lunedì 19 maggio 2008

Da Parma a Brescia, l'Inter s'è desta

L'Inter è campione d'Italia. Sentenza scritta da tempo, formalizzata solo all'ultimo tuffo grazie alla Divina Provvidenza fatta persona, Zlatan Ibrahimovic. La doppietta del rientrante svedese smentisce la tesi della presunta inconsistenza ogni qual volta far risultato sia questione di vita o di morte, molto di moda tra i suoi detrattori. I quali rilanciano, rivendicando l'incapacità del ragazzone di pungere contro le grandi.
I fatti denunciano l'attecchimento della 'sindrome dell'eterno incompiuto'. Una squadra, quella nerazzurra, incapace in Europa di superare lo scoglio degli ottavi di finale e vittima di sistematiche crisi di nervi alla resa dei conti. Un giocatore, Ibra, mentalmente instabile, tecnicamente sublime, potenzialmente fenomenale, soggiogato all'inversa proporzionalità tra rendimento e caratura degli avversari.
L'alibi del ginocchio-groviera non giustifica la metamorfosi da cigno di Malmoe a brutto anatroccolo di Appiano subita dopo il giro di boa. Curiosamente, prima della salutare ricomparsa, il suo ultimo gol su azione risaliva, un girone e un tendine sano fa, al 3-2 sul Parma, viziato dalla partnership arbitrale.
Certi favori rischiano di deturpare la bontà del successo nerazzurro, sottoposto all'offensiva dialettica dei giallorossi per bocca del capopopolo De Rossi. Da quando il pallone rotola, le grandi hanno sempre beneficiato della cosiddetta sudditanza psicologica. L'errore è stato attribuire la paternità dei successi bianconeri agli artifici di Moggi, ignorando l'inequivocabile responso dell'unico giudice supremo: non Sandulli, bensì il campo. Il falso mito degli scudi rubati ha ormai attecchito, e sradicarlo nel paese della presunzione d'innocenza solo presunta è impresa ardua. Condurre le danze pressochè incontrasta da settembre a maggio è indice di merito, noi juventini ne sappiamo qualcosa. Le insinuazioni di bassa lega convien lasciarle ai rosiconi di professione. Nel mio piccolo, mi limiterò a non stendere tappeti rossi agli odiati bauscia nerazzurri, a rivendicare 29 scudetti a 15 e ad ispirarmi ai valori di Scirea piuttosto che Facchetti.
I vinti, anzichè polemizzare, facciano mea culpa. Lo stop interno imposto dal derelitto Livorno è il ritratto della Rometta provinciale, caciarona ed inconcludente, incapace di sfruttare le manchevolezze altrui.
La Juve ha perso la coincidenza con la gloria raggranellando appena un punto (nel derby) in tre partite nel giro di una settimana (sconfitte contro Reggina e Fiorentina). Il mercato estivo deficitario ha tarpato le ali in partenza alla famelica armata bianconera, che difficilmente, arbitri o non arbitri, avrebbe potuto aspirare ad un piazzamento migliore.
Resta la consapevolezza, e conseguente disdetta, di aver visto i nerazzurri sfrattare Madama dal trono di più odiata dagli italiani, animalisti in testa. Nemmeno gli infortuni a catena ne hanno compromesso la marcia. Bella forza, tanto alle stampelle ci pensa il Mancio.

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