martedì 18 dicembre 2007

Talento senza testa

Genova, Stadio Marassi, benvenuto al Cassano Horror Picture Show.
Il suo personalissimo psicodramma va in scena al minuto 39. Ujfalusi lo abbraccia da dietro, l’arbitro se ne infischia e lascia correre. Sul prosieguo dell’azione, Pazienza tenta di ingroppare il povero Bellucci, ma per Banti è tutto ok; Montolivo inventa per Mutu che la schiaffa dentro: 1-1. Dapprima il ragazzo incassa lo smacco con ironia, limitandosi a richiamare l’attenzione del quarto uomo, tale Velotto; quando è quest’ultimo a richiamare l’attenzione di Gava ed il barese si vede sventolare sotto il naso un giallo per proteste, a seguito di una semplice associazione mentale (diffida + ammonizione = squalifica) realizza di essersi giocato la sfida di Roma contro i giallorossi, attesa come nemmeno la reunion dei Led Zeppelin dal popolo del rock. In pieno delirio dadaista, si alza la maglietta nonostante il freddo polare, se la strattona, si rivolge ad un imbarazzatissimo Mazzarri pronunciando frasi probabilmente sconnesse come la Salerno – Reggio Calabria (il suo maestro, non a caso, è Totti), si inginocchia, faccia a terra, sbatte il pugno destro sul manto erboso, si rialza e cammina come Lazzaro ed inveisce contro il mondo. Solo l’intervento di alcuni compagni, e persino dell’amicone Vieri e di Mutu, lo riconduce alla ragione. La quiete prima della tempesta. L’arbitro, come norma e regola, fischia la fine del primo tempo: non l’avesse mai fatto. Totò riprende ad insultarlo in tutte le lingue del mondo, barese in testa. Il rientro negli spogliatoi priva il pubblico, forse, di ulteriore spettacolo.
Nell’intervallo, un po’ tutti a chiedersi che ne sarà di lui. Aldilà del prevedibile cazziatone-paternale, Mazzarri lo sostituirà? Negativo. E dato che non si può essere genio e sregolatezza senza la prima componente, dall’alto del suo metro e un barattolo incorna (!) alle spalle di Lupatelli versione statua di sale un pregevole cross di Maggio.
Fra tutti i soprannomi che gli hanno appioppato, il più azzeccato è senza dubbio ‘Peter Pan’, eterno bambino, quasi imbarazzante nel suo essere semplicemente Antonio Cassano, anticonformista, nichilista e capace di dissipare un talento unico.
Sbarcato a Genova dopo l’incubo madridista (a nove zeri), subito adottato dal pubblico per l’abilità, piuttosto rara da queste parti, di infiammare le folle anche solo danzando sul pallone, ha inanellato una (sur)reale serie di esperienze. Vado a memoria: infortunio all’esordio in amichevole; gol con spogliarello contro l’Atalanta; primo caso rilevato su scala mondiale di autosostituzione a Catania, con tanto di “vaffa”, dedicato con amore all’amico Montella; edulcorato scambio d’opinioni con Ulivieri, tecnico della Reggina, dal quale esce incredibilmente a testa alta, un po’ perché “la parola scusa non fa parte del mio vocabolario” (cit.) “in campo sono cose che accadono” (cit.) e così via con la fiera dei luoghi comuni-ma-nemmeno-tanto. Rimedia poi solo un giallo, mentre il povero Renzaccio viene addirittura cacciato. La legge del contrappasso, implacabile come Trezeguet, lo condannerà, però, a forzato esilio calcistico dalla capitale, siccome, tanto per sviscerare un’altra ovvietà, la vendetta è una piatto che va consumato freddo.
Diceva di essere cambiato. La sceneggiata un po’ napoletana, un po’ barese, molto Cassano dimostra il contrario.
I suoi difensori denunciano l’eccessiva ‘premura’ dei direttori di gara nei suoi confronti. Ormai prigioniero del personaggio, dovrebbe piuttosto rammentare certi eccessi passati e fare mea culpa. Se al posto del talento di Bari Vecchia ci fosse stato un Palombo qualsiasi, al cartellino giallo si sarebbe aggiunto un bel rosso fiammante.
Ah, i piedi non sono mai stato un problema. Anche questo lo ha confermato domenica.
Dopo la ‘gnocca senza testa, ecco a voi il ‘talento senza testa’.

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