lunedì 10 dicembre 2007

Il tramonto dei morti viventi

Sergio Bernardo Almiron, professione regista, aspirante nuovo Veron, sognando Sudafrica 2010. Sedotto e presto abbandonato dall'Udinese, esploso ad Empoli dopo un breve quanto infruttuoso soggiorno a Verona sponda Hellas, in estate spicca il volo e plana sulle rive del Po. Il resto è un imbarazzo continuo, dalla prima conferenza stampa sino all'espulsione in quello che fu il suo stadio, epitaffio ideale di un feeling mai sbocciato. Lo si ricorderà per la maglia di Paperinik con la quale si presentò il giorno della firma.
Non era solo. Con lui, Tiago Cardoso Mendes, reuccio allo Sporting Lisbona, uno dei tanti al Chelsea ma capace di entrare nelle grazie di Mourinho, costretto a sbolognarlo a Lione per vedersi recapitato Essien. In Francia trova la propria dimensione, suscitando rimpianti nell'ex tecnico nonchè connazionale ed interesse in Secco. L'omissis sulla professione/ruolo è affatto casuale: ufficialmente risulta incursore, ma ci sono versioni discordanti. Lo si ricorderà per l'aspetto da tronista mancato.
Sin dal primo giorno di scuola, i due fanno vita comune, dalla firma al ritiro di Acqui, dove dividono la stanza e... l'altalena. Di prestazioni, chiaramente. Alla prima conferenza stampa, Almiron palesa tutto il proprio disagio al cospetto di un mondo nuovo, presentandosi con la faccia di uno che sembra chiedersi “Cosa ci faccio io qui?”. Passano i giorni, ed il Sergio timido e smarrito sembra un lontano ricordo, mentre il compare arranca. A fine ritiro, la sentenza, pressoché unanime, è pollice su per l'ex Empoli, pollice verso per il portoghese, nonostante i significativi attestati di stima del popolo bianconero.
Quando il gioco si fa duro, qualcosa si guasta. Almiron imbocca un'inarrestabile parabola discendente, che lo conduce dal campo sino alla tribuna. L'altro regala qualche segnale di vita contro Reggina prima e Parma poi, ma le luci della ribalta sono lontane, curiosamente prerogativa di chi si ritrova attore protagonista dopo una vita da gregario (Zanetti).
In questo quadretto kafkiano, Ranieri ha faticato a trovare il bandolo dell'intricata matassa. Dopo fisiologici assestamenti, i primi si sono ritrovati ultimi, e viceversa. Nessun ripensamento, nemmeno di fronte al vistoso calo di Nocerino. Quest’ultimo è arruffone e tecnicamente approssimativo, e pur si muove. L’argentino è passato dall’anarchia all’apatia, il portoghese si trascina per inerzia. La personalità, comunque, non è di casa.
Tornando alla sciagurata serata di Empoli, Almiron è riuscito a riscattare una prestazione insipida con il doppio giallo rimediato per fallaccio a Giovinco corredato da ingiustificate proteste. Senza di lui, e con gli ingressi di Nocerino e, soprattutto, Iaquinta, la Juve ha trovato la forza di reagire, andando in gol con quest’ultimo imbeccato da Del Piero. L’argentino si è confermato calamita per gli avversari, attirati come mosche dal suo incedere incerto, e di conseguenza calamità per i compagni.
I più ottimisti nutriranno qualche speranziella in più su Tiago. Dover correre per due, lui che non corre manco per sé, gli complica esponenzialmente la vita. Pensiamo a Amy Winehouse, talentuoso usignolo inglese, precipitata in un tunnel autodistruttivo e ormai pappa e ciccia con Pete Doherty, uno che difficilmente la terrà lontana dai soliti vizi; insomma, aiutati che Dio t’aiuta, figliuolo/a, la compagnia conta. Sarà un caso, ma Tiago le cose migliori le ha fatte lontano da Almiron, libero insomma di disegnare parabole mirabili per la capoccia dei compagni, senza troppi assilli di copertura. Qui la patata bollente passa tra le mani di Ranieri, il quale pare poco orientato a cambiare. Non che l’ex Lione abbia fatto molto per indurlo a cambiare idea, sia chiaro. Il nocciolo della questione, appurata l’imprescindibile presenza di Zanetti, resta l’approccio molle del calciatore alla partita, lontano anni luce dallo spirito guerriero di Nocerino. D’altronde, le parole di Ranieri lasciano poco spazio alle interpretazioni: “Avrebbero dovuto bruciare l’erba, invece sono stati i toscani ad arare il campo. Non so se ci saranno altre occasioni”. Non fa nomi, non ce n’è bisogno. Più chiaro di così, si muore.
A questo punto, la patata bollente di cui sopra passa in altre mani, quelle di Secco, impegnato a smistare i due pacchi. Mentre per l’argentino si può ipotizzare un ritorno ad Empoli (tanto, gira e rigira, torniamo sempre lì), ovviamente in prestito, ‘Mr. 13.6 milioni’ potrebbe pure restare, se non altro per una questione meramente numerica, mancando le alternative alla coppia titolare. Tramontato lo scambio di prestiti con Riquelme, difficile trovare giocatori e società disposte ad accettare un’analoga soluzione, impossibile rivenderne il cartellino senza rimetterci vagonate di soldi, Tiago è imprigionato, bontà sua, in una sorta di gabbia dorata (3 milioni anni, mica spiccioli), roba da allontanare la malinconia con effetto immediato.
La rabbia, quella dei tifosi, resta, anzi, monta. Se possibile, a gennaio qualche ‘zuccherino’ per addolcire le due amare pillole sarebbe cosa gradita. Certo, visti i precedenti, il rischio di un altro pacco c’è. Il paracadute potrebbe arrivare proprio da Empoli (e da dove sennò?), dove c’è un usato sicuro che reclama maggior considerazione. Marchisio non aspetta altro che una telefonata da Torino per rifare i bagagli e tornare alla casa madre. Con buona pace della strana coppia, mai decollata ma tuttavia destinata a decollare, chi prima, chi dopo, suo malgrado, verso altri lidi.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Sono straconvinto del flop di Almiron e mi auguro lasci la Juve già da gennaio. Non so perchè, ma darei ancora un po' di fiducia a Tiago a meno che non venga fatto un acquisto eccellente che non ce lo faccia rimpiangere troppo