martedì 14 agosto 2007

We're all to blame

Il Real si tinge d'orange e aggiunge alla collezione di tulipani il giovane Wesley Sneijder, (stra)pagato all'Ajax 27 milioni di euro.
Julio Baptista diventa di troppo, lo vuole il Milan, campione d'Europa, in prestito con diritto di riscatto.
Fotogrammi di una realtà disarmante.
L'epoca di Cragnotti e Tanzi è uno sbiadito ricordo. Questo non è un male, viste le conseguenze, che potevano essere ben più gravi, di anni di scellerati investimenti.
I club italiani hanno perso in competitività a livello internazionale. Questo, invece, è un male.
I contratti televisivi in essere sono stipulati a seguito di trattative condotte dalle emittenti con le singole società, generando una voragine economica, e di conseguenza tecnica, tra i grandi club (sempre meno) e le altre.
La vendita collettiva porterà ad una ripartizione più equa, ad inevitabile discapito delle società più importanti. La torta è ricca, ma non abbastanza per accontentare tutti.
Per un Foti che farà i salti di gioia, unitamente a chi auspica un campionato più credibile, ci sarà un Galliani che storce il naso vedendo entrare meno euro in cassa.
Il problema di fondo rimane comunque un sistema fiscale sfavorevole se paragonato a quello degli altri paesi europei.
Per rendere l'idea, se un calciatore in Italia ha uno stipendio netto di 1 milione l'anno, la sua società deve sborsare il doppio, tasse comprese.
All'estero ci sono maggiori agevolazioni, per questo la A non è più l'Eldorado dei campioni.
E' un circolo vizioso.
Più tasse, quindi pochi presidenti con portafogli pieno, di conseguenza meno liquidità e giocatori sul mercato, eccezion fatta per l'abbondanza di prestiti e comproprietà. In base all'economia di scala, meno scelta corrisponde a maggior prezzo per il singolo, ma l'assenza di magnati rende impossibile il mantenimento della competitività di un tempo. E perchè gli Abramovich non investono in Italia? Torniamo all'inizio della catena, e non se ne esce.
I motivi non si esauriscono, però, sull'aspetto squisitamente finanziario, per quanto sia quello predominante.
L'immagine del calcio italiano è stata macchiata dal processo estivo e dalla falsa informazione, complice degli onesti mistificatori.
I problemi non nascono però dalla torrida estate 2006, ma sono precedenti e ormai storici.
L'immagine del calcio inglese, invece, si è ripulita dopo gli orrori degli hooligans nei decenni passati. Non che oggi siano scomparsi, il fenomeno si manifesta sotto forma di risse tra ubriachi nei pub, ma è certo che gli stadi oltre Manica siano più sicuri e colmi rispetto ai nostri.
Realtà e mentalità diverse. Le leggi ci sono ma non vengono applicate, anzi, sono osteggiate e contestate. Tutto vero, intanto però, gli impianti fatiscenti e i problemi d'ordine pubblico (il tristissimo culmine con la morte di Raciti) scoraggiano gli investitori.
Difficile per non dire impossibile che un nuovo Abramovich acquisti un club italiano sorvolandone lo stadio.
L'adeguamento delle strutture non può più essere procrastinato, ed è auspicabile che diventino di proprietà delle società, con tanto di polizia al soldo delle stesse.
Questa però è un'altra, complicata, storia.
Mentre come al solito in Italia si fa solo del fastidioso "bla, bla, bla", i magnati investono all'estero, soprattutto in Inghilterra, dove il Sunderland è disposto ad offrire 14 milioni alla Juve per Chiellini (!), al quale ne andrebbero 2.5 annui (!!).
Il Manchester United di Glazer, un tempo osteggiato, ha speso più di Inter, Milan e Juventus messe insieme.
Di talenti se ne importano sempre meno, in compenso ne esportiamo di più che in passato.
Dio benedica la formula della comproprietà, esclusiva italiana, altrimenti operare sarebbe ancora più difficile.
Le colpe sono diffuse, nel nostro piccolo noi tifosi possiamo dovremo 'solo' comportarci bene e foraggiare la società in tutti i modi possibili (biglietti, abbonamenti, gadgets...).
Starà poi ai dirigenti fare il massimo con i capitali a disposizione, senza nascondersi dietro false promesse di grandi investimenti presto ridimensionati.
Qualsiasi riferimento a Elkann e soci è fortemente voluto.

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