mercoledì 31 ottobre 2007

Quanto si gode con Tre-seghe

In attesa del 'giorno dei giorni' (4 novembre, orario da definire), la Juve si regala un rotondo 3-0 ai danni dell'Empoli con cui festeggiare, domani, 110 anni di storia.
Protagonista indiscusso della serata è Trezeguet, autore della seconda tripletta stagionale dopo quella rifilata al malcapitato Livorno.
Guai a farsi fuorviare dal risultato, eccessivamente punitivo per la compagine toscana. Il primo tempo deve far necessariamente riflettere Ranieri. Ripetere 45 minuti del genere contro la capolista richiederebbe il ricorso al pallottoliere.
Cagni opta per un prudente 3-5-1-1, come sua abitudine in occasione delle visite alle grandi. In mezzo al campo, la quantità di Marchisio è preferita alle geometrie di Giacomazzi, mentre Giovinco parte, al solito, dalla panchina.
Tra squalifiche (Legrottaglie, Chiellini, Nocerino e Nedved) ed infortuni (i lungodegenti Andrade e Boumsong), Ranieri è costretto ai salti mortali per presentare una formazione decente. A sorpresa, Birindelli viene preferito a Zebina, vista la necessità di accentrare Grygera a fianco del ripescato Criscito. Con Camoranesi e Marchionni ancora a secco di benzina, viene confermato Salihamidzic, così come, sull'altra fascia, un Palladino in crescita. Logiche di turnover costringono Del Piero alla panchina, in luogo del rientrante Iaquinta.
La vera attrazione della serata, però, si chiama Tiago, chiamato a dare segni di vita dove gli compete, e non di fronte ad un taccuino. Le speranze di vederlo sciolto di piede come di lingua svaniscono ben presto di fronte al fantasma del giocatore capace di infiammare Lione.
Dovrebbe velocizzare il gioco, fa il contrario, attirando avversari come mosche. Probabilmente, a fine primo tempo la sua maglietta è praticamente asciutta.
Verticalizzazioni ed inserimenti, questi sconosciuti. Un tempo, suo cavallo di battaglia; oggi, sbiadito ricordo.
Quando va di lusso, i suoi passaggi sono laterali.
Sguardo spaurito di chi sembra chiedersi che cosa ci fa di mercoledì sera in un grande prato verde.
Passo... ad esser buoni, in pratica gioca da fermo.
Paro o Tiago? La differenza c'è, basta vedere costo del cartellino ed ingaggio, in campo non si vede. Nella prima frazione.
Sono anzi gli ospiti a partire meglio, pur non creando grattacapi a Buffon. Grygera e, soprattutto, Criscito, fanno buona guardia. Quest'ultimo, puntuale nelle chiusure ed elegante nei disimpegni, è il vero leader dell'inedito reparto arretrato, rilanciando la propria candidatura come titolare. Arriva persino a rendersi pericoloso in attacco: è sua, infatti, l'occasione più ghiotta nei primi 45 minuti, ma Balli risponde d'istinto alla girata di sinistra dell'ex genoano a pochi metri dalla porta. Iaquinta, probabilmente appesentito dai postumi della bronchite, non brilla, facendosi notare solo per un calcio di punizione insidioso respinto dal portiere toscano. Il resto è una storia già sentita: Zanetti indispensabile, soprattutto con il nulla assoluto vicino, Palladino a sprazzi, Brazzo costante, nella mediocrità.
Altra musica nel secondo tempo. Serve un'intuizione individuale, e arriva dal destro del numero 20 bianconero, il cui pallonetto è un invito a nozze per Trezeguet (già pericolo di testa in due occasioni), bravo nello stoppare la sfera, girandosi rapidamente e puntando Balli, costretto ad atterrarlo. Stavolta niente tuffi, niente Bergonzi, è rigore, netto, per la Juve. Sul dischetto va il francese, che porta in vantaggio i bianconeri.
Cagni osa, anche questa è una notizia, e si gioca la carta Giovinco, al posto di Marianini. L'Empoli, in coincidenza dell'ingresso del talentuosissimo puffo pelato, si accende, e proprio Sebastian crea parecchi problemi a Birindelli.
Prima che il giovane prodotto del vivaio bianconero possa lasciare il segno, ci pensa, tanto per cambiare, Trezeguet, con la complicità di Tiago, in evidente crescita grazie anche al maggior spazio concessogli. Una sua pennellata su punizione dalla destra permette a David di fare doppietta, di testa, al 62°. Lo stesso binomio è decisivo in occasione del terzo sigillo. Del Piero, subentrato ad uno spento Iaquinta, vede l'avanzata del compagno, lo serve e il portoghese, dal limite dell'area, lascia partire un tiro, respinto goffamente da Balli, sul quale si avventa il falco franco-argentino per il 3-0 finale.
Due minuti dopo la 10° perla stagionale del bomber, accadono due fatti di carattere completamente diverso. Per la Juve, si rivede finalmente in campo Camoranesi per Palladino. Posizionatosi sulla sinistra, l'obiettivo è chiaro: incamerare minuti in vista della Grande Battaglia. A cinque minuti dalla fine, toccherà a Marchionni.
Nell'Empoli, invece, il portiere Balli dà forfait a causa di un guaio muscolare. Esauriti i cambi, visti i precedenti ingressi di Abate e Volpato, altro ex, per Antonini e Vannucchi, tra i pali finisce Saudati, riuscendo finalmente a farsi notare dopo essere scomparso tra le maglie difensive bianconere.
Gli ospiti chiuderanno addirittura in 9, per l'infortunio dello stesso Volpato. Un po' per appagamento, un po' per risparmiare energie preziose e un po' per carità cristiana, gli uomini di Ranieri rallentano, e la partita si spegne alla distanza. L'unico a tentare l'affondo, dall'altra parte, è il solito Giovinco, ma è un predicatore nel deserto.
Vedendolo in panchina, accanto ad un Pozzi qualsiasi, con Marchisio in campo a ringhiare su Palladino e chiunque gli passi a tiro e il timido Tiago dall'altra parte, il dubbio di aver fatto una triplice minchiata (quadrupla, pensando che i due talenti sono andati in Toscana nell'affare, diciamo così, Almiron) viene.
E' stata, senza dubbio, una serata fruttuosa.
Per la squadra, capace, pur non brillando, di portare a casa l'intera posta.
Per Del Piero, che raggiunge Furino al 2° posto nella classifica delle presenze.
Per Trezeguet, ora capocannoniere solitario della A e sempre più miglior goleador straniero nella storia ultracenteneria con 150 reti.
Infine, per Ranieri, il quale, con i rientri di Camoranesi e Marchionni, il recupero certificato di Criscito e il rilancio di Tiago, ha tutti gli elementi per preparare la sfida di domenica, quando, come non mai, avremo un solo risultato a disposizione: la vittoria.

LE PAGELLE:
Buffon 6 - Serata di relax.
Birindelli 6 - Preferito, non si sa perchè, a Zebina, fa la sua porca figura, pur patendo la vivacità di Giovinco nella ripresa.
Grygera 6 - Prestazione positiva, nonostante qualche piccola sbavatura.
Criscito 6.5 - Elegante e risoluto. La partita del rilancio.
Molinaro 6 - Generoso, vigoroso, ma ha due piedi preoccupanti.
Salihamidzic 5 - Non spinge, come al solito. I rientri di Camoranesi e Marchionni ci restituiranno un esterno destro come si deve (Marchionni ng).
Tiago 6 - Terrificante nel primo tempo, cresce alla distanza, non a caso quando l'Empoli toglie un mediano (Marianini) per osare qualcosa in più. Deve trovare continuità, ma la Juve non può permettersi di regalare un centrocampista agli avversari per 45 minuti. In partenza?
Zanetti 6.5 - Non ci fosse, bisognerebbe inventarlo. Corre per due, tampona, rilancia.
Palladino 6.5 - Conferma di essere in crescita, ma deve trovare maggior continuità nella giocata. Bellissimo il pallonetto con cui innesca Trezeguet nell'azione del rigore (Camoranesi 6 - Bentornato).
Iaquinta 5.5 - Lotta, ma non incide (Del Piero 6 - E' tornato lui, e si vede).
TREZEGUET 7.5 - Segna, e fin qui, niente di nuovo. Partecipa al gioco, rientra addirittura nella propria metà campo, e questa invece è una buona nuova.

Ranieri 6 - Misteriosa l'esclusione di Zebina. Ci riprova con Tiago, ha ragione a metà.

Empoli: Balli 5.5, Raggi 6, Piccolo 5.5, Marzoratti 5.5; Antonini 5.5 (Volpato ng), Marianini 6 (Giovinco 6.5), Marchisio 6.5, Moro 6, Tosto 6; Vannucchi 5 (Abate ng); Saudati 5.5.

Arbitro, Celi 6 - Non modifica il corso del match, ed è già un'ottima cosa. Sacrosanto il rigore.
Assistenti, Cariolato 6, Pugiotto 6.

lunedì 29 ottobre 2007

Milan in andropausa

Dr. Jekill e Mr. Hide, la doppia personalità del Milan colpisce ancora.
Dopo la disfatta interna contro l’accorto Empoli e la passeggiata in cavalleria tra le praterie ucraine, una volta esauritosi l’eco dell’inno dell’amata Champions, ecco riaffiorare le vecchie magagne.
A beneficiarne è la Roma, che pur priva di Totti, espugna San Siro grazie ad un colpo di testa del rinato Vucinic, bravo nel rubare il tempo a Nesta (piccola parentesi: da inizio anno si è fatto uccellare, tra gli altri, da Santana, Pisanu e dal montenegrino...) su perfetto invito dell’ottimo Cicinho. Lo sterile forcing dei padroni di casa lascia inoperoso Doni, e solo un cucchiaio fuori misura di De Rossi su rigore (provocato da Ambrosini, espulso) evita un passivo più umiliante.
Maldini torna all’antico e giostra a sinistra, trovandosi di fronte il duo brasiliano Cicinho – Mancini: questo è lo specchio della ‘Villa Arzilla’ rossonera. Le alternative sono in età da INPS oppure giovanotti imberbi come Gourcuff, il risultato è un mortificante +3 sul Siena terz’ultimo.
Il ciclo, culminato con la vittoria di Atene, è concluso, a meno di improbabili colpi di coda. Data anche l’età di alcuni uomini, si può parlare a ragion veduta di andropausa.
La dimensione degli uomini di Ancelotti è chiaramente europea, sia mentalmente che tatticamente, viste le difficoltà palesate sullo stretto, contro squadre desiderose innanzitutto di non prenderle. Gli affondi di Oddo, i lanci lunghi di Pirlo e le accelerazioni di Kakà restano così esclusiva per la platea internazionale, dove gli ampi spazi facilitano una manovra ad ampio respiro.
Se la diagnosi non è così difficile da formulare, per la cura, come suggerito da tifosi dotati di pungente autoironia, l’unica via è rivolgersi al dottor House, cinico e spietato, l’opposto del Milan versione campionato.
Dall’altra parte, la Roma pare ormai guarita dopo le recenti sbandate. Uscita con le ossa rotto dalle grandi sfide contro Inter, Fiorentina, Juventus e Napoli (appena 3 punti conquistati, frutto di altrettanti pareggi, con un corredo di 12 reti incassate), si è risollevata contro lo Sporting confermandosi a Milano. Le medicine giuste si chiamano Juan e Vucinic: il primo ha ridato solidità ad una difesa sonnacchiosa, il secondo si è scoperto uomo della provvidenza. Non a caso, sono stati i due marcatori del martedì di Champions. Superato l’appannamento, pur cambiando gli interpreti, la sinfonia resta la stessa, grazie ai violini giallorossi capaci di suonare all’unisono regalando sprazzi di calcio champagne.
Roma e Milano sono spaccate in due, calcisticamente, non solo per il tifo ma anche per i sentimenti, decisamente agli antipodi. Milanisti e laziali piangono lacrime amare, figlie anche di un mercato condotto al risparmio. Lotito, al contrario di Galliani, non può nemmeno cullarsi su qualche Champions racimolata negli anni, ma ha lo stesso sfoggiato il famigerato ‘braccino’. Il brusco risveglio, dopo il faticoso superamento dei preliminari e lo stoico pareggio contro il grande Real, lo ha procurato lo stesso Milan in una rara serata di gloria tutta italiana. L’incornata di Asamoah, fischiato dai soliti beceri pecoroni, inchioda gli uomini di Rossi ai bassifondi della classifica, proprio a parimerito con Maldini e soci.
Sorriso amaro per Mancini. Il pareggio di Palermo è un buon risultato, offuscato dall'infortunio di Stankovic. Un Fontana in giornata di grazia nega a più riprese la gioia del gol ad Ibrahimovic, mentre la traversa colpita da Chivu su punizione grida ancora vendetta.
La Fiorentina non approfitta dei passi falsi altrui, mezzi o completi che siano, ed impatta a Marassi contro il Genoa. Partita senza gol, con poche emozioni, che consente un piccolo passo in avanti ad entrambe le sorprendenti compagini.
I tifosi del Grifone possono consolarsi pensando alla disgraziata domenica dei cugini blucerchiati, sconfitti per 2-0 a Catania (Mascara e Martinez). Da segnalare l'ennesimo 'Cassanata': al 37° della ripresa, si ferma sulla trequarti, chiede ad Edusei di buttar fuori la sfera ed abbandona il campo lasciando sgomenti i compagni. L'amico Montella, ricordando le miraboli imprese del barese, tenta di ricondurlo a più miti consigli pensando ad uno dei suoi soliti colpi di testa, salvo essere mandato a quel paese da un nervosissimo Antonio, in realtà vittima dell'ennesimo infortunio muscolare. Resta comunque la primizia dell'uscita senza aver prima comunicato con la panchina. Una sorta di 'autosostituzione'.
Dopo il rocambolesco pari interno contro il Torino (vittorioso nell'anticipo pomeridiano, 2-0 al Cagliari a firma di Rosina e con un'autorete di Ferri), risale l'Atalanta, capace di espugnare Empoli grazie al gol del solito Doni. Da segnalare l'ingresso ad inizio ripresa di un vivace Giovinco, al contrario di Marchisio sorprendentemente rimasto in panchina dopo l'ottima prova contro il Milan. Turno di riposo in vista della sfida con il passato di mercoledì? Si spera, anche se, conoscendo Cagni, mai dare nulla per scontato.
In fondo alla classifica, respira il Parma di Di Carlo, contestato nel prepartita e salvato da quel Morfeo mai schierato nell'undici titolare nonostante tecnicamente mangi in testa a tutti i compagni. In vantaggio con l'ex Morrone, il rinato Tavano risponde con una doppietta, ma ci pensa Paci, colpevole di aver regalato un penalty agli uomini di Camolese, a riequilibrare il match. Curioso come la rete del fantasista abruzzese sia arrivata di testa, colpo per lui inconsueto.
Anche a Siena ci sono un tecnico in bilico (Mandorlini) e un numero 10 incompreso (Locatelli). In campo nel secondo tempo, l'ex talento del Milan non basta per conquistare la vittoria. Le occasioni fioccano, ma la Reggina resiste, e porta a casa un punto prezioso. La classifica, per entrambe, piange ancora, ma in tempi di magra, ci si accontenta, almeno in attesa del turno infrasettimanale di mercoledì.

CLASSIFICA:
Inter 21
Roma 18
JUVENTUS, Fiorentina 17
Udinese 15
Napoli, Atalanta 14
Catania, Palermo, Genoa 13
Torino, Sampdoria 11
Milan, Lazio 10
Parma 9
Cagliari, Empoli 8
Siena 7
Reggina 5
Livorno 2

Troppo Bergonzi per la Juve

"Vecchia Signora derubata a Napoli".
Detta così, non fa notizia.
Nel capoluogo partenopeo ci si può lasciare il cuore, rapito dalla magia unica della città, ma anche orologio, portafogli, cellulare, e chi più ne ha, più ne metta.
Nello specifico, oggetto del furto sono i (3) punti della contesa.
Il San Paolo non si senta defraudato del ruolo di 12° uomo, per una volta 'lasciato' dall'arbitro designato, Mauro Bergonzi. Gli unici ad avere il sacrosanto diritto all'incazzatura sono i tifosi bianconeri.
L'uomo della Provvidenza è stato proprio il fischietto genovese, mica Lavezzi o Zalayeta, emuli del miglior Giorgio Cagnotto, o Domizzi, freddo nel capitalizzare i due pacchi-dono recapitati sotto forma di penalty.
Manie di protagonismo degne del suo designatore, sempre pronto a spezzare una lancia a favore delle giacchette gialle, un tempo nere come l'umore di Cobolli, insolitamente combattivo, a fine partita.
E' difficile parlare di calcio di fronte a cotanta, clamorosa, totale, manifesta incapacità da parte di colui che, per definizione, dovrebbe essere super partes.
Il discorso 'i calciatori sbagliano in quanto umani, e come tali anche gli arbitri', si infrange di fronte alla diabolica recidività. Più attinente un altro parallelismo, quello con i fuoriclasse del pallone: come questi, dal nulla, possono inventare un paio di giocate decisive nel momento clou della partita, anche il direttore di gara, dal nulla, ha inventato un paio di rigori decisivi nel momento clou della partita. Unica, sostanziale, differenza, non si può parlare di fuoriclasse.
Prima dell'uno-due firmato Bergonzi, match all'insegna dell'equilibrio, con ribaltamenti di fronte e risultato in bilico.
Doveva essere la partita degli ex da una parte (Blasi e Zalayeta) e del clan dei campani dall'altra (Belardi, Criscito, Molinaro, Nocerino e Palladino); del riscatto di Almiron, preferito, chissà perchè, al fondamentale Zanetti; della conferma di Del Piero fresco di paternità. Quando il fischietto sale in cattedra, i discorsi tecnici vanno a signorine, almeno in parte.
Ranieri è squalificato dopo gli 'insulti' rivolti la settimana scorsa a Banti reo di aver invertito un fallo laterale. Se tanto mi da tanto, stavolta avrebbe sfoderato, come minimo, calci e pugni, altro che Baldini vs. Di Carlo.. Non essendo astuto come Novellino, nascostosi, nell'intervallo, tra i panni sporchi pur di interloquire con i suoi, o tecnologico come gli 007 interisti, assiepati in tribuna ed in comunicazione via auricolare con Mihaijlovic, si limita a costanti colloqui telefonici con Pessotto, primo anello della catena di sant'Antonio comprendente anche Pelizzaro e Belardi. Destinatario finale delle sue direttive, il flemmatico Damiano, all'esordio in panchina.
Almiron a parte, la formazione è quella annunciata. Difesa confermata in blocco, Iaquinta parte dalla panchina, dove fa la sua comparsa il rientrante Marchionni, a fianco dell'habitue Tiago. La vera novità è il modulo, oscillante tra il 4-3-1-2 e l'inedito 3-4-1-2. Il trio Palladino - Del Piero - Trezeguet si intende bene e muove all'unisono, ma l'occasione migliore, nel primo tempo, capita sui piedi del regista, o presunto tale, argentino, la cui sassata, a conclusione di una bella azione manovrata, scalda i guantoni di Iezzo.
Dall'altra parte, il pericolo si chiama Lavezzi. Il tamponatore notturno è un peperino indiavolato, che ama partire dalla destrea, dove trova terreno fertile grazie al solito Molinaro a due facce: inesauribile in offesa, un'offesa al calcio in difesa. Il Napoli prende possesso del centrocampo, grazie soprattutto alle geometrie di Gargano e al dinamismo di Blasi, motorino inesauribile dai piedi di bolsa. Lo scorso anno, all'Olimpico, la Juve vinse schiaccando il Napoli sulle fasce, territorio inesplorato nella prima frazione. La presenza di Garica a destra e Savini dall'altra sarebbe un invito a nozze, non fosse che i dirimpettai si chiamano Salihamidzic e il già citato Molinaro. Meglio il secondo, ed è tutto dire. Del Brazzo, in primis, si dice sia simpatico, un po' come accade alle ragazze non proprio avvenenti. Con i rientri di Camoranesi e Marchionni, si spera che il suo contributo si limiti all'intrattenimento. Buffon, colpo di testa di Domizzi a parte, se ne resta tranquillo, grazie alla buona prova della coppia Legrottaglie - Chiellini abile nel mettere la museruola a Zalayeta.
La ripresa si apre con Del Piero bravo e un po' fortunato nello sfruttare lo scambio tra Trezeguet e Palladino. Proprio il campano è il più positivo degli avanti bianconeri. Destatosi dal torpore, torna in letargo dopo la doppietta di Bergonzi, come tutta la squadra del resto.
Nemmeno il tempo di esultare, e Gargano, nonostante sia 'contrastato', nell'ordine, da Palladino, Legrottaglie e Grygera, penetra in area di rigore ed esplode un sinistro imparabile per Buffon. Primi segnali dell'imminente burrasca.
Gli uomini di Ranieri capiscono, finalmente, che è il caso di attaccare sugli esterni, e la strategia darebbe i suoi frutti, non fosse per il pallone donato alla curva napoletana da Del Piero, solissimo in area di rigore dopo il palo colpito, di testa, da Trezeguet, imbeccato dalla destra da Palladino.
Al 17°, Chiellini compie il miglior intervento difensivo della carriera, togliendo il pallone dai piedi dell'indemoniato Lavezzi. Il tuffo carpiato con doppio avvitamento dell'argentino forse trae in inganno Bergonzi, uno che comunque sa sbagliare da solo, tanto da inventarsi un rigore, trasformato da Domizzi dopo le veementi proteste bianconere. Passano 8 minuti, cambiano gli interpreti ma il copione è lo stesso, come nei film-panettone di De Laurentiis: Hamsik, fino a quel momento un po' sottotono, verticalizza per il Panterone, abile ad infilarsi nella difesa avversaria, ma soprattutto a buttarsi tre metri prima di tamponare Buffon. Per la serie, 'oltre il danno, la beffa', il numero 1 viene ammonito, e deve raccogliere ancora il pallone in fondo al sacco. 3-1, la partita finisce qui, nonostante i 20 minuti più recupero ancora a disposizione.
Due rigori del genere avrebbero affossato persino un elefante eccitato con il viagra, figurarsi undici uomini invisi ad uno stadio intero. L'unico a non calare alla distanza è Almiron, solo perchè la sua mediocrità si è prolungata senza inversioni di tendenza dal fischio d'inizio sino all'uscita in luogo di Tiago. Nè questa sostituzione, nè quelle, precedenti e tardive, di Marchionni per Grygera e Iaquinta per Palladino, cambiano qualcosa.
Pur senza voler giustificare alcuni elementi attualmente indegni di vestire la maglia della Juve, contro 'il potere di chi ha il potere', nulla si può fare.
Qualcuno magari parlerà di legge del contrappasso, di Moggi, di vendetta della classe (?) arbitrale o roba simile. Paternali a parte, l'unica certezza è rappresentata dalla necessità di fermare Mauro Bergonzi, prima che combini altri disastri. Ricordiamoci come, prima di Farsopoli, l'origine di tutti i mali fosse l'ex DS bianconero e la fantomatica 'cupola', e successivamente i fischietti si siano rincoglioniti iniziando a prendere fischi per fiaschi. Senza l'uomo nero, non ci sono più capri espiatori, solo errori dettati dall'inevitabile ricambio generazionale. Certo, come no, tutto molto bello, ma ho smesso di credere a Babbo Natale molti anni fa.

LE PAGELLE:
Buffon 6 - Incolpevole sia sulla prodezza di Gargano che sulla doppietta di Bergonzi.
Grygera 5.5 - Non impeccabile, fuori posizione sul pareggio napoletano (Marchionni ng).
Legrottaglie 6 - Tiene bene Zalayeta, Bergonzi lo mette in crisi, ma mi sento di assolverlo per questo.
CHIELLINI 6.5 - Attento, concede le briciole al vivace Lavezzi, costretto a girare dalle parti di Molinaro. Come il compagno di reparto, dimentica l'arbitro.
Molinaro 5 - Spinge, ma in fase difensiva è, come dire, 'emozionante'.
Salihamidzic 5.5 - L'opposto di Molinaro: non spinge, tiene bene la posizione, stop.
Nocerino 6 - Pur non brillando, fa diligentemente il suo. Ammonito (ingiustamente, tanto per cambiare), salterà la sfida contro l'Empoli, dove, forse, ci ritroveremo ancora Almiron (sigh!).
Almiron 4.5 - Più lento della moviola, semplicemente inutile per noi, utilissimo invece agli avversari (Tiago ng).
Palladino 6 - Nel primo tempo è vivace, si intende bene con Del Piero e Trezeguet, muovendosi tra centrocampo e attacco. Si spegne progressivamente, viene sostituito, ma nel complesso non demerita (Iaquinta ng).
Del Piero 5.5 - Stava per fallire il pallone dell'0-1, ma gli (ci) va bene. Si divora il gol dell'1-2, macchiando una prestazione comunque non brillantissima.
Trezeguet 5.5 - Maggiormente partecipe alla manovra, è troppo impreciso.

Damiano (Ranieri squalificato) 5.5 - Va bene che l'arbitro è imprevedibile, ma possibile che Zanetti stesse peggio di questo Almiron? Inoltre, i cambi avvengono in colpevole ritardo.

Napoli: Iezzo 6, Cupi 6, Cannavaro 6, Domizzi 7; Garics 6, Blasi 6.5, Gargano 7, Hamsik 6, Savini 5.5; Lavezzi 6, Zalayeta 5.5, Bergonzi 10.

Assistenti, Stefani 4.5, Faverani 6.

martedì 23 ottobre 2007

Milan, al peggio non c'è limite

Di Muslera ce n'è uno solo.
Se poi Ancelotti crede all'equazione "più attaccanti = più gol", arrivando a schierare insieme Gilardino ed Inzaghi, pur essendo ormai acclarata la loro idiosincrasia dettata da movimenti pressochè identici, allora c'è davvero poco da fare.
Un po' va capito, l'assenza cronica di Ronaldo, quella estemporanea Kakà, in attesa di gennaio, quindi di Pato, limita notevolmente il ventaglio di scelta. Gourcuff si conferma più abile a parole che in campo, Ambrosini centravanti è la fotografia di una crisi ormai innegabile. Ne approfitta l'Empoli, che passa in vantaggio con Saudati e tiene botta con le classiche barricate di Cagni, grazie anche ad un maestoso Marchisio, capace di mettere la museruola a Seedorf, per l'occasione trequartista unico. Prima del fischio d'inizio, Dida si scusa platealmente con il pubblico, chinando in avanti il capo, con le mani giunte, verso i diversi settori dello stadio. A fine match, avrebbero dovuto imitarlo tutti, i dirigenti in primis.
Anche se ormai non è che faccia poi così notizia, uno degli spunti più rilevanti dell'ultimo turno di A è la sconfitta dei rossoneri.
Non sono, però, l'unica grande ad avere problemi. La Roma sembra tornata in piena Zemanlandia. Curci e una difesa 'emozionante' permettono al Napoli di rimontare quattro volte i giallorossi, in gol con Totti, Perrotta, De Rossi e Pizarro. Per gli ospiti, vanno a segno Lavezzi, Hamsik, Gargano e Zalayeta, riuscendo a tamponare così gli errori di Iezzo.
Nell'altro anticipo, l'Inter ha la meglio sulla Reggina con una punizione di Figo spizzata dalla crapa pelata di Adriano, sostituito da Mancini al quale si rifiuta di dare il classico 'cinque'. Unici anche, se non soprattutto, nel complicarsi la vita e far parlare di sé. Gli amaranto possono recriminare per alcuni errori di mira, quando centrano la porta ci pensa il rispolverato Toldo.
La Juve evita la fuga, forse definitiva, dei nerazzurri, imponendosi sul Genoa grazie al ritrovato Del Piero. A corollario di un match meno nervoso di quanto si evinca dalle decisioni arbitrali, vengono espulsi Ranieri (!) e Nedved (qui, ahimè, nessuna sorpresa).
La Fiorentina strapazza il Siena, con una prodezza del redivivo Pazzini, la solita zampata di Mutu e il sigillo di Bobone Vieri, e resta in scia.
Rimanendo in Toscana, il match più politicizzato del campionato se lo aggiudica la Lazio, corsara a Livorno con il solito Pandev.
Il Torino sfoggia il proverbiale 'cuore Toro'. Sotto di due gol (Ferreira Pinto e Doni su rigore) ed in inferiorità numerica (espulso Natali), agguanta il pareggio per merito degli ex Ventola e Motta. Momenti di tensione tra Zampagna e Novellino, sommerso dai fischi per l'esultanza in occasione del definitivo 2-2.
A proposito di tensioni, episodio spiacevole a Cagliari, dove D'Agostino rimane stordito dall'esplosione di una bomba carta. La partita, poco spettacolare, termina 1-1. Vantaggio del Catania firmato Terlizzi, pareggio dell'emergente Matri.
Stesso risultato a Udine, dove i padroni di casa fanno la partita, si ritrovano sotto (gol di Amauri) e agguantano l'1-1 con uno splendido assolo di Asamoah.
Il match tra squadre in cerca di riscatto premia la Sampdoria. Montella d'opportunismo e un doppio Bellucci annichiniliscono un Parma sempre più in difficoltà. La panchina di Di Carlo, nonostante la difesa di Ghirardi, traballa.
Mai, però, quanto le certezze di chi, pensando di poter vivere sugli allora, si ritrova in testa alla classifica, ma sulla metà sbagliata. Vero, Galliani?

CLASSIFICA:
Inter 20
JUVENTUS
17
Fiorentina 16
Roma 15
Palermo, Genoa, Udinese 12
Napoli, Sampdoria, Atalanta 11
Milan, Catania, Lazio 10
Torino, Cagliari, Empoli 8
Siena, Parma 6
Reggina 4
Livorno 2

Tiago - Riquelme: perchè no?

All'inizio sembrava la classica suggestione spagnolo, deduzione fin troppo scontata derivante da due situazioni che fanno discutere.
Riquelme, ostracizzato dal tecnico Pellegrini per, sembra, incompatibilità caratteriale, è ai margini della rosa del Villareal, e solo con la maglia dell'Argentina può deliziare le platee con il proprio talento, per la gioia mista a rimpianto dei tifosi del Boca per i quali è una sorta di divinità pagana.
Tiago, voluto da Ranieri (lo dice il tecnico), ma presto rinnegato (lo dicono i fatti), ha pensato bene di darsi la zappa sui piedi con un'intervista-sfogo rilasciata ad un quotidiano portoghese. La risposta piccata dell'allenatore lascia poco spazio alle interpretazioni, chiudendo virtualmente, a meno di improbabili colpi di coda, l'amara esperienza in bianconero del portoghese triste.
Siccome fa comodo pensare che uno più uno faccia sempre due, sapendo dell'interessamento presente dei 'sottomarini gialli' per l'ex Lione e quello passato della Juve per l'argentino, ecco lanciata l'idea: scambio a gennaio.
La felice conclusione dell'affare è legata a numerosi fattori. Dando per scontato l'eventuale placet di Villareal e Riquelme, stuzzicato da un'ipotesi così affascinante, restano da decifrare le posizioni della Juventus, desiderosa di non far svalutare l'investimento estivo più oneroso, e del suo numero 30.
Se l'aggettivo compassato calza a pennello, come un abito su misura, a Tiago, nel caso dell'argentino si può tranquillamente parlare di lentezza esasperante. Bravo nel far correre il pallone, molto meno a muoversi lui stesso. Cedere un centrocampista eccessivamente lezioso e dal passo cadenzato per far spazio ad un trequartista ancor più 'fermo' può sembrare un suicidio. In realtà, date le circostanze, l'idea non è poi così campata per aria.
Condizione essenziale è l'elasticità di Ranieri nel cambiar modulo, passando dal classico 4-4-2 a quel 4-3-1-2 visto a Roma, dove il faro dell'Albiceleste troverebbe spazio alle spalle delle due punte. Immaginarlo calato in un differente modulo tattico è puro esercizio di fantasia, non avendo il passo per giocare defilato ed essendo del tutto sprovvisto di qualità in interdizione tali da ipotizzarne un arretramento nel cuore del centrocampo, dove verrebbe sistematicamente aggredito.
Il passo decisamente poco spedito lo renderebbe difficilmente protagonista in Italia, ma è giusto concedergli il beneficio del dubbio sino a prova contraria. Quello stesso beneficio di cui gode, per ora, anche Tiago, poco utilizzato da Ranieri. Purtroppo per lui, parole (troppe) e fatti (pochi) vanno spediti di pari passo, e conducono verso un vicolo cieco, dove si avverte una fastidiosissima puzza, quella del flop. Per quanto un allenatore, in quanto essere umano, possa tranquillamente sbagliare, le prestazioni del giocatore sono state davvero scoraggianti, l'aver perso lo sponsor che ne ha caldeggiato l'acquisto deve far riflettere.
Andando in Spagna, potrebbe rilanciarsi, nella peggiore delle ipotesi difficilmente riuscirebbe a far peggio di così, anche perchè, dietro al nulla non c'è niente.
A meno che non abbia il carattere di Gascoigne, anche per Riquelme il trasferimento porterebbe con tutta probabilità benefici. Mal che vada, a giugno ci si saluta, senza rancore.
Difficile, per non dire impossibile, impostare l'affare sulla base di cessioni definitive. Entrambi i cartellini hanno subito una forte svalutazione alla luce delle recenti disgrazie, e una società attenta al bilancio come la Juve difficilmente si farà uccellare, rimettendoci faccia e denaro. Possibile, semmai, che al prestito semestrale venga associato il diritto di riscatto. Riuscire a vendere Tiago senza rimetterci sarebbe un piccolo capolavoro.
Per quanto non sia garantito alcun vantaggio tecnico, il gioco, fermo restando l'attuale gelo tra Ranieri e Tiago, e lo scarsissimo minutaggio di quest'ultimo, vale la candela. Quindi, una volta chiariti i 'se' e i 'ma' che lo scambio comporta, perchè no?

Il risveglio del Piccolo Principe

Come un omicida torna sempre sul luogo del delitto, Damiano Cunego riparte laddove la sua ascesa al gotha del ciclismo aveva toccato forse il punto più alto. A coronomento di un'annata d'oro, il 2004, culminata con la conquista d'autorità del Giro d'Italia nemmeno 23enne, fece suo anche il Giro di Lombardia. Da stella nascente a cadente, questo rischiava di essere il destino del veronese, preciplitato nell'oblio, incapace di vincere, salvo corse di basso lignaggio, sino all'ultimo acuto sul lungolago di Como, davanti ad uno spettacolare Riccò. Troppo poco una maglia bianca al Tour e un 3° posto alla Liegi, seppur conquistati all'esordio, per un talento del suo calibro. Sempre al suo fianco, la moglie Margherita e la piccola Ludovica, nata nel luglio 2005, a dimostrazione di una precocità estesa alla sfera privata, e un nutrito numero di appassionati, conquistati dalle imprese del Piccolo Principe.
Maturo e consapevole, pare in grado di (ri)entrare nell'elitè di questo sport, stavolta per rimanerci. Resta da scegliere il veicolo con cui scalare l'Olimpo delle due ruote: grandi corse a tappe o classiche?
Il suo tallone d'Achille, le prove a cronometro, suggerisce la seconda soluzione, ma Cunego punta su un eccellente capacità di recupero da un giorno all'altro, qualità fondamentale per essere competitivi sulla lunga distanza.
Il ciclismo, impoverito tecnicamente dalla perdita del despota in grado di vincere quando vuole (Armstrong) e la storica nemesi Ullrich, senza dimenticare Basso e Vinokourov caduti in disgrazia, può contare su una nuova leva di passisti-scalatori, 'capitanata' da Andy Schleck e che annovera tra le sue fila anche l'olandese Dekker e il nostro Nibali. Guai a sottovalutare, poi, i vecchi volponi nostrani, vedi Savoldelli e Simoni e chi, come Evans, Menchov e Sastre, ha l'occasione di riscoprirsi vincente in età non più verde, dopo una vita da piazzato. Lo spagnolo Contador, fresco vincitore dell'ultimo Tour, guida la nutrita truppa di sudditi di Juan Carlos pronta a darsi battaglia, alla Vuelta ma anche in terra di Francia.
Il Cunego versione Giro 2007 difficilmente potrà competere con i corridori citati. A cronometro paga dazio rispetto agli altri big, mentre su salite lunghe e difficili non riesce (più) a fare la differenza.
Le cotes della Liegi e i muri del Fiandre possono esaltarne le doti di scattista, degne del miglior Bettini. Rispetto al toscano, è più accorto tatticamente, magari meno spettacolare, potenzialmente più redditizio, grazie ad una certa abilità nel leggere la corsa. Al contrario, la necessità di unire doti da cronomen e scalatore per puntare ad un grande giro si scontra con i limiti fisici di Cunego. Basso, all'eta del veronese, prendeva sonore scoppole dagli specialisti, ma, potendo contare su un fisico da passista, e lavorando nella galleria del vento per trovare la posizione più aerodinamica possibile, è arrivato ad infliggere distacchi abissali in grado di spegnere le velleità dei rivali. Indimenticabile l'immagine di 'Ivan il terribile' che, nella crono di Pistoia al Giro 2006, raggiunge e supera con irrisoria facilità il veronese partito ben 5 minuti prima.
Il lavoro specifico aiuterebbe indubbiamente il corridore della Lampre a migliorare, colmando parte dell'enorme gap che lo separa dai migliori, ma sarebbe insufficiente ad aggirare l'ostacolo rappresentato dal fisico troppo esile per andare ai 60 km/h quando la strada spiana.
La sua vittoria alla corsa rosa del 2004 non deve ingannare. L'avversario più pericoloso, Simoni, era suo compagno di squadra, e dovette fare da spettatore all'impresa di Falzes, con la quale Cunego mise le mani sul Giro. Fondamentale il contributo degli straordinari gregari Mazzoleni e Tonti, fuggitivi della prima ora, nello scortare il giovane compagno, scattato a 3 km dalla vetta del Furcia, sino ai piedi della salita del Terento, ultima ascesa di giornata. Sublime esempio di tatticismo applicato al ciclismo, la strategia studiata a tavolino ha consegnato la corsa nelle mani del giovane emergente.
La lettura della classifica generale induce a ridimensionare facili entusiasmi attorno a Damiano: al secondo posto finale si classicherà Honchar nel suo anno di grazia, sfruttando le crono, e alle spalle di Simoni troviamo gli incompiuti Cioni e Popovich. I distacchi sono contenuti, il 10° (Garate) è staccato di 7'47''. Basso, due anni dopo, ne infliggerà ben 9'18'' a Gutierrez Cataluna (2°), e tanto per rendere l'idea a completare la Top 10 c'è Vila, gregario Lampre, a ben 27'34''. Cunego finì ad oltre 18 minuti, umiliato a cronometro, staccato in salita.
Sin dall'anno prossimo, invece, avrà (avrebbe) la possibilità di puntare ad alcune classiche di prestigio tra cui, perchè no, la Sanremo, dove Poggio e Cipressa sono l'ideale trampolino di lancio per esaltarne le qualità, tra cui spicca lo spunto veloce, che gli consente di prevalere in sprint ristretti.
Il piatto per la stagione 2008 si arricchisce delle Olimpiadi cinesi, dove Cunego conta di esserci, così come il campione uscente Bettini e Di Luca, uno dei pochissimi ciclisti in grado di puntare a Liegi e Giro. L'evento estivo potrebbe costringerlo a rivedere i piani, ovvero puntare alle classiche primaverili, non presentarsi al Giro d'Italia e correre invece il Tour senza velleità di classifica. La stessa idea potrebbe stuzzicare l'abruzzese della Liquigas, e in questo caso la 91° edizione della corsa rosa perderebbe due sicuri protagonisti, in aggiunta allo squalificato Basso.
La palla passa ora a Cunego, arrivato ad un bivio decisivo per la sua carriera. La strada meno tortuosa lo porta, disattendendo le premesse di gioventù, a lottare contro i vari Bettini, Franck Schleck e Valverde, in gare di grande fascino come Amstel Gold Race, Liegi e ovviamente il 'suo' Lombardia, perchè, allo stato attuale, è più facile ipotizzare un tris nella 'classica della foglie morte' piuttosto che un bis in rosa.

Di certo, c'è solo il risveglio del Piccolo Principe, il solo in grado, sabato, di tener testa agli scatti del giovane Riccò, per poi regolarlo allo sprint. Dopo anni di magre, non è poco. Il ciclismo, provato da scandali e ripicche, sentitamente ringrazia.

lunedì 22 ottobre 2007

Alex firma ancora, stavolta tutti contenti

La settimana appena conclusa ha visto come indiscusso protagonista Alex Del Piero.
Il tanto agognato rinnovo ha messo fine a congetture ed illazioni sul suo futuro, lasciando spazio ai dubbi sull'effettivo apporto tecnico del giocatore. Dopo l'amara panchina di Firenze, la bronchite di Iaquinta gli regala una maglia da titolare contro il Genoa. Parte male, lento ed impreciso, qualcuno forse gli stava già preparando il coccodrillo e lanciando maledizioni sulla società rea di avergli fatto firmare un ricco contratto. No problem, la smentita non tarda ad arrivare: intorno alla mezz'ora, si defila sulla sinistra, come ai tempi d'oro, punta Konko, gli nasconde il pallone e lo supera in agilità prima, con un tunnel poi, e pur sbilanciato va alla conclusione da posizione defilata impegnando Rubinho. L'azione sfuma, ma il capitano c'è. Tempo 5 minuti, ed ecco l'incontrovertibile prova della ritrovata verve del numero 10. Su un cross dalla sinistra di Nedved, Del Piero taglia benissimo verso la porta, evita il fuorigioco e d'esterno destro batte l'esterefatto Rubinho. A pochi minuti dall'intervallo, sfodera il pezzo forte del suo repertorio, destro a girare su punizione, ma Rubinho alza in angolo. Le occasioni migliori della prima frazione portano la sua firma. Tiracci dalla distanza a parte, Trezeguet testa i riflessi del portiere brasiliano con un colpo di testa telefonato su pregevole cross di Grygera.
Proprio il ceco regala il primo brivido del match, bucando una diagonale e lasciando via libera a Di Vaio che sparacchia malamente, confermando il disgraziato investimento fatto a suo tempo da Moggi, ben 26 milioni di euro più il prestito biennale di Brighi, un ingiustificato bagno di sangue. Le occasione per gli ospiti sono davvero poche, grazie alla granitica coppia Legrottaglie - Chiellini. Decisamente meglio il primo, impeccabile ed elegante nei disimpegni, mentre il secondo alza troppo i gomiti contro Borriello, rischiando a più riprese il cartellino. Banti, fischietto dal giallo facile, colpevolmente lo grazia. A sinistra, Molinaro macchia una prestazione diligente con l'assurdo retropassaggio verso... Sculli, ipnotizzato da Buffon, bravo comunque nel respingere la conclusione.
Come si evince chiaramente dalle formazioni, è una sfida piena di ex. Konko, Milanetto, Di Vaio e Sculli da una parte, senza dimenticare mister Gasperini e l'assente Paro, Criscito dall'altra. Il talentuoso difensore resta in panchina, pagando oltremodo la ritrovata solidità difensiva. Viste le performance dei due mancini là dietro, meriterebbe un'altra chance, fatto sta che l'unica traccia di Genoa nella fila bianconere è Buffon, noto cuore rossoblu.
Tra i citati, Milanetto prova a far girar palla, ma la scarsa vena degli esterni d'attacco compica il gioco degli ospiti. Il centrocampo bianconero regge bene, soprattutto in mezzo, dove Nocerino e Zanetti fanno molta legna e, almeno il secondo non disdegna la ripartenza. Il prevedibile risultato sono lanci lunghi che anestetizzano il match, incanalato verso un noioso 1-0.
Cos, mentre le occasioni latitano, Del Piero cala, Salihamidzic fa quello che può, ovvero poco, e Trezeguet abbandonato a se stesso, sale in cattedra Banti. Feroce distributore di cartellini, espelle il pacato Ranieri, reo di averlo mandato due volte a quel paese per una rimessa invertita. Il suo atteggiamento è quello dell'arbitro inesperto, il quale per palesare la propria autorità ha bisogno di prendere provvedimenti, non essendo in grado altrimenti di gestire un match delicato ma nella norma come spigolosità.
Il tecnico aveva comunque fatto in tempo a sostituire Del Piero, scuro in volto al momento di lasciar spazio ad un vivace Palladino, ad un quarto d'ora circa dalla conclusione. Due minuti dopo tocca da Almiron per Zanetti, per la 'gioia' di Tiago.
La nota dolente di questa Juve è ancora una volta Nedved. Eccezion fatta per il cross al bacio in occasione del vantaggio, il suo apporto è praticamente nullo, vaga per il campo nervoso e ne paga le conseguenze. Prima una discutibile ammonizione, poi, il finale con il giallo, o per meglio dire, con il rosso: proprio in corrispondenda del triplice fischio, salta in maniera scomposta su Konko, colpendolo alla nuca con il gomito, e viene espulso.
Salterà, così, la sfida del San Paolo in calendario sabato sera. Se il fischietto livornese ha interpretato il gesto come violento, allora persino la sfida contro l'Inter è a rischio. Visto il rendimento, all'apparenza non è una gran perdita, ma la sua assenza fa il paio con quelle di Camoranesi e Marchionni, ancora in fase di recupero. Che sia arriva il momento di rispolverare il portoghese triste?

LE PAGELLE:
Buffon 6.5
- Il tiro di Sculli è centrale, ma lui è sempre attentissimo. Non a caso è l'unico bianconero candidato al prossimo Pallone d'Oro, prima del match è stato premiato come miglior portiere del mondo.
Grygera 6 - Buca un pallone che poteva costar caro, per il resto è diligente in fase difensiva e ogni tanto si ricorda pure di avere piedi e fiato per superare la metà campo.
LEGROTTAGLIE 7 - Stavolta, impeccabile. Mette la museruola a chiunque gli passi intorno, ed è pure elegante nei disimpegni.
Chiellini 6 - Se vuole fare il salto di qualità, deve innanzitutto contenersi, perchè quest'irruenza fa il paio con due piedi non proprio vellutati.
Molinaro 5 - Un unico errore, ma poteva costare carissimo. Per fortuna il pallone buono finisce sui piedi sbagliati, quelli di Sculli.
Salihamidzic 5.5 - Il solito Brazzo. Generoso, piedi quadrati, spinge poco. Meglio come terzino.
Nocerino 6 - Generoso, corre per due, deve lavorare sulla tecnica.
Zanetti 6.5 - Bravo come sempre in interdizione, meno continuo di altre volte in costruzione, è comunque fondamentale per questa Juve (Almiron 6 - D'incoraggiamento, almeno ha il buon gusto di starsene in silenzio, al contrario del collega Tiago).
Nedved 5.5 - Bellissimo l'assist per Del Piero, ma non basta. Ingenuo in occasione dell'espulsione, contro il Genoa perde regolarmente il lume della ragione.
Trezeguet 5.5 - Più mobile del solito, ma non sempre preciso, tocca pochissime palle e non incide.
Del Piero 6.5 - Dal 30° al 40° è devastante. Prima fa venire il mal di testa a Konko ed impegna Rubinho, poi va in gol, infine tenta una punizione delle sue, ma il portiere brasiliano è ancora una volta pronto (Palladino 6 - Vivace. Che si stia svegliando?).

Ranieri 6 - Viene espulso, ed è una notizia. Il rosso è eccessivo, ma perde comunque il proverbiale aplomb inglese. Per il resto, azzecca la formazione, anche se Criscito meriterebbe più considerazione.

Genoa: Rubinho 6.5, Konko 5.5, Lucarelli 6, Bovo 6; Rossi 6.5 (Fabiano ng), Juric 6, Milanetto 6, Danilo 5.5; Sculli 5 (Papa Waigo ng), Borriello 6, Di Vaio 5 (Leon 5.5).

Arbitro, Banti 5: Rossi esagerati, troppi gialli, dimostra poco polso.
Assistenti, Alessandroni 6, Di Liberatore 6.

E' NATO TOBIAS DEL PIERO

DAL SUO SITO UFFICIALE:
www.alessandrodelpiero.com

Cari Amici, Sonia ed Io siamo emozionati nel comunicarVi la nascita di Tobias. La Mamma ed il piccolo stanno bene. Siamo felicissimi e Vi ringraziamo per l'affetto che ci avete trasmesso. Alessandro

AUGURONI AD ALEX E SONIA!

Tiago l'ha fatta fuori dal vaso

Incompreso in Italia, Tiago ha deciso di sfogarsi sulle colonne del quotidiano portoghese 'O Jogo'.
L'"umiltè" è rimasta a Lione, assieme a quelle doti che hanno abbagliato gli 007 bianconeri.
Spirito autocritico, questo sconosciuto. Si è salvato in corner riconoscendo, da professionista, la legittimità e rispettabilità delle scelte di Ranieri. In caso contrario, sarebbe probabilmente calato il sipario sulla sua esperienza torinese.
In base all'ottica economica ormai predominante nell'era dell'azienda calcio, nonostante l'infelice uscita e le prestazioni anonime, è dovere del tecnico tentare un recupero, psicologico e tecnico, di un patrimonio societario, ma difficilmente certe frasi passeranno inosservate.
In conferenza stampa, infatti, la risposta del condottiero romana è stata durissima. Si è detto deluso da Tiago, protagonista di un'uscita di quelle che fanno male al gruppo. Come suo costume, senza peli sulla lingua. Per inciso, si è preso la responsabilità dell’acquisto.
Si può discutere sull'opportunità di non alimentare polemiche da gossip di bassa lega, seguendo il monito lanciato sempre dall'allenatore dopo la polemica estiva di Chiellini, all'insegna del 'i panni sporchi si lavano in casa'; il contenuto, però, è ineccepibile.
Lo stesso, ovviamente, non si può dire delle frasi uscite sul quotidiano portoghese.
Prima precisazione: l'intervista non sarebbe stata autorizzata dalla società. Un punto a sfavore del calciatore.
La teoria della preparazione rimasta sulle gambe del giocatore viene disintegrata dai macigni usciti dalla bocca del portoghese. Pur ammettendo le difficoltà iniziali, ha garantito di essere pronto fisicamente da inizio campionato, ponendo l'accento sul fatto che "la preparazione non era stata più intensa di quella a cui ero abituato in altri club". Anche questo non gioca a suo favore.
Ha cercato e ottenuto un faccia a faccia con il mister, dal quale è emersa le fermezza del tecnico sulle sue scelte. Attualmente è la quarta scelta in mezzo al campo, proprio lui, sbarcato in riva al Po per giocare. Dulcis in fundo, il discorso scivola inevitabilmente sul nebuloso futuro, e tra le righe si legge un aut-aut: o gioca, oppure a gennaio chiederà la cessione. La classica "zappa sui piedi".
Tutti delusi, insomma. Tiago per le scelte di Ranieri, Ranieri e la società per le parole di Tiago (presumibilmente anche per le prestazioni), il popolo bianconero per tutta questa assurda ed inesplicabile vicenda tinta di giallo. La società, nelle parole, si è affidata al pacato Secco. Districandosi tra le frasi di circostanza, è facile scorgere il malumore del DS. Nei fatti, auspicabile il pugno di ferro, con multa salata a corredo di una memorabile lavata di capo.
I primi a dare addosso al centrocampista sono i numeri. Pagato 13.65 milioni, ne guadagnerà 3 per, forse, sino al 2012. In campionato, appena 3 presenze per complessivi 148 minuti. Freddi, ma inequivocabili: ad oggi, è flop.
Analizzando le sue prestazioni, c'è da cadere in depressione. Ha avuto la grande chance contro l'avversario ideale, una modesta Reggina, impressionando soprattutto per l'estraneità alla manovra. E' parso addirittura in crescita, ed è tutto dire. Molto dotato tecnicamente ma troppo discontinuo nella giocata, è il classico portoghese bello a vedersi ma eccessivamente compassato ed evanescente.
Gli secca accomodarsi in panchina? Dopo averla fatta fuori dal vaso, qualche domenica in tribuna non ci starebbe affatto male. Così, tanto per ribadire che alla Juve certi atteggiamenti da prime donne, per altro affatto supportati dalle prestazioni, non sono tollerati.
L'idea che Aulas, presidentissimo del Lione, ci abbia rifilato un pacco, si fa concreta.
Ora come ora, nemmeno Calderon ubriaco eviterebbe a Blanc di mettere a bilancio una minusvalenza in seguito alla cessione del giocatore. Le uniche piste praticabili sono lo scambio e il prestito, ma lo stipendio di Tiago se lo possono permettere davvero in pochi.
In attesa di gennaio, spetta a lui, primo responsabile delle proprie disgrazie, dimostrare di essere uno con le palle all’interno del rettangolo verde, non solo di fronte al taccuino di un giornalista lusitano.

martedì 16 ottobre 2007

UFFICIALE: DEL PIERO ALLA JUVENTUS SINO AL 2010

DAL SITO UFFICIALE:
http://www.juventus.com/it/news/detail.aspx?lml_language_id=0&trs_id=1203000&ID=12511


Alessandro Del Piero alla Juventus fino al 2010

La Juventus ha rinnovato fino al 30 giugno 2010 il contratto di prestazione sportiva con Alessandro Del Piero. Il capitano è stato ricevuto dall’amministratore delegato Jean-Claude Blanc e dal direttore sportivo Alessio Secco nella sede della Juventus, e ha firmato l’accordo che lo legherà alla società per le prossime 2 stagioni.
Jean-Claude Blanc ha espresso la propria soddisfazione: «Oggi abbiamo raggiunto un risultato importante per il futuro della Juventus. L’accordo con Del Piero conferma le nostre ambizioni e la fiducia in un giocatore di valore assoluto che continuerà a mettere la sua esperienza al servizio della squadra e di milioni di tifosi. Del Piero è un campione del mondo, un esempio di comportamento e di stile, un calciatore di classe che continuerà a scrivere pagine importanti della nostra storia».
L’accordo sottoscritto, oltre a un riconoscimento economico adeguato a un fuoriclasse, prevede di sviluppare ulteriormente le potenzialità di immagine del capitano in settori e paesi ancora inesplorati, grazie alla piena collaborazione della struttura commerciale della Juventus.
Il presidente Cobolli Gigli ha voluto sottolineare il valore di questo rinnovo: «Siamo estremamente soddisfatti perché l’accordo concorre a consolidare il rapporto di fiducia con un grande campione. Del Piero rappresenta i nostri valori e il nostro progetto. Nel corso della sua carriera si è sempre impegnato con passione e professionalità e ha onorato con grandi prestazioni la nostra maglia. Sono certo che sarà determinante per i prossimi anni».
Anche Alessandro Del Piero ha voluto esprimere la sua soddisfazione: «Oggi ho compiuto una scelta decisiva per la mia carriera e per la mia vita. La Juventus mi ha dato tanto ed è qui che voglio continuare a vincere. La trattativa che ci ha portato alla firma è stata lunga, a tratti complessa, ma ci tengo a sottolineare l’impegno, da una parte di Jean Claude Blanc e di Alessio Secco e dall’altra di mio fratello Stefano e del dottor Dario Tosetti, presidente del Family Office che mi assiste da dieci anni. Sono sereno e fiducioso, perché condivido un progetto che sono certo ci permetterà di tornare a regalare grandi soddisfazioni ai nostri tifosi».

La telenovela è finita, finalmente. Alex, continua a farci sognare!

lunedì 15 ottobre 2007

La quiete prima della tempesta (scozzese)

A Genova, gli azzurri superano agevolmente con punteggio all’inglese la modesta Georgia.
Le reti, una per tempo, portano la firma di Pirlo su calcio piazzato e Grosso, e il timbro del portiere Lomaia, addirittura comico in occasione del vantaggio azzurro. La punizione battuta dal metronomo del Milan, è apparentemente inoffensiva, ma il numero 1 georgiano compie un incomprensibile movimento laterale, scivolando goffamente nel vano tentativo di recuperare la posizione. Il raddoppio è frutto di un bel controllo in area di Toni (un palo nella prima frazione) a liberare Grosso che supera l’incerto estremo difensore ospite in uscita con uno ‘scavetto’.
Gli avversari, privi della stella Kaladze, si presentano con il 17enne Michelidze, primavera dell’Empoli, di punta, sostituito poi nella ripresa dal 16enne Kenia. Corsa e ricorso sistematico al fallo le principali qualità della squadra di Toppmoller, assolutamente inesistente dalla parti di capitan Buffon.
Proprio il portiere bianconero vivacizza un dopo-partita altrimenti soporifero, come del resto i 90 minuti di gioco, lanciando stoccate a CT (“In campo eravamo sfilacciati…”) e compagni (“… e qualcuno camminava.”). Non fa nomi, ma tra i principali indiziati c’è Quagliarella, lontano parente dell’uomo dai gol impossibili visto la scorsa stagione.
Oltre ai 3 punti, l’altra nota positiva è rappresentata dal rientro di Toni, assolutamente imprescindibile nello scacchiere azzurro. Attualmente, è probabilmente il miglior centravanti d’area di rigore del pianeta, assieme a Trezeguet, rispetto al quale vanta una maggior predisposizione al sacrificio.
I contemporanei successi di Scozia e Francia, rispettivamente contro Ucraina e Far Oer, non cambiano di una virgola il preoccupante scenario dei nostri: o si vince a Glasgow, o, salvo clamorose sorprese, gli Europei ce li godiamo dalla poltrone, come nel 1984. L’arbitraggio dell’olandese Vink lascia spazio a qualche recriminazione per Shevchenko e compagni, possibile che l’incandescente catino dell’Ibrox Park intimorisca anche il più integerrimo dei fischietti. Un pericolo in più per gli azzurri, comunque secondario rispetto a colui che siede sulla nostra panchina.
Ieri sera, Donadoni ha dimostrato ancora una volta un’inadeguatezza lampante. Il gioco latita, la presenza del fantasma di Quagliarella incomprensibile, così come la convocazione di Curci. Nel post-partita, Capello lo pungola sulla necessità di evitare troppi esperimenti contro il Sudafrica per cementare l’attuale gruppo. Il CT da ragione all’ex tecnico del Real, affermando di non essere intenzionato a sperimentare troppo, salvo poi smentirsi con le convocazioni. Ben quattro gli esordienti (Paolo Cannavaro, Dossena, Nocerino e Rosina), l’intero undici titolare a Marassi rispedito a casa. Kafkiano.
Non per mettere le mani avanti, ma in caso di eliminazione, inutile prendersela con la Francia incapace di strappare un punto agli scozzesi. Ricordiamoci che, da campioni del mondo, abbiamo pareggiato in casa con la Lituania, siamo stati infilati da un carpentiere e salvati da Buffon nelle isole Far Oer e affrontato la Francia a San Siro puntando al pareggio. Chi è causa del suo mal pianga se stesso.
In caso di flop, è già pronto Lippi per il bis.
Stanco di fare il viticoltore e pubblicizzare videofonini con la Littizzetto, si è detto pronto ai rientro, lasciando aperta la porta alla nazionale. Interpellato su un possibile ritorno, ha risposto con un caustico “Mai dire no”. Può contare sull’appoggio del gruppo, senatori in primis, e conosce già l’ambiente. Meglio la minestra riscaldata che l’insipida pastetta attuale, meglio il vecchio chef del nuovo incapace di distinguere il caviale dal cibo in scatola, nemmeno di marca. Altro papabile è Capello, forse inviso per vecchie ruggini a Buffon, Camoranesi e Del Piero, ma vincente ovunque. Mica capita tutti i giorni di avere i due migliori tecnici italiani a spasso, e a giugno potrebbe entrare in lizza persino Ancelotti.
Dopo un anno di Donadoni, pure Oronzo Canà andrebbe bene. Tra il suo 5-5-5 e il 4-1-4-1 impostato dell’ex ala milanista, con Del Piero esterno, contro la Francia, non so davvero quale sia il modulo più improbabile.

Non c'è rosa senza spine: Del Piero (IV)

Il suo nome è sulla bocca di tutti.
Di chi sto parlando? Suvvia, è facile. Un aiutino: né Mentana, né Vespa gli hanno dedicato una trasmissione, quindi non è Alberto Stasi. E’ un calciatore, ma non si rende protagonista di figure di emme in Champions, ergo non si tratta di Dida.
Per esclusione, rimane solo lui, Alessandro Del Piero, numero 10 della Juventus… per quanto?
Quel “quanto” si presta ad una duplice interpretazione: la prima, intesa come tempo; la seconda, più maliziosa, come denaro.
Il capitano vive un periodo contraddittorio, combattuto tra la gioia per l’imminente paternità e il dispiacere per la sua situazione calcistica.
Ogni trattativa di mercato è come un parto, il rinnovo di Del Piero è ancora in travaglio. Auguri a Sonia per una soluzione più rapida ed indolore.
Ormai tutti han detto la loro sulla vicenda, mancano giusto Flavia Vento e Melita la “diavolita”. Confido in Studio Aperto, visto che a Buona Domenica sono concentrati sulle nozze di Briatore.
Già, Briatore. C’è spazio anche per lui in questa intricata vicenda.
Neo proprietario del glorioso decaduto Queen’s Park Rangers, disposto a tutto pur di avere il capitano bianconero. Possibilità di successo: 0.001%, praticamente pari a quelle che ha Fisichella di vincere un GP con l’attuale Renault.
Considerando età ed ingaggio, Del Piero non ha la fila di pretendenti sotto casa. Eppure, se volesse, Ancelotti lo accoglierebbe a braccia aperte. La politica del Milan, improntata su uomini d’esperienza che combinino classe, immagine e marketing, Collina, pardon, collima perfettamente con le caratteristiche del 10 bianconero.
Manca un tassello, fondamentale, perché si completi il mosaico: la volontà del giocatore, e conoscendone lo stile, è molto difficile immaginarlo di rossonero vestito, o comunque da avversario. Un Cavaliere non abbandona mai la sua Signora, nemmeno per gli euro del cavaliere di Arcore.
Ci sarebbero le ipotesi Arsenal e Manchester, dove gode della stima dei rispettivi tecnici e ci sono giovani talentuosi pronti ad apprendere da lui, oppure altri club inglesi di minor prestigio. Altre possibilità, come USA e Giappone, sono da scartare, perché sinonimo di pensione anticipata.
Il finale è, insomma, già scritto, manca solo la firma a suggello di un rapporto sopravvissuto alla B.
Per rimanere bianconero, Alex dovrà ridimensionare le proprie pretese.
Recedere dalle cifre del sontuoso contratto strappato da Pasqualin non è semplice, ma necessario.
Il miglior Del Piero se n’è andato con il passare degli anni, rimettendoci pure un ginocchio, ma la capacità di essere decisivo ce l’ha nel DNA. Si è soliti dividerne la carriera in due tronconi, prima e dopo il terribile incidente di Udine, datato 8 novembre 1999. Numeri e sensazioni si scontrano: i primi parlano di una miglior media gol nel periodo post-infortunio; le seconde della nostalgia per il giocatore che fu. A chi dar ragione? Ad entrambi, trovando il giusto compromesso, come quello finora vanamente cercato da Blanc e Stefano Del Piero, fratello e manager del capitano.
Con il passare degli anni, Alex ha ristretto il proprio raggio d’azione, finendo per giocare quasi da prima punta, e questo spiega pure il crescente feeling con la porta avversaria. Necessità del collettivo e scriteriate scelte tattiche, in azzurro, lo hanno costretto ad agire addirittura da esterno. In futuro potrebbe non avere più questo problema. Escluso dai convocati per la sfida contro la Georgia, nonostante un momento non certo brillante viene spontaneo collegare la scelta di Donadoni al colloquio avuto con il giocatore per chiarirne le modalità d’utilizzo. Pinturicchio non si arrende di certo, l’obiettivo sono i prossimi Europei, il sogno Sudafrica 2010. Per quell’anno, l’attuale CT potrebbe aver già fatto i bagagli. Sfatiamo un altro falso mito: Del Piero ha fallito in azzurro. Campione del mondo, miglior cannoniere azzurro in attività, trascinatore nelle fasi di qualificazione.
Quando si parla di lui, le esagerazioni sono all’ordine del giorno.
Basta poco, una panchina o una sostituzione, per parlarne in toni catastrofici, che spaziano dal “caso Del Piero” al “Del Piero è finito (?)”.
Che ci volete fare, è fatto così. Parla con gli uccelli, non ama essere sostituito, non saluta la curva ad ogni coro come fa Buffon, ed infatti qualcuno vorrebbe affidare la fascia da capitano a quest’ultimo, quello che per due estati di fila è stato vicinissimo al Milan, e senza Farsopoli sarebbe sicuramente rossonero.
L’aspetto più curioso è rappresentato dall’estrazione calcistica dei contestatori di Del Piero. I primi ad attaccarlo sono i tifosi bianconeri. Tra le molteplici critiche legittime derivanti da prestazioni insoddisfacenti, ci sono coloro che spuntano giusti giusti quando il nostro sbaglia una partita, infierendo con atteggiamento maligno e godereccio, mai, comunque, quanto farò io con loro il giorno del rinnovo del capitano. Immagino i loro travasi di bile, e godo.
Ultimamente, per la gioia di certi detrattori, Del Piero è tornato Godot.
All’esordio viene sostituito da Iaquinta sull’1-0, in coincidenza con il calo del Livorno e l’inizio della goleada, sancita dalla doppietta di Vincenzo. Si inizia così a profilare un nuovo dualismo, dopo quelli con Baggio, prima in bianconero poi in azzurro, Totti ed Ibrahimovic. Da segnalare come il primo gol dell’ex Udinese sia arrivato su rigore e il secondo per una fortunosa deviazione su tiro da fuori di Nedved. La prima rete, firmata Trezeguet, è stata propiziata dal perfetto assist di Del Piero. Contro il Cagliari, prestazione scialba. Aggravante, un pallone sparato alle stelle con la porta vuota spalancata davanti; salvagente, un gol e l’assist per il 2-3 di Chiellini. La domenica seguente, in casa contro l’Udinese, sale di tono, ma colpisce ben tre legni. A Roma, da trequartista, disputa un discreto match, con la macchia del rigore sbagliato. Seguono la panchina causa turnover contro la Reggina, il buon derby e l’esclusione di Firenze, motivata secondo i maligni da una telefonata dall’alto, più realisticamente da una forma che stenta ad arrivare.
Gli episodi lo hanno palesemente sfavorito. Due pali, una traversa, un penalty fallito, altri non concessi. Intestarditosi nei dribbling, come se dovesse dimostrare chissà cosa a chissà chi, vive certamente un periodo di difficoltà. Porre l’accento su determinati aspetti omettendone altri, si finisce per stravolgere la realtà.
Una storia d’amore come quella tra la Vecchia Signora e il suo Cavaliere non può e non deve finire così. Per il bene di tutti, urge chiudere la querelle al più presto, tenendo presente che non si tratta della fine, ma di un nuovo inizio, l’ennesimo dopo 14 anni insieme.

Non c'è rosa senza spine: Nedved (III)

Da Furia Ceca a furia cieca, nel senso che, pur continuando a macinare chilometri, il pallone lo vede poco.
Pavel Nedved, l'uomo dalla rotula tripartita, vaga per il campo senza meta come un Tiago qualsiasi.
Mai domo, mai prono... mai decisivo.
Gli infortuni di Camoranesi e Marchionni, ormai prossimi al rientro e le lune storte di Del Piero lo costringono agli straordinari.
I due uomini deputati a portare qualità in mezzo al campo, Almiron e Tiago, sono ancora in ferie, cosicché ci dobbiamo affidare ai soliti noti, Buffon, Zanetti, tanto sottovalutato quanto indispensabile, e Trezeguet, con la new entry Iaquinta.
E' una storia già vista.
I primi mesi di Nedved furono tormentati, tanto da essere puntualmente richiamati alla mente ogni qual volta si discute del già citato oggetto misterioso portoghese a mo' di appiglio. Il passaggio dal 4-4-2 classico al centrocampo a rombo avente nel ceco il vertice avanzato cambiò l'inerzia della stagione culminata nella Caporetto interista del 5 maggio.
Da lì ad arrivare al Pallone d'Oro, il passo fu breve, ma non indolore. Come dimenticare quella sciagurata ammonizione presa per un inutile fallo a metà campo, a risultato ormai acquisito, nel corso della semifinale contro il Real. Ecco manifestarsi, nella maniera più atroce, il rovescio della medaglia del suo essere un’inesauribile trottola. Dopo il triplice fischio dell'arbitro, sul volto di Pavel fanno capolino le lacrime amare di chi si è visto sfilare la possibilità di coronare un sogno cullato da anni, sin da quando, ancora ragazzino, si allenava con cura maniacale sui tiri da fuori area, divenuti poi un suo devastante tratto distintivo. Come è finita poi la finale di Manchester, senza Pavel, lo sappiamo bene.
Seguiranno anni a corrente alternata, anche a causa del rigido tatticismo di Capello, fruttuoso in Italia ma avaro di soddisfazioni in Europa, rimasta il vero cruccio del ceco.
Confinato a sinistra, discontinuo nella giocata che l’ha reso devastante, ovvero il movimento a pendolo sinistra-centro con bolide indirizzato alle spalle del portiere, la sua fortuna è stata la scarsa concorrenza, prima di Kapo poi di un Mutu rimpianto, ma non certo come ala.
La B, con il suo calcio fisico e rude, ci ha restituito il vero Nedved. Dei pochi campioni rimasti, gli unici ad aver onorato sempre la maglia sono stati, oltre al ceco, Buffon e Del Piero. Qualsiasi riferimento agli svogliati Camoranesi e Trezeguet è voluto, fortissimamente voluto.
L'estate regala il solito tormentone: Pavel si ritira o no?
Il contratto scade a giugno 2008, eppure qualcosa non va. Si scopre che, ai tempi della Triade, il biondo di Cheb aveva accettato una decurtazione dell'ingaggio per venire incontro alle esigenze di bilancio, arrivando a guadagnare meno di Boumsong e Kovac, i Gianni e Pinotto della difesa bianconera. Non vuole mica la luna, Nedved, semplicemente si aspetta che la nuova società, quella dell'etica e della trasparenza, mantenga le promesse fatte a suo tempo. Trattandosi degli stessi signori che hanno millantato un ricorso al TAR per poi ritirarlo con la coda tra le gambe, non è poco. La trattativa, infatti, va avanti a lungo, e addirittura si prospetta un trasferimento del numero 11 all'Inter. Paura e delirio, ma se al tavolo delle trattative siedono, da una parte Secco, dall'altra Raiola, l'impossibile diventa possibile. La differenza, come in campo (non quest'anno), la fa Nedved, il quale di sottomettersi ai magheggi del sedicente manager non ci pensa nemmeno lontanamente. Contratto adeguato, e tutti vissero felici e contenti.
Fino ad oggi, se non altro. Come detto, questo Nedved è lontano parente del Pallone d'Oro.
Shhhhh, meglio dirlo sottovoce, altrimenti si rischia di essere insultati.
In nome di non si sa bene cosa, attaccare, un nome a caso, Del Piero, è diventato lo sport nazionale più praticato da molti juventini, mentre l'immunità di cui gode il ceco è seconda solo a quella dei parlamentari italiani, cribbio.
Lo salva probabilmente la grinta. Una cosa che non gli si può rimproverare è l'impegno, mai venuto meno, nella buona e nella cattiva sorte, nella salute e nella malattia.
Il suo spirito da Braveheart è imprigionato in un corpo incapace di rispondere come ai tempi d'oro. Vorrei, ma non posso, insomma.
Nedved è unico, tanto da non essere presenti in organico un giocatore che incorpori tutte le sue qualità. I possibili sostituti del biondino sono molteplici a seconda del modulo scelto da Ranieri, ma tutti con un approccio al ruolo diverso dal ceco.
Nel 4-4-2 il vice Nedved è Marchionni (ora out), comunque più a suo agio sull'altra fascia. Essendo un'ala pura, da lui ci si aspettano quei cross che Trezeguet reclama vanamente da un anno e mezzo. Altre soluzioni, come l' arretramento di uno tra Del Piero e Palladino, l'avanzamento di Molinaro o lo spostamento del jolly Salihamidzic, sono da valutare solo in determinati momenti della partita o in casi d'emergenza.
Il 4-3-1-2 proposto a Roma, Pavel ha giocato a centrocampo sul centrosinistra, mostrando impegno ma facendosi notare solo in occasione del rigore procurato. La sua posizione ideale sarebbe dietro le due punte, laddove può agire un Del Piero poco propenso ad arretrare il proprio raggio d'azione. Sarebbe una sorta di ritorno al passato, ovvero all'era Lippi, quando il cambiamento tattico fu la chiave della stagione, e della carriera del ceco. Lo scorso anno, dall'alto di una, per fortuna irraggiungibile, incapacità di leggere la partita, Deschamps lo schierò in posizione centrale nella partita sbagliata, in casa contro un Albinoleffe capace di chiudere pure gli spifferi in mezzo. Risultato? Spazi intasati, 0-0. Tornando ad oggi, un modulo del genere impedirebbe il reinserimento del già citato Marchionni, ma attenzione, con il suo passo può essere l'uomo in più della squadra.
Le caratteristiche di Trezeguet inducono ad escludere un ipotetico 4-2-3-1.
Ora sta a Nedved ritrovare se stesso; gli impegni delle nazionali e la conseguente sosta lo agevolano, non la carta d'identità, purtroppo inequivocabile. Il tempo passa per tutti.
Ci sarebbe un tesoretto di 20 milioni circa, ma la priorità spetta alla difesa, inoltre acquistare a gennaio comporta un bagno di sangue, inevitabile se i dirigenti sfoderano il braccino corto a luglio e agosto.
Post scriptum: ci sarebbe pure un ragazzino di 20 anni ad Empoli, capace di infiammare il pubblico con uno stop, che ha trovato sulla sua strada un allenatore, Cagni, che lo vede a giorni alterni. E' Sebastian Giovinco, è nostro, è gratis, riportiamolo a casa. Rischio zero, non abbiamo niente da perdere, solo da guadagnare.

mercoledì 10 ottobre 2007

Non c'è rosa senza spine: Almiron & Tiago (II)

Doveva consentire il salto di qualità al centrocampo bianconero.
L'acquisto più costoso dell'ultima sessione di mercato, segno inequivocabile di una scelta precisa: addio alla mediana muscolare di capelliana memoria, spazio alla qualità.
Le (buone) intenzioni sono rimaste tali.
Tiago Cardoso Mendes, classe 1981, è l'oggetto misterioso della Juve di Ranieri.
Pagato 13 milioni al Lione, presentato insieme ad Almiron, suo gemello designato, nelle gerarchie del tecnico è stato presto scalzato da Zanetti e Nocerino.
I motivi di questa debacle sono oscuri.
Ha pagato certamente la preparazione, abituato a ritmi più blandi tipici di Inghilterra e Francia. In data 10 ottobre, però, non può essere l'unica ragione.
Tatticamente, il miglior Tiago, fuori dal Portogallo, lo abbiamo visto a Lione, schierato nel centrocampo a 3 sul centrodestra.
Le sue peculiarità, la capacità di trasformare i palloni sporchi in giocabili e gli inserimenti offensivi.
Di lui, Scolari, CT del Portogallo, ha detto: "Non da mai meno del 70% e meno del 90%".
Il presidente del Lione Aulas, dopo averlo piazzato a Torino, ha fatto intendere di averci rifilato un pacco, ponendo l'accento sui problemi fisici del ragazzo. Di primo acchito, si può pensare alle farneticazione di un uomo consapevole di aver indebolito la propria squadra. Alla luce delle rare e sconsolanti prestazioni del nostro, le parole di Aulas acquistano un significato sinistro.
Al momento della formalizzazione dell'acquisto del portoghese, le posizioni di Camoranesi e Nedved erano ancora in bilico a causa di grane contrattuali.
Ecco una possibile chiave di lettura dell'affare: nel timore di perdere uno dei due, forse l'italo-argentino, la dirigenza si è cautelata con il pupillo di Mourinho.
Certamente, il primo obiettivo per il centrocampo era Frings, quindi Tiago costituisce un ripiego, una seconda scelta.
Il tedesco è un mediano di quelli che si attaccano alle caviglie avversarie sin dal fischio iniziale. Un po' come Sissoko, dotato di un tasso tecnico maggiore tanto da meritarsi l'etichetta di nuovo Vieira. Lanciato da Ranieri ai tempi del Valencia, è stato a lungo nel mirino degli uomini mercato bianconeri. Come spesso accade, a questo punto, le versioni si fanno discordanti. Il calciatore fa sapere di aver rifiutato la proposta della Juve; altri affermano che sia stato scartato per problemi di salute (chi ad un occhio, chi ad un ginocchio); altri ancora parlano di una bocciatura da parte dell'allenatore, causa scarsa personalità.
Le caratteristiche di Tiago, come detto, sono diverse.
E' un incursore, non un mastino.
Può giocare assieme ad Almiron (il Juninho di turno) se affiancati da uno tra Nocerino e Zanetti, onde evitare di sbilanciare la squadra.
Il soprannome di "lavatrice", affibbiatogli ai tempi di Lione, è dovuto alla pulizia nel tocco di palla che gli consente di rendere giocabili palloni infidi. Attenzione, dunque: non ne esalta le doti di faticatore. Doti che non ha.
Se dirigenti e allenatore lo avessero scambiato per un emulo di Gattuso, urgono dimissioni immediate per manifesta incompetenza.
Impiegato per 90 minuti solo a Parma in Coppa Italia, dove ha sfoderato una prestazione tutt'altro che memorabile, ha sostituito Almiron alla prima di campionato e Zanetti alla terza, avendo modo di disputare una quarantina di minuti vicino all'argentino, suo gemello designato, autore di una prova disastrosa, come a Cagliari la settimana prima. Nel turno infrasettimanale, avversaria la Reggina, ampio turnover, spazio ad alcune riserve, tra cui Tiago. Schierato trequartista alle spalle di Trezeguet e Palladino, dopo 20 minuti incoraggianti, si è improvvisamente spento. Alcuni tifosi, abbagliati da un inizio promettente, ne hanno valutato positivamente la prestazione. Al contrario, ha palesato tutti i suoi limiti.
Molto dotato tecnicamente, vedi lo splendido lancio per Palladino o il doppio uno-due con il napoletano nella ripresa, si è mosso poco, evidenziando una scarsa personalità e il difficoltoso inserimento nei meccanismi della squadra. I proverbiali inserimenti senza palla sono rimasti a Lione, assieme al vero Tiago. A Torino è sbarcato il cugino scarso, eccessivamente compassato e ormai complessato.
Anacronistici e distruttivi, anzichè costruttivi, i paragoni con i vari Nedved, Sousa e Zidane, campioni esplosi a scoppio ritardato, tra problemi fisici ed equivoci tattici. Addirittura, qualcuno ha scomodato l'immenso Platini, tormentato dalla pubalgia durante i primi mesi torinesi. Tra l'altro, ai tempi del connazionale Sousa, il preparatore era Ventrone. Ci fosse ancora il 'Marine', Tiago andava raccolto con il cucchiaino.
Per uno che continua ad andare a fondo in un oceano di mediocrità, c'è chi si è ricordato di come si nuota e rimane a galla.
E' Almiron, tornato a Firenze su discreti livelli. Ha confermato di avere le qualità tecniche per far girare la squadra, gli mancano continuità e personalità. La sosta arriva al momento sbagliato, rischiando di intaccarne la crescita.
Dopo averlo visto a Cagliari contro l'Udinese, l'unica consolazione è stata pensare che fare peggio è davvero impossibile.
La squalifica di Zanetti ne ha reso necessario il ripescaggio, ma con tutti gli effettivi a disposizione, l'italiano è titolare a fianco di Nocerino.
Questo fatto non può che far riflettere chi ha speso 22 milioni per due panchinari, sbolognando troppo in fretta Marchisio.
L'ex direttore d'orchestra dell'Empoli resterà certamente, almeno sino a giugno.
Tiago si dice abbia chiesto la cessione. Interessa in patria, dove i soldi scarseggiano ma qualche contropartita tecnica appetibile, volendo, si trova. Si parla di un possibile scambio con Luisao, centrale del Benfica. Dio ce ne scampi, di Boumsong ne basta uno.
L'unica via plausibile, a meno di non trovare un pazzo disposto a sborsare 13 milioni per lui, è tenerlo, sperando che si desti dal torpore. Non è facile, anche tatticamente, trovare un compromesso buono per tutti.
Meditate, gente, meditate. Soprattutto (su) Secco...

Non c'è rosa senza spine: Criscito (I)

Nonostante il buon momento della Vecchia Signora, non è difficile scorgere qualche faccia incupita tra gli uomini di Ranieri.
Basta buttare un occhio sulla panchina, ed ultimamente ci si imbatte in Domenico Criscito.
Difficile comprendere il suo stato d'animo, vista la maschera imperturbabile assunta dal ragazzo. Non lascia trasparire emozione alcuna, giustificando così il soprannome di "svedese" affibbiatogli sin dai tempi delle giovanili genoane. Effettivamente, più che napoletano pare nativo di Stoccolma.
Sin dal precampionato, dopo i fisiologici esperimenti di mezza estate, la scelta di Ranieri è stata chiara: titolari Andrade - Criscito, dietro tutti gli altri. L'infortunio del portoghese ha rotto l'idillio, già incrinato da alcuni errori, soprattutto del numero 5.
Errori dovuti fondamentalmente all'inesperienza e al fisico esile. A preoccupare è soprattutto quest'ultimo fattore.
Se il gap in termini d'esperienza potrà essere colmato solo accumulando minuti, servirebbero invece alcune sedute extra in palestra per metter su quei muscoli necessari a reggere l'impatto con gli attaccanti della massima serie.
Criscito supera l'1.80, ma sfiora appena i 70 kg. Ne hanno beneficiato non solo Inzaghi e Totti, ma anche Rossini, Larrivey e Matri, tutti abili nel far perno su di lui per poi aggirarlo, una costante, e nel sovrastarlo di testa.
Il calcio è fatto di episodi, e questi hanno penalizzato oltremisura il giovane Under 21. Ad altri è andata meglio.
Prendiamo Chiellini. Partito benissimo contro l'inesistente Livorno, Foggia gli ha fatto girare la testa a Cagliari, facendogli fare la figura di un Gresko qualsiasi. Attestatosi su livelli da "senza infamia nè lode", contro la Fiorentina ha sfoderato una convincente prova, facilitato dal gioco, alla 'viva il parroco', dei viola, fatta eccezione per due episodi: prima battezza fuori un pallone recuperato da Semioli sul quale va in sandwich con Molinaro; infine, abbraccia Vieri in pieno recupero improvvisando un match di wrestling. Due calci di rigori non ravvisati dal distratto Rizzoli. Avesse fischiato, i giudizi lusinghieri sulla sua gara si sarebbero sciolti come neve al sole.
Alquanto discutibile la gestione di Ranieri.
A parole gli ha ribadito la fiducia, prendendosela anzi con i giornalisti colpevoli di essersi accaniti sul talentino napoletano. Lo sfogo del tecnico di fronte a microfoni e taccuini risale all'indomani della sfida di Roma, che ha visto il difensore sostituito nell'intervallo, come a Cagliari. Dopo averlo utilizzato contro la modesta Reggina, Criscito è rimasto in panchina nel derby e a Firenze, in barba alle buone intenzione palesate dall'allenatore.
In queste due occasioni, ad onor del vero, la difesa ha incassato una sola rete, su rigore, provocato (regalato) da Legrottaglie.
Attribuire i meriti dell'inversione di rotta all'esclusione di Domenico sarebbe alquanto ingeneroso.
Le due sostituzioni subite nell'intervallo, controproducenti.
Dal punto di vista psicologico, nonostante la dura scorza, hanno probabilmente intaccato l'autostima del ragazzo, fatto passare per capro espiatorio di un problema invece generale.
Tecnicamente, non ci sono stati particolari benefici.
A Cagliari, nella prima frazione Criscito ha sofferto la fisicità della coppia Matri - Larrivey, Chiellini, come detto, quella furia di Foggia, baricentro basso e svelto di gambe. Invertirli sembrava brutto? Evidentemente è così, visto l'ingresso di Legrottaglie, piazzato a fianco dello sfortunato Andrade. Il risultato è stata la doppietta da un Foggia scatenato su rigore, il primo provocato da un'ingenuità del centrale pugliese. Sul patibolo, però, c'è finito proprio Domenico.
L'errore di Roma (Totti, spalle alla porta, si appoggia regolarmente sul difensore, aggirandolo e mandandolo fuorigiri; inutile il goffo tentativo di recupero) è palese nonostante i meriti del capitano giallorosso, e va a macchiare una prova altrimenti convincente. In occasione del raddoppio giallorosso, gli si può imputare una scarsa convinzione nel contrasto con Aquilani, ma la sfortuna ha giocato un ruolo decisivo. Nell'intervallo, entra di nuovo Legrottaglie al suo posto. A complicare il quadro, il grave incidente occorso ad Andrade, tanto da costringere Ranieri a ridisegnare una difesa assolutamente inedita. Non a caso, la Roma attacca a più non posso, mancando il colpo del ko un po' per errori di mira, e un po' per un super Buffon. Infortuni dei singoli non se ne vedono, è nel suo complesso che il reparto sbanda. Come nel post-partita di Cagliari, Criscito viene crocefisso.
Lontano dalla perfezione, ma anche dal rappresentare il male assoluto.
Non si pensi che i campioni di oggi all'età di Domenico raccogliessero consensi.
Cannavaro era riserva nel Napoli; Nesta alternava partite positive e passaggi a vuoto; Maldini faceva la sua figura sulla sinistra; idem Ferrara a destra.
Ecco, proporlo a sinistra può essere una soluzione, per lo meno quando la punta da marcare meglio si combina con la potenza e la struttura fisica di Chiellini. Casiraghi lo utilizza in quella posizione, lo scorso anno Gasperini, se costretto, lo ha schierato fluidificante di sinistra nel 3-4-3 con risultati incoraggianti. I piedi ci sono, la personalità non gli fa difetto, deve solo crederci.
Lui, come Ranieri, perchè questo ragazzo ha un talento raro, se non unico attualmente in Italia, e deve giocare.
E' giovane, ogni tanto sbaglia, come del resto elementi più navigati.
Bisogna insistere su di lui, e, tempo un paio d'anni, ci ritroveremo, finalmente, con un campione cresciuto in casa, come vanno predicando da tempo Blanc e soci.

martedì 9 ottobre 2007

Italiano, portiere, meglio cambi mestiere

Le attenzioni erano tutte per Dida.
Dopo la figuraccia di Glasgow, persino la sua conferma come titolare era in dubbio.
Ancelotti lo ha riproposto, e il brasiliano, contro la Lazio, lo ha ripagato con una prestazione positiva. Incassato senza colpe il gol di Mauri, il portiere rossonero è riuscito persino a bloccaree qualche pallone.
Dovrebbe essere l'ABC del mestiere, ma le sue ultime uscite a vuoto, metaforicamente e non, invitano a concentrarsi persino su particolari un tempo poco significativi.
La categoria ha comunque rimediato una magra figura, a causa della disastrosa prova del più giovane collega, l'uruguaiano Fernando Muslera.
Lotito, rimasto troppo a lungo impelagato nell'affare Carrizo, si è vantato di aver strappato il portierino ad una folta concorrenza, comprendente anche alcuni club prestigiosi, probabilmente inglesi. Fosse vero, sarebbe l'ennesima conferma della miopia dei dirigenti della perfida Albione in tema di estremi difensori.
Passare da un mostro sacro come Peruzzi a questo ragazzino, uscito dall'Olimpico con lo zainetto sulle spalle come un liceale qualsiasi, è come rimpiazzare Platini con Magrin (sigh).
Della serata romana del 7 ottobre 2007, di Muslera si ricordano: la gita fuori porta in occasione del gol di Ambrosini, il rigore provocato su Gilardino con la complicità di Mauri, i due palloni, mittenti Kakà e il redivivo puntero biellese, infilatisi tra le sue gambe. A questo, bisognerebbe aggiungere un altro penalty, prima concesso poi revocato dall'incerto Morganti, ma è come sparare sulla Croce Rossa.
Sorge spontanea una domanda: per pescare uno così bisognava spingere sino in Uruguay?
Quello della Lazio non è un caso isolato.
Delle grandi, la sola Juve affida la porta ad un italiano, Buffon, mica uno qualsiasi.
In una scena di "Eccezziunale veramente capitolo secondo... me", Donato/Abatantuono insiste per schierare l'ucraino Shevchenko in porta e il verdeoro Dida in avanti, come tradizione vorrebbe. Visto il rendimento dei due, chissà che un cambiamento non giovi...
Scherzi a parte, il mondo va davvero alla rovescia, le consuetudini sono ribaltate, l'impossibile diventa possibile. Capità così che Inter, Milan e Roma si affidino ai brasiliani Julio Cesar, Dida e Doni. A loro si affianca il Genoa con Rubinho.
La Fiorentina punta sull'ottimo Frey, francese ma italiano di formazione.
Ad Udinese Handanovic ha scalzato Chimenti. L'inverso è avvenuto a Catania, dove all'argentino Bizzarri, ex enfant prodige, viene ultimamente preferito Ciro Polito, una carriera spesa tra B e, soprattutto, C.
Il caso limite è quello del Siena, dove il greco Elefterophoulos ha tolto il posto all'austriaco Manninger. Effetti della globalizzazione.
Succede persino di trovare un portiere canadese (Forsyth, Atalanta), costato ai bergamaschi l'eliminazione in Coppa Italia. E ce ne sono altri...
Dietro Buffon, insomma, il vuoto.
Ritiratosi Peruzzi, invecchiato Toldo, Amelia, prigioniero di Spinelli a Livorno, resta un buon portiere, nulla più, così come Abbiati, emigrato in Spagna per fare la riserva di Leo Franco. In campo contro il Barcellona, ha regalato con una topica clamorosa il vantaggio ai blaugrana. Sempre nella Liga giocano Storari (Levante), Sorrentino (Recreativo Huelva) e De Sanctis (Betis). In Inghilterra troviamo Cudicini, ormai bandiera del Chelsea, uno dei pochi sopravvissuti all'arrivo di Abramovich. Tra gli altri, ricordiamo il Roma monegasco, Pelizzoli moscovita e lo 'svizzero' Razzetti.
La Nazionale è lo specchio di questa situazione in costante peggioramente, novità assoluta e scomoda per il nostro calcio. Attualmente, il terzo portiere degli azzurri è Curci. Il romanista, lanciato giovanissimo ma presto confinato in panchina, è premiato oltre i propri meriti e potenzialità.
Viviano, mezzi fisici straordinari e grande reattività, è in B, al Brescia, come l'Under 21 Consigli, la cui riserva Sirigu milita addirittura in C1, nella pur nobile decaduta Cremonese.
Molti portieri militanti nella massima seria sono stagionati, da Ballotta a Fontana passando per Bucci e Iezzo. Il ricambio non c'è stato, i giovani vengono importati dall'estero.
Vedendo gli errori, pardon, orrori di Muslera, si capisce come qualcosa non quadri.