3 cucinato con successo in patria ed in Albione, pescando un gustoso rombo, così disposto in tavola: Cambiasso vertice basso, Stankovic trequartista, Zanetti e Muntari ai lati. Ripulito dalle lische, vedi il rinnegato GiovanniVerniaQuaresma, pronto per esser gustato. Tutti a tavola, responso inequivocabile. Portata pesantuccia, sgradita a Del Piero e soci. Urge, seduta stante, corso d'aggiornamento sull'arte culinaria per il cuoco Ranieri. Si faccia accompagnare da chi (gli) ha procurato gli ingredienti...

giovedì 20 novembre 2008

Lo chiamavano tronista

Lo chiamavano tronista. Dal De Filippi 2008, dicasi tronista "bello senz'arte né parte, pettorali munito, fedele ed inde-fesso cultore di San Lele [Mora]". Chi biascica il calcistichese annusa il pericolo. E' il ritratto sputato della fighetta, la cirrosi epatica del tifoso medio. Tenere fuori dalla portata degli juventini. L'appello cade nel vuoto. Questo matrimonio s'ha da fare, con tanto di sfarzosa cerimonia-fiume. La luna di miele cheta le acque del dubbio, l'alba della convivenza le evapora. L'etichetta di tronista si scolla. La patina d'indifferenza-insofferenza si scrosta, a suon di capocciate.
Amauri viaggia in ascensore, destinazione Paradiso. Il marcatore scende un piano sotto. Il portiere piomba all'Inferno, incenerito da una chirurgica zuccata.
Qualora gli avversari riescano a recidere il cordone ombelicale che lo lega ai compagni, subentra il 'fai-da-te-Ama', letale fiore all'occhiello della casa. Citofonare Di Loreto. Non declinerà il verbo segnare con la scioltezza del collega Trezeguet, ma sopperisce alle lacune grammaticali con un apprendimento agile e onnicomprensivo, nonché con una predisposizione naturale al gioco di squadra. Non avrà attecchito nel cuore di Dunga, stregato dalla professionalità svizzera di Adriano, ma il Destino ha steso la sceneggiatura perfetta, che, complice la sapiente regia di Lippi, regalerà al nostro eroe, burocrazia permettendo, il ruolo di principe azzurro nel classico immortale "Italia vs. Brasile", prossimamente di scena a Londra. Ora chiudete gli occhi. Immaginate Amauri leone di Wembley. Volgete fugacemente il pensiero all'attapiratissimo CT carioca. Sommessamente godrete.
I 'nazional-pur-isti' mugugneranno, al solo pensiero di ritinteggiar di tricolore un passaporto verdeoro, in assenza di consanguinei. Ce ne faremo una ragione. Fatto. In fondo, il Belpaese ha accolto e raffinato il diamante grezzo paulista, cresciuto a pane duro e polvere nella selettiva provincia calcistica nostrana. Il bozzolo, sballottato tra Padania e Regno delle Due Sicilie, ha infine liberato un'elegante, leggiadra ma coriacea, farfalla. Seguendone l'incessante svolazzare per il campo, c'è da chiedersi se un'equipe di biologi molecolari sabaudi sia riuscita ad isolare il gene dell'abnegazione nedvediana per poi clonarlo ed iniettarlo nelle vene dell'8 bianconero. No, non è ingegneria genetica. Solo, si fa per dire, dedizione e talento shakerati in un corpo da marine.
E pur l
o chiamavano tronista! L'unico trono cui aspira è quello riservato al re dei bomber. Ha imboccato la via giusta, quella dei gol pesanti. Se il buongiorno si vede dal mattino, la notte s'annuncia gaudente e lussuriosa.

lunedì 10 novembre 2008

I'm outta time

Non sarà "giovane, bello e abbronzato", ma è l'unico essere animato a poter vantare oggigiorno consensi più massicci di Barack Obama. Piede torrido, cervello fino, lingua simmonsiana. Alex Del Piero, e chi sennò? La presa del Bernabeu è compressa nel file 'StandingOvation.zip'. Centottantamila mani spellate dagli applausi, il pecoraro italiota medio prenda nota. Effetti collaterali: bulbi arrossati (ipersensibili a rubinetti spanati) tachicardia, pelle d'oca; travasi di bile per gli antidelpieristi ossessivo-compulsivi. Inchino ricambiato.
L'ispanico Casillas impallinato come un pivello, complice barriera dadaista. Doni e Sorrentino, meno accondiscendenti del pluridecorato collega eppur incapaci di sbaffare le pennellate chirurgiche del Pinturicchio, spazzano l'aria ma s'arrendono all'arte. Il fu Godot innaffia la cultura, coltiva speranze, concima record. La data di scadenza riportata sul retro della confezione è in costante procrastinamento, in barba alle trentaquattro-candeline-trentaquattro ancora fumanti. Il peso degli anni e non sentirlo. L'amore della gente e non tradirlo. Diecipiù.
Ha collezionato corone (di capocannoniere) e difeso il proprio trono dagli usurpatori. Domato cime tempestose e picchiate paurose. Nuotato nell'oceano di inchiostro sperso criticamente dalle penne più affilate. Debellato le virulente forme di virus 'C' (nell'ordine: Capello, calciopoli, cadetteria) che ne hanno attaccato-non-intaccato le difese immunitarie.
Assorbito con dignità e orgoglio un biennio di precariato. Zittito a linguacce avvoltoi e coccodrilli. Adornato il tutto con una ciliegina made in Berlino, squarcio d'azzurro in un'estate a tinte fosche. Si piega ma non si spezza, si fa sentire ma non sbraita, parla ma non straparla. Ecche è, un santo? No, semplicemente Alex Del Piero. Fuori dal tempo, dentro la leggenda. Altro giro, altra corsa, altro inchino.