venerdì 18 maggio 2007

Tu chiamale, se vuoi, emozioni

Il ragazzo ha gli occhi vispi, l'espressione furba e la sfrontatezza tipica dei suoi vent'anni. E' piccolo e magro, vedendogli gli omoni che sono in campo c'è da chiedersi che trattamento riserverebbero alle sue gambette esili e veloci, forse le spazzerebbero via come fili d'erba...
Forse...
Ed ecco che all'allenatore balena la pazza idea: buttare in campo quello scricciolo con l'argento vivo addosso. Lo chiama, non legge paura negli occhi del ragazzo. Lo sta per buttare nella mischia.
Chissà che emozione, dopo tanto sudore, la realizzazione di un sogno: l'esordio. Quanti ricordi in quei momenti avranno attraversato la sua mente, come un film della sua vita. Non c'è tempo per pensare, però: bisogna agire.
Ha appena messo piede in campo, per la prima volta, e il pubblico già lo acclama a gran voce.
Giusto il tempo di prendere confidenza con l'atmosfera della partita, e gli arriva un pallone. Sulla sinistra, spalle alla porta. Girata repentina e cross. Bell'impatto. Niente compiacimenti, però. Altro pallone, controllo, conversione verso il centro, passaggio smarcante per il compagno in fuorigioco. Peccato, la giocata avrebbe meritato miglor fortuna.
La squadra va in vantaggio, e il ragazzo è il primo ad abbracciare l'autore del gol. Il capitano, il numero 10. Che è poi anche il numero del giovane, almeno quando gioca con i pari età. I compagni lo coccolano, come fratelli maggiori, ma sanno benissimo di poter contare su di lui.
Il meglio deve ancora venire. Palla al piede, dalla sinistra punta l'area di rigore. Viene contrastato da un avversario, che pare una montagna. Niente da fare, il giovane avanza. Ha poco spazio per dettare il passaggio, ma di destro disegna un rasoterra perfetto per il compagno, che non sbaglia. Gol. Il bomber beneficiario del passaggio lo abbraccia, sembrano quasi padre e figlio, salutano la curva, i compagni lo sommergono.
E' vittoria. Di squadra, del ragazzo e di chi ha sempre creduto in lui.
Per chi non l'avesse capito, il ragazzo, il giovane, non è altro che Sebastian Giovinco, numero 43, classe 1987, alto (si fa per dire) poco più di un 160 cm e leggero come una piuma.
A tutti coloro che nutrono dubbi sulla sua tenuta contro colossi senza fronzoli, rispondo con il titolo di un film di Spielberg: "Prova a prendermi".
Per chi tirasse fuori la storia che i grandi fantasisti alla sua età già infiammavano le grandi platee, ricordo che Zola a 20 anni sgambettava nei polverosi campi della Serie C.
Tecnicamente, penso non si possano nutrire dubbi sulle sue qualità. Palla al piede fa ciò che vuole, sa smarcarsi, ottimo nel dribbling, grande visione nel gioco, assorbe bene i (frequenti) colpi che riceve, non difetta certo in personalità. L'età è dalla sua.
Non massacriamolo alla prima prova sottotono. Non eleggiamolo a 587916786 erede di Maradona.
Semplicemente, godiamocelo.
Il ragazzo ha una dote rara. Dispensa pillole di calcio vero, tecnico e veloce, come piace alla gente, pur non cercando la giocata fine a se stessa. Nel calcio di oggi, abbiamo bisogno di artigiani, ma anche di artisti geniali e particolari che ci riempiano il cuore.
In una stagione come quella in corso, si sente il bisogno di talenti che accendono il cuore con una giocata.
Giovinco, certo.
Non solo. Anche la sicurezza del "piccolo Lord" del centrocampo Marchisio, ormai una sicurezza.
Lo straripante De Ceglie, come dimenticare la sua corsa coronata da un bel gol contro il Lecce.
Il geometrico Venitucci, metronomo del centrocampo.
La semplicità di Bianco, che entra in campo giocando come sa, senza fronzoli e senza timore.
Senza dimenticare Palladino, a volte eccessivamente lezioso e poco cattivo, ma talentuoso.
Non saranno fenomeni, ma sono i nostri ragazzi, il nostro futuro. Il futuro è oggi.
Come rimanere indifferenti alle loro giocate?
Tu chiamale, se vuoi, emozioni.

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