lunedì 31 dicembre 2007

Io ballo da sola

Il gran ballo dei debuttanti dell’estate 2006 è stato un fiasco totale.
Un anno dopo, cambia lo scenario, di nuovo consono a cotanto blasone, ma sin dai primi giri di valzer si intuisce come qualcosa non vada. Il primo ballerino, portoghese d’importazione, sbanda, come e peggio di altri attesi novizi, così ci pensano i soliti noti a reggere la baracca.
Il 4 gennaio si riparte. Via alle danze, ma stavolta il DS Secco se ne starà saggiamente in un angolo a fare da tappezzeria. Memore delle lezioni del passato e consapevole dell’impossibilità di reperire novelli Davids (nell’accezione di giocatore tale da consentire l’annunciato salto di qualità) dopo essersi guardato un po’ intorno e un po’ nel portafogli, perché tanto di gregari ne è piena Vinovo e di campioni tesserabili nell’immediato ne è privo il mondo, l’immobilismo diventa quasi una necessità. La finestra di mercato verrà dunque tenuta chiusa, fatta eccezione per le previste defenestrazioni.
Il primo nome da depennare è Domenico Criscito, napoletano nel DNA, nordico nell’atteggiamento, genoano nel cuore, (soprattutto) acerbo nell’esperienza e nel fisico. Ad inizio stagione, Ranieri gli consegna i gradi di titolare. Lui e Andrade, la domanda è: chi dirige chi? In teoria, l’azzurrino è la spalla del portoghese, del quale non può vantare l’illustre curriculum. Il problema dell’ex Depor non è però la spalla, bensì la rotula: il solito ginocchio infame fa crack a Roma, laddove Totti si è fatto beffe di Mimmo. Roma caput mundi, Roma crocevia di stagione per i cazzutissimi Ranieri boys e, forse, di carriera per la coppia centrale designata. Ricapitoliamo: in pochi mesi, Andrade trova sulla propria strada la sfiga e di conseguenza ferri del chirurgo e lunga riabilitazione, Criscito la panchina, Legrottaglie… Dio (storia vecchia i cui effetti taumaturgici si sono manifestati solo di recente), mentre Chiellini, che da buon livornese se ne stava a sinistra, converge su posizioni più moderate, affiancando l’aspirante pastore a protezione di Buffon. Gli spazi per il biondino si restringono, il tentativo di riciclarsi terzino fallisce, il passato ritorna e diventa futuro: in una parola, Genoa. Il prestito secco equivarrebbe ad uno scolastico ‘rimandato a settembre’, il diritto di riscatto su metà cartellino puzza di bocciatura. Il solo spedirlo, anche per un semestre, in Liguria non pare un colpo di genio. D’accordo, (ri)troverebbe un ambiente a lui caro e un tecnico, profeta del 3-4-3, a lui caro. E sul modulo casca l’asino, essendo la disabitudine alla difesa a 4 uno degli scogli sui quali si sono infranti i sogni di gloria di Criscito versione bianconera. Le seconde linee in organico, poi, da Boumsong agli adattati Grygera e Zebina, potrebbero turbare i sonni di Buffon come nemmeno il piccolo Louis Thomas. Insomma, perché privarsi di un sicuro talento? L’unica, convincente, risposta, sarebbe quanto lasciato intendere da Ranieri, ovvero la richiesta del giovane di tornare nell’amata Genova per riallacciare le fila di un discorso interrotto lo scorso giugno.
All’ombra della Lanterna dovrebbe approdare anche Ruben Olivera, ala dal piede caldo e dal carattere focoso. Proprio a Genova, sponda Samp però, ne hanno già saggiato gli eccessi, tanto da rispedirlo al mittente con l’unico rimpianto di averlo voluto, fortissimamente voluto, su input di Novellino. Promemoria: diffidare dal cofondatore (l’altro è Moratti) del primo ed unico ‘Alvaro Recoba Fan Club’.
La maxi-operazione servirebbe altresì a recedere definitivamente il cordone ombelicale (dicasi comproprietà, da trasformare in cessione a titolo definitivo) che lega Matteo Paro alla Juventus, rimpinguando così le casse sociali, e, perché no, consentendo di strappare un’opzione sul giovanissimo oriundo Forestieri, talento purissimo attualmente parcheggiato al Siena.
Altro giro, altro nome. Il pacco recante il nome ‘Sergio Almiron’ giace al reparto smistamento bagagli in attesa di conoscere la propria destinazione. E’ l’eccezione che conferma la regola secondo cui è difficile scrollarsi di dosso certe etichette: gli è bastata la trasferta di Cagliari, a fine settembre, per smentire chi lo aveva eletto erede di Veron. A dire il vero, i due qualcosa in comune ce l’hanno pure (nazionalità, pelata, l’anno di nascita è divisibile per 5, i calzettoni ‘alla Sivori’), ed in più l’ex Empoli ha dalla sua una lentezza esasperante. Così, mentre Giovinco e Marchisio furoreggiano in terra toscana, il nostro è già tanto se riesce a sedersi accanto a Ranieri. La sua conferenza stampa di presentazione è una gemma incastonata nella leggenda. Poche ma significative parole pronunciate con un imbarazzo imbarazzante, perdonate il gioco di parole. Il talento di Mr. Almiron è prima avvizzito e poi evaporato in una Torino ribollente di passione, tanta, troppa per uno abituato alla placida Empoli. Il biglietto d’addio ce l’ha già in tasca, manca solo un piccolo ma decisivo dettaglio, la destinazione. I petali della margherita da sfogliare non saranno luminosi, ma questo passa il convento. Si parla di un passato che ritorna (Empoli appunto) e di un futuro che inaspettatamente si avvicina (il ritorno nella natia Argentina); l’alternativa è rappresentata da mete esotiche, e si va dal cimitero degli elefanti (Grecia e Turchia, leggasi Olympiakos e Besiktas) all’ultima frontiere del calcio dei paperoni (Russia, intesa come CSKA Mosca). L’ipotesi ventilata, onde evitare minusvalenze, è il prestito, ma trattasi ormai di bocciatura certificata. Il timbro ce l’ha messo da solo, con l’orrida prestazione in Coppa Italia, nella ‘sua’ Empoli, suggellata da un evitabilissimo rosso per fallaccio su Giovinco condito da inutili proteste.
La precaria posizione dell’argentino riabilita il compagno di mille sventure, Tiago, parso in lieve crescita e destinato a poltrire ancora tra panchina e campo, dove le sue pause fanno invidia al Celentano più ispirato. La classe c’è, il carattere spigoloso da hombre latino pure, e Locatelli ne sa qualcosa, manca tutto il resto; continuità, grinta e personalità gli fanno difetto. Lui e la Juve come Britney Spears e Kevin Federline, un matrimonio destinato al fallimento ancor prima di essere celebrato. Va di fioretto mentre l’impostazione di Ranieri richiede la spada, o, peggio, la clava di Nocerino. A ciò si aggiunga l’ingaggio da nababbo, 3 milioni netti l’anno, che allontana le possibili pretendenti. Risultato: volente o nolente, a gennaio non si muove, cosa che per altro gli riesce benissimo da alcuni mesi a questa parte, come dimostra ogni qual volta viene schierato dal tecnico romano.
Resterebbe da piazzare Boumsong, ma Secco non è attrezzato per i miracoli. Se qualcuno lo vuole, però, basta chiedere.
In entrata, il turbinio di nomi propinati dai quotidiani ha mietuto una vittima eccellente. Trattasi di Even Banega, volante del Boca nonchè mix assassino tra Pirlo e Gattuso: due giorni fa era ad un passo da vestire il bianconero di Torino, oggi è virtualmente un giocatore del Valencia, capace di rilanciare l’offerta bianconera spingendosi sino a vette inesplorate da Secco e soci (18 milioni). I soliti noti, dati in pasto ai famelici tifosi, da Borowski a Van der Vaart, da Diego a Lampard, attendono segnali da Torino. Li aspettano pure i tifosi. Non tanto i segnali, quanto i campioni.

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