martedì 22 gennaio 2008

Apperò, 'sto Ka-Pa-Ro...

Milan up, Juve down. Il 2008 ha parlato.
Il Ka-Pa-Ro, trio meravigliao, ha tramortito il Napoli, ponendo fine all'emorragia di punti tra le mure (poco) amiche, ma è stato il riesumato Gilardino ad infilare Handanovic in pieno recupero consentendo di espugnare l'ostico Friuli. Gioventù italiana vs. fantasia carioca 1 a 1.
L'avvento del Papero con l'apparecchio e il ritorno dell'InGordo hanno sancito la nascita del Milan D.P. (Dopo Pato), il recupero del caro, vecchio, rombo e l'inizio di un'inesorabile risalita, obiettivo quarto posto.
Un confronto uomo vs. uomo tra bianconeri e rossoneri è improponibile, avendo i due team un'impronta totalmente diversa: tanto la Juve punta sulla classe operaia, integrata ovviamente dalla classe dei cinque samurai, quanto il Milan predilige una manovra briosa e dipendente dalle lune dei solisti, Kakà in testa.
Altra testimonianza di differenti attitudini è la disposizione verticale dei registi di Ancelotti (Pirlo e Kakà) rispetto a quella orizzontali dei creativi, o presunti tali, sabaudi (Camoranesi e Almiron e/o Tiago).
E qui casca, il primo, asino. L'italo-argentino ha preso la residenza in infermeria, gli altri due sono sul piede di partenza dopo aver segnato solo le poltroncine della panchina. Accade così che Trezeguet sveste i panni del killer per rinculare sovente, Del Piero fa lo stesso alla faccia della carta d'identità e l'alternativa si chiama Iaquinta, lanci lunghi, spallate e tanta buona volontà.
La differenza l'hanno fatta gli estremi. Dida dispensa gol, Buffon parate. Gilardino e l'Inzaghi versione italiana hanno le polveri bagnate, il franco-argentino è il re dei bomber. Il Kalac versione canguro di Udine ed il già citato tridente delle meraviglie restringono la forbice qualitativa (la manovra trova così sbocco negli ultimi sedici metri) e quantitativa (parate, gol e punti in cascina).
Il simbolo del Milan A.P. è Superpippo eroe ad Atene e Yokohama ma appannato a Cagliari e Siena, nel senso di Italia, isole comprese, Serie A. Un paio di reti in 29 partite è bottino eloquente per chi fa del gol una ragione di vita e unica giustificazione alla propria presenza in campo. Persino il Pallone d'Oro in carica, lontano dalle praterie europee, è parso imbrigliato e combattuto tra anarchia espressiva e i dettami tattici di Ancelotti.
La diversa filosofia aziendale passa anche dalla megalomania verbale e mediatica dei Meravigliosi, direttamente proporzionale alla mentalità del presidentissimo, e dall'atteggiamento verso le bandiere, coccolate a prescindere. E come dimenticare la priorità assegnata agli allori internazionali a discapito di quello scudetto che sfugge dal 2004. Invertite i fattori e avrete la Juventus.
Ad oggi, limitatamente al campionato, i fatti parlano a favore dei ragazzi di Ranieri. Al Ka-Pa-Ro l'arduo compito di sovvertire le gerarchie. 'Arduo' è da interpretare come un auspicio, più che come effettiva convinzione.
Certo, se Babbo Natale, dopo i pacchi anticipati (Almiron e Tiago), si degnasse di consegnare, alla buon'ora, i regali promessi (Mellberg o chi per lui, Sissoko), forse il tecnico avrebbe modo di far rifiatare persino Zanetti e di riconsegnare Birindelli al proprio habitat naturale, la panchina. A quel punto, messa una pezza sugli orrori di mercato e completata la rosa con i petali mancanti, anzichè guardarsi alla spalle, sarebbe lecito dare l'assalto a quella seconda piazza distante cinque lunghezze, lasciando i rossoneri impelagati nell'inseguimento all'ultimo posto utile per evitare quell'inutile brodino chiamato Coppa Uefa.

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