giovedì 26 luglio 2007

Incubo su due ruote

Ormai siamo al delirio, uno degli sport più amati dal pubblico perde credibilità ogni giorno che passa.
Il ciclismo sta davvero toccando il fondo in concomitanza del Tour 2007. L'edizione più pulita della storia, così si diceva. Quando l'avevo sentita questa frase? L'anno scorso, eppure sembra che nulla sia cambiato.
Vinokourov, grande favorito alla vigilia, finisce nella rete dell'antidoping, eterotrasfusione, a casa.
Con lui, tutta l'Astana, e un'intera nazione, il Kazakistan, in lutto.
Moreni, onesto gregario della Cofidis, cacciatore di corsa, viene 'catturato' dalla tentazione di andare più forte. Positivo al testosterone, rinuncia alle controanalisi. Se non altro, ammette la colpa senza accampare scuse, ciò non gli eviterà però una mesta conclusione di carriera.
Dulcis in fundo, si fa per dire, la maglia gialla Rasmussen viene licenziata dalla Rabobank per aver violato il regolamento interno, essendo sfuggito a due controlli a sorpresa nel mese di giugno. Era in Messico, così aveva detto. No, si trovava in Italia. Non si può parlare propriamente di ennesimo caso doping, ma le nubi sul corridore danese si addensano minacciose. Sarà difficile per lui trovare una nuova squadra, la sua carriera, se non finita, è certamente irrimediabilmente macchiata.
In questo squallido quadretto, c'è pure chi avrebbe il sacrosanto diritto di lamentarsi, oltre agli appassionati che stanno vedendo morire questa disciplina. Sono infatti stati esclusi dalla corsa francese i gruppi sportivi dei ciclisti positivi ai controlli durante il Tour. La responsabilità oggettiva, peraltro da rivedere, e non solo nel ciclismo, non deve assolutamente coinvolgere gli altri corridori della medesima squadra. Bisogna tenere gli occhi aperti nella lotta al doping, ma anche nel distribuire condanne. Colpire i colpevoli, non indistintamente chi li circonda.
Le responsabilità vanno accertate. Non deve essere sufficiente il sospetto, altrimenti si ritornerà ai tempi della Rivoluzione Francese, della ghigliottina e del 'Terrore', quando bastavano voci e spifferi per condannare cittadini innocenti.
La situazione attuale non facilità una battaglia incentrata su un fronte compatto. Ogni stato, dal punto di vista legislativo, affronta la piaga doping in maniera diversa.
Mentre in Italia sono frequenti i controlli a sorpresa, in Francia questi vengono effettuati da un ministero interno a quello della salute, evitando così qualsivoglia insabbiamento. Altrove, leggasi Spagna, le norme sono decisamente meno restrittive.
I risultati sono sotto gli occhi di tutti: la famigerata 'Operation Puerto' è scoppiata in Spagna, protagonisti un medico, Fuentes, e un direttore sportivo, Saez, di una squadra, la Liberty Seguros, tutti spagnoli.
Al Tour di quest'anno, 7 corridori nelle prime 13 posizioni sono sudditi di Re Juan Carlos.
Contador è stato prosciolto da ogni accusa per insufficienza di prove, mentre Valverde sembra essere coinvolto nella vicenda. Intanto, però, corre, mentre altri, come Basso e Scarponi, giustamente, stanno a casa.
A pagare sono stati gli italiani, oltre al tedesco Ullrich, ormai un ex. Impensabile che tutte quelle sacche di sangue rinvenute siano riconducibili ad un esiguo numero di atleti.
La giustizia viaggia a velocità variabile, di stato in stato, rendendo ineluttabile il bisogno di fissare uno standard internazionale.
E' lampante che i cattivi sono in vantaggio, la malattia è più forte della cura, non per questo bisogna fermarsi.
Almeno nella lotta, perchè, forse, andare tutti a casa aiuterebbe a ritrovare la credibilità perduta, nell'attesa di trovare una panacea efficace.
Il clima di sospetto, comunque, non aiuta, nè i corridori, nè gli appassionati a non allontanarsi da questo mondo.
Pene severe, da inasprire se necessario, solo però quando la colpevolezza è palese.
Più controlli a sorpresa. Per chi sfugge ad essi, stop di un mese dalle competizioni.
Sospensione dell'atleta solo a colpa accertata.
Differenziazione tra doping tentato e consumato. Un anno di squalifica e un altro di esclusione da qualsiasi corsa Pro Tour per chi prova a fare il furbo, due per chi viene beccato dai controlli. Per entrambi, esclusione a vita dai top team.
Per i corridori sospesi, una volta ripresa l'attività sportiva, percentuale di stipendio (diciamo un bel 20%) da versare nelle casse di Wada e Uci per finanziare la lotta al doping.
Sanzione pecuniaria pari all'ammontare complessivo del contratto in essere (esempio: triennale da 100mila euro, 300mila euro da pagare) per i colpevoli accertati, pari allo stipendio annuale per il tentativo di doping.
Diminuzione del numero dei team Pro Tour.
Eliminazione della responsabilità oggettiva per le squadre.
Diminuzione del chilometraggio delle tappe nelle corse a tappe, non più di 200 km, meno giorni di corsa e più di riposo.
Fissare un dislivello massimo per tappa.
Queste alcune, personali, possibili, soluzioni.
Non si può scindere l'aspetto tecnico dalla lotta al doping, perchè certi sforzi necessari per competere non fanno altro che fomentare il problema, spianando la strada ai furbi alla luce dei fatiscenti controlli praticati in certi 'paradisi del doping'.
Il garantismo deve essere applicato con rigore, perchè troppo spesso finiscono per essere coinvolti atleti che poi escono puliti da storie apparentemente brutte e senza sbocchi positivi.
Chiaramente, tutte queste idee esulano da ciò che potrà essere il regolamento del Tour, se, come pare, si staccherà dal Pro Tour per diventare un'entita scissa, con la possibilità, per gli organizzatori, di ridurre il numero di squadre partecipanti, filtrando persino i corridori con esclusione di elementi non graditi.
In attesa di ciò, restano dei coni d'ombra non indifferenti su certi, recenti, accadimenti.
Perchè una vecchia storia di doping con protagonista Di Luca, che ormai pareva chiusa, è riemersa l'indomani della sua vittoria al Giro?
Perchè la positività di Sinkevitz, risalente all'8 giugno, è stata resa nota sono durante il Tour, quindi un mese e passa dopo, con il corridore che era già ritirato per incidente? C'entra la freschissima minaccia, poi puntualmente diventata realtà, della TV tedesca, di lasciare la Francia al primo caso doping con protagonista un qualsiasi atleta legato al paese teutonico? E ancora, perchè il corridore ha firmato quella sorta di Patto Antidoping, rinunciando così ad un anno di stipendio, ben sapendo di essersi iniettato testosterone poco tempo prima? L'hanno incastrato, ha voluto fare il furbo, o è semplice incoscienza?
Se Rasmussen non fosse stato in lizza per la vittoria, il suo caso avrebbe avuto tale risalto, oppure non se ne sarebbe nemmeno parlato?
Di certo c'è che un nuovo caso Landis (a proposito, il processo va avanti, tra tragedie, testimonianze eccellenti e 'americanate' in piena regola come la paventata macchina della verità, e ancora non si conosce il nome del vincitore del Tour 2006) non sarebbe stato digeribile dai grandi del ciclismo.
A questi quesiti, ognuno può dare una propria risposta, perchè, ancora una volta, tra tanti veleni e sospetti, le certezze sono poche, la dietrologia si spreca, ma soprattutto, il ciclismo ne esce malcioncio.
Sempre di più, per l'ennesima volta.
Ora basta, bisogna risalire, perchè c'è chi, per quanto non sia facile, ancora crede in questo sport, almeno un po'. O per lo meno, ci spera.

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