martedì 20 novembre 2007

Oc, pasiensa e bus de cul

Silvio disse Roberto, e Roberto fu.
Estate 1986, il Silvio in questione è Berlusconi (e chi sennò?), neo-proprietario del Milan determinato a far dimenticare il tormentato regno di Giussy Farina. Il suo primo acquisto fu un esterno destro di spiccate propensioni offensive, bergamasco doc, cresciuto a pane e pallone nel florido settore giovanile della Dea. I due andranno d'amore e d'accordo per una decade, monoponolizzata dai colori rossoneri negli anni '91-'94, senza nulla togliere all'epopea dell'Arrighe. Dopo il biennio a stelle e strisce nei Metrostars, il ritorno a Milanello su diktat capelliano con l'investitura di leader spirituale di un gruppo allo sbando, dall'alto di un carisma non comune. Molte cose sono cambiate: ritrova tre olandesi, peccato che le affinità con Gullit, Rijkaard e Van Basten finiscano qui; meteore del calibro di Cardone, Daino, Ba, Maini, Anderson e Maini collezionano ciascuno diversi gettoni di presenza. Roba da rimpiangere il primitivo calcio degli yankee. Il metronomo di quella squadra è Demetrio Albertini. Segnatevi il suo nome, Roberto da Cinisello Balsamo gli deve molto.
Il tempo di conquistare l'ennesimo scudo, ed ecco, l'ultima, affascinante, avventura, di una carriera vissuta in bilico tra la fedeltà e il richiamo dell'esotico, meglio se accompagnato da un pacco di dollari. Stavolta in Arabia, nell' Al-Ittahad. Qui chiude una carriera costellata di successi, roba da far arrossire il 99% dei colleghi e rosicare Bergomi, suo coetaneo e simbolo della Milano che piange.
Diversi alfieri di quel Milan stellare intraprenderanno, con alterne fortune, la carriera di mister. Mentre gli altri mietono successi, Donadoni è costretto alla gavetta nelle serie inferiori, con il vago sospetto di portare sfiga. Inizia a Lecco, nel 2001/2002: a fine stagione, dopo una buona annata, arriva il fallimento. Passa al Livorno, dove incrocia per la prima volta Aldo Spinelli, noto mangia-allenatori. Salvezza in carrozza, la conferma che trattasi di tecnico emergente, meritevole di un'occasione importante.
Eccola: il Genoa, nobile decaduta in cerca di riscatto. Il presidente Preziosi è uno dall'esonero facile, e, c.v.d., dopo tre sconfitte in altrettante partite, viene cacciato. L'anno dopo, una valigetta galeotta costa ai liguri un doppio salto all'indietro, nell'inferno della C. Nel frattempo, Spinelli si ricorda di quel giovane condottiero, e lo richiama nel gennaio 2005 al posto di Colomba, volato via per qualche passo falso di troppo. E' la grande occasione per Roberto, e la sfrutta alla grande, con l'8° posto finale e Lucarelli capocannoniere proletario nel campionato dei ricchi.
Per la prima volta, inizia la seconda annata consecutiva sulla medesima panchina. Ad una partenza a razzo segue una flessione, preventivabile se le tue fortune dipendono dalle lune del capo-tribù nonchè bomber Lucarelli.
Al 23° turno, il Livorno si è issato sino al 6° posto, guadagnandosi i galloni di sorpresa dell'anno. All'Ardenza arriva il Messina, e qui il 'presidente-Gabibbo' realizza una personalissima apologia della follia. Gli ospiti rimontano, da 2-0 a 2-2, aiutati da arbitro e guardalinee che confezionano un rigore assurdo (eufemismo) per un fallo di mano avvenuto un paio di metri fuori dai sedici metri. Colpa di Moggi? No, è tutta colpa di Donadoni, almeno a detta di Spinelli. Il giovedì successivo, arrivano le dimissioni dell'allenatore, logica conseguenza della degenerazione del giocattolo calcio, in mano a sedicenti kapot bravi solo a cianciare. I labronici vinceranno il derby contro i cugini viola, ma soprattutto, guidati da nonno Mazzone, collezioneranno sette sconfitte di fila, e addio Uefa.
Due siluramenti in cinque anni sono una fastidiosa macchia nel pedigree di un tecnico, ma, ripensando ai datori di lavoro, il tutto assume un peso inferiore. Certo, da qui a renderlo papabile per il dopo-Lippi in azzurro ce ne passa.
Ora è necessario riavvolgere il nastro. Avevo consigliato di segnarsi un nome, quello di Albertini. Il perchè è presto detto. Nominato commissario straordinerio della FIGC, braccio destro di Drive Red, ex consigliere del CDA interista, legato a doppio filo a Moratti e Tronchetti, spetta a lui scegliere i nuovi CT di nazionale campione del mondo e Under 21. Accantonato Gentile, vengono chiamati il Roberto e il Gigi (Casiraghi), affiancato da Zola e Rocca.
Rapido sunto della carriera dell'ex bomber (vabbè, facciamo centravanti) della Juve: giovanili Monza, Legnano in C2 ma presto esonerato con la squadra nei bassifondi della classifica, coordinatore del settore giovanile del Monza, CT dell'Under.
La ricostruzione è completa. Anzi, no, guai ad omettere l'esperienza più rilevante, ovvero la comune militanza con Albertini in azzurro.
Va in onda 'Amici di Demetrio': uno piazzato sulla panchina più prestigiosa, un altro a plasmare futuri campioni sotto i 21 anni.
Il buon senso consiglierebbe, in assenza di gente di un certo livello con esperienza nei club, di affidarsi ad un tecnico federale, come fu ai tempi di Bearzot e Vicini. A rigor di logica, poteva essere il turno del pluridecorato Gentile. Nisba, è ancora a spasso.
Le alternative non solleticavano certo le fantasie del popolo. Da Ranieri a Zaccheroni (paura, eh?), 'low profile'.
La stampa intanto affila le penne, pronta ad attaccare il giovine Donadoni al primo (mezzo) passo falso. Arriva subito, all'esordio ufficiale, sotto forma di scialbo 1-1 interno con la modesta Lituania.
Il remake della finale di Berlino si traduce in un 3-1 Francia senza possibilità di replica. La scusa della condizione non regge, il rimpianto per Lippi monta, la panchina già scotta.
Il cammino prosegue fra alti (pochi) e bassi (tanti), un gioco che non c'è e la consapevolezza, nel tecnico, di defenestrazione immediata a furor di popolo in caso di mancata qualificazione.
Se la concorrenza francese era più prevedibile delle frasi al veleno di Domenech, la sorpresa si chiama Scozia. Imbattibile tra kilt e cornamuse, vulnerabile fuori dai confini nazionali. Il contrario dell'attuale Milan, insomma. A Bari, una doppietta di Toni annichilisce la resistenza degli uomini di McLeish.
Un dato, inconfutabile: 6 a 1. Sono i punti conquistati, rispettivamente, da Scozia ed Italia contro i galletti. I risultati sono logica conseguenza del diverso approccio alle partite. Se gli anglosassoni, pur costretti da cause di forza maggiore (leggasi: valori tecnici inferiori) a giocare a nascondino, non demeritano in quanto ad intraprendenza, la banda Donadoni rimedia un punticino interno, ma soprattutto una discreta figura di emme.
Intendiamoci, 0-0 è lo stesso risultato della finale dei Mondiali senza i calci di rigori e con annessa testata di Zidane; le critiche sono motivate dall'atteggiamento rinunciatario di fronte ad un avversario sbarcato a Milano per strappare un punto e riuscitosi senza apparente affanno. La scelta di schierare Del Piero esterno sinistro costretto spesso a rinculare su Ribery grida ancora vendetta; lo stesso Alex ha ritenuto poi necessario chiarire all'unico essere vivente ancora all'oscuro della cosa (per sua sfortuna, il CT Donadoni) che lui è una seconda punta da tempo immemore. Risultato: da quella sera, la nazionale l'ha vista dalla poltrona di casa.
Dopo il colpo gobbo scozzese a casa Sarkozy, la situazione della classifica è tale da rendere la sfida di Hampten Park prevista per il 17 novembre vero e proprio crocevia per la qualificazione, con la Francia avviata senza patemi a staccare il biglietto per i prossimi Europei.
Attenzione, però, a dare troppe cose per scontate nel calcio... altro giro, altro nome. Levan Michelidze. Sorge spontaneo l'interrogativo: "Ma chi cazz'è?". Trattasi di un 17enne georgiano, tesserato per l'Empoli dove milita nella formazione Primavera, autore del primo gol nel 2-0 inflitto a Ferguson e soci.
L'imprevisto passo falso cambia gli scenari, ora all'Italia basta un pareggio a Glasgow.
Subito avanti con Toni, entra in scena l'arbitro Mejuto Gonzales, che prima annulla lo 0-2 firmato Di Natale e poi, nella ripresa, convalida il pareggio di capitan Ferguson, realizzato in offside. Ci pensa Panucci a regalare, allo scadere, il primo successo in Scozia.
Già, Panucci. Reietto ai tempi di Lippi, resuscitato da Donadoni nonostante qualche screzio con Spalletti. Di Germania 2006 è stato semplice telespettatore, visto che gli è stato preferito Zaccardo, il cui unico contributo alla causa è stato riuscire laddove hanno fallito i vari Shevchenko, Klose, Podolski e Henry: far gol a Buffon su azione. Anche per lui è arrivato il momento della rivincità. Da quando Lippi si è dato a vinicoltura e videofonini, ha rincominciato a respirare l'aria di Coverciano.
Proprio il romanista è lo specchio della gestione Donadoni. Nuovo (0 presenze con Lippi CT), ma allo stesso tempo vecchio (34 anni), simbolo di una nazionale che poggia sul gruppo del Mondiale. L'inserimento di nuovi talenti come Aquilani, Montolivo e Pazzini rinviato a data da destinarsi, e lo smarrito Gilardino, pur tra i convocati, sembra aver perso il treno giusto a favore del vissuto compagno Lucarelli. Su 25 convocati per l'ultimo, doppio, impegno, sono ben 16 gli eroi di Berlino. Tra gli esclusi, uno ha appeso i guantoni al chiodo (Peruzzi), un paio si sono bruscamente, ma prevedibilmente, ridimensionati (Zaccardo, Barone), altrettanti pagano acciacchi, età e/o incomprensioni (Del Piero, Inzaghi) e altri due si sono chiamati fuori (Nesta, Totti).
Un altro capitolo interessante è relativo al caso del Pupone. Sembra la storia tra due adolescenti, Moccia potrebbe scriverci l'ennesimo best seller. Il romanista è la ragazza navigata che se la tira, il CT il lui inesperto e succube della personalità dell'altra metà. Il risultato, prevedibile, è il seguente: Totti lascia, dopo un lungo tira e molla, l'azzurro; Donadoni è investito da polemiche per la discutibile gestione del caso.
Il Nesta degli ultimi anni assomiglia sempre più ad una neuro ambulante, tra legamenti immolati alla causa azzurra e pollici alla Play Station, e ha detto basta senza far troppo rumore.
A proposito di rumore, a dimostrazione che tutto il mondo è paese, vale la pena segnalare gli sproloqui di McLeish e Domenech. Il primo si è sentito derubato per la sconfitta di sabato, dimenticandosi le topiche del fischietto spagnolo sui gol di Di Natale e Ferguson. Per dirla tutta, la punizione da cui è scaturito il definitivo 1-2 di Panucci è frutto della fervida fantasia di Mejuto Gonzales, ma un indizio in contrasto con altri non costituisce una prova schiacciante per sostenere una tesi dunque artificiosa. Domenech, come suo costume, si è espresso con parole discutibili su di noi, tirando in ballo persino la morte di Sandri. Vabbè, lasciamolo cuocere nel suo brodo, in attesa, chi lo sa, di un'altra vendetta ai prossimi Europei.
Tra l'ingiustificato trionfalismo che circonda un tecnico riuscito 'nell'impresa' di qualificare la nazionale campione del mondo in carica ad Austria&Svizzera 2008 (!) e un Drive Red che accusa gli altri (Abete) di salire sul carro dei vincitori e parla di gruppi di potere, nulla è cambiato.
Nemmeno la lezione di civiltà della Tartan Army, nemmeno le perplessità su Donadoni.
Come profetizzò Sacchi, gli ingredienti necessari per avere un gruppo vincente sono: "Oc, pasiensa e bus de cul". Ha perfettamente ragione. Soprattutto sull'ultimo punto.

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