lunedì 28 luglio 2008

E' solo Spagna

Ipotizzare, alle idi di luglio, un CSC in giallo a Parigi era quantomai legittimo, alla luce della scintillante classe di Andy Schleck, coadiuvato dal fratellone Frank e dallo stagionato Sastre. Appariva altresì pretestuoso immaginare quest'ultimo, al culmine di una vita da gregario, sfoggiare sugli Champs-Elysées il simbolo del primato. La cotta patita baby lussemburghese al battesimo pirenaico, unitamente alla sagacia tattica mostrata dallo stesso lungo i ventuno-tornanti-ventuno dell'Alpe d'Huez, hanno contribuito ad incoronare il 33enne di Madrid leader maximo della corsa, forte di una condizione spumeggiante che gli ha consentito di domare in solitaria la mitica ascesa alpina. L'ultima crono, conclusasi a Saint-Amand-Motrond, pareva però il beffardo epitaffio dei sogni di gloria coltivati dal grimpeur spagnolo, incalzato dallo specialista Evans. In barba alle previsioni, si è trasformata nella scenografia di un successo insperato, epilogo ideale d'una guerra di cervelli, muscoli e nervi che lo ha visto prevalere con pieno merito.
Al termine di tre settimane avide di spettacolo 'pulito' (precisazione doverosa, come è doveroso rivedere gli sperticati elogi profusi dai più verso Riccò e i suoi compagni), ha vinto l'unico ardito, a corollario di un anno fin qui propizio ai sudditi di Juan Carlos, protagonisti ad ogni latitudine nei più disparati campi dello scibile sportivo. Il ciclismo, per l'appunto, non fa eccezione: sul fronte grandi giri, in attesa di giocare in casa, i due vessilli più preziosi sono finiti a Madrid (il rosa a casa Contador, già in giallo a Parigi dodici mesi fa); nelle classiche del nord hanno furoreggiato Oscarito Freire, vincitore a Wegelvem, e Alejandro Valverde, che ha piazzato il bis alla Liegi. Il primo esce
dalla Grand Boucle col sorriso sulle labbra e la maglia verde addosso, il secondo ha dilapidato minuti a cronometro, al pari del maggiore degli Schleck, e pagato dazio sull'ascesa di Hautacam, dovendosi così accontentare di un mesto piazzamento nei 10. La prima scalata ha mietuto altre vittime illustri, da quell'Andy Schleck poi riciclatosi in formidabile apripista per le stoccate dei capitani al nostro Damiano Cunego, impresentabile, ahimè, a certi livelli. I passi in avanti nelle corse contro il tempo sono stati vanificati da continue difficoltà in salita, dovute forse ad un eccessivo potenzialmente muscolare teso a limare secondi nelle crono. Incoraggianti gli squarci nel buio della spedizione azzurra offerti dal coraggioso Nibali, giovane punta di diamante del movimento nostrano e prossimo, si spera, al definitivo salto di qualità, magari favorito dallo stimolante confronto con il baby ceco Kreuziger e dai consigli degli esperti Basso e Di Luca, in Liquigas dal 2009.
Le sorprese, in un senso come nell'altro, non sono certo mancate. Forse nemmeno i familiari di Bernard Kohl, maglia a pois e clamoroso bronzo finale, avrebbero scommesso sul piccolo spazzacamino viennese, specializzato in arrampicate ma autore di un'eroica difesa nella crono finale, vinta, al pari della precedente, da uno stratosferico Schumacher. Senza cadute ed ingenuità, il terzo gradino del podio se lo sarebbero giocato il russo Menchov, ingenua vittima di un classico 'ventaglio' nell'interlocutoria tappa di Nantes e caduto in discesa nella frazione di Prato Nevoso, e l'ex 'postino' di Armstrong Vandevelde, finito anch'egli a terra sulle Alpi. Nella top ten, da segnalare la presenza dei tignosissimi Samuel Sanchez (7°), Kirchen (8°) e Valjavec (10°).
Un capitolo a parte lo meriterebbe Cadel Evans, l'eterno piazzato, sinonimo di sconfitto, delle due ruote. Dopo aver preso la paga, per una questione di secondi, da Contador un annetto fa, stavolta è riuscito a rosicchiare mezzo minuto scarso ad uno scalatore puro come Sastre in 53 km pianeggianti, roba da esaurimento nervoso. La sua velatamente triste storia da controcopertina fa passare in secondo piano capitoli importanti, come i quattro scritti da Mark Cavendish, presente e futuro delle volate e avanguardia dell'emergente movimento inglese; oppure la rivincita di Chavanel, finalmente vincente dopo tanti tentativi a vuoto. La copertina, però, se la spartiscono Sastre e l'agenzia antidoping francese, capace di sgamare i furbetti 'armati' di eritropietina di nuova generazione. In corsa, di furbi, ce ne sono. E forse anche in ammiraglia. Semplice constatazione, sia chiaro, dettata, tra le altre, dall'Operation Puerto, che ha costretto a giusto stop i vari Basso, Scarponi, Ullrich e pochi altri, risparmiando il gotha del ciclismo spagnolo che, pare, fosse invischiato nell'affare. Non Sastre, magari nemmeno Contador, sfiorato dalle indagini preliminari ma ben presto uscitone senza macchia, ma quel 'Valv-piti' qualche sospettuccio lo addensa sul capo di Valv-erde. A mero titolo informativo, Piti è il nome del suo cane, esattamente come Birillo, nomignolo utilizzato per identificare il già citato Basso, è il quattrozampe dell'ex CSC.
A proposito di CSC: il team danese, diretto dal 'reo confesso del doping' Bjarne Riis, ha annichilito la concorrenza, grazie a gregari poderosi, su tutti Cancellara, Gustov e Voigt, ai quali si è poi aggiunto Schleck jr., al servizio dei capitani. A differenza del Giro, dal percorso più tortuoso ma storicamente ignorato da molti pesi massimi (quest'anno l'eccezione), in terra di Francia le difficoltà derivano dall'approccio assai più aggressivo impostato dalle squadre meglio attrezzate, capaci di inasprire il più anonimo dei cavalcavia. Al resto, stavolta, c'ha pensato Sastre, con la sua 'gamba' supportata da un'invidiabile calma olimpica. E da un pensiero, rivolto al cielo, rivolto al cognato Josè Maria Jimenez, eccezionale scalatore morto suicida nel 2001, divorato dalla depressione. Questo successo, il 6° in undici anni di professionismo, è tutto per lui.

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